di Gordiano Lupi
Cabrera Infante conosce L’Avana sotto la dittatura di Machado, un losco figuro che definisce come una via di mezzo tra lo zar Nicola II e Kerensky. Vive L’Avana sotto Batista e lotta per la libertà insieme a molti intellettuali moderati e di sinistra, ma non crede che per risolvere i problemi basti modificare il colore della dittatura. Resta deluso da Castro, non se la sente di collaborare a un’idea che non condivide e per questo finisce la sua vita in esilio. Cabrera Infante non ama Alejo Carpentier, ma la sua non è la solita gelosia letteraria tra scrittori di genio che non si comprendono. Cabrera Infante è uno scrittore che vive sulla sua pelle il peso di decisioni difficili e manifesta il suo dissenso nei confronti della svolta autoritaria castrista.
Cabrera Infante nasce in una famiglia comunista e abbraccia la causa rivoluzionaria fino a quando non diventano evidenti i risvolti stalinisti e il doppio filo che legherà Cuba e Unione Sovietica. Non condivide niente di quello che è diventato il suo paese e sceglie, insieme a Carlos Franqui e altri ex rivoluzionari, la via dell’esilio. Non è facile per un cubano vivere nella grigia Londra, lontano dalla terra che ama e che non può rivedere, ma è una scelta coerente con le sue idee. Cabrera Infante rimprovera ad Alejo Carpentier di essere un uomo venduto a un dittatore, uno che dedica vita e opere a glorificare Castro. Lo rispetta come scrittore, ma non perdona l’opportunismo di un uomo con cui non è per niente in sintonia.
Alejo Carpentier non è mai critico verso il potere, ma si inginocchia di fronte al dittatore e scrive soltanto quello che lui vorrebbe leggere. Per questo Cabrera Infante ne elogia la prosa poetica, le liriche che parlano dell’Avana, ma epura tutto da un apparato retorico che non sopporta.
“Le rivoluzioni sono la fine di un processo delle idee, non il principio, èd è sempre un processo culturale, mai politico. Quando si mette in mezzo la politica - o meglio i politici - non si produce una rivoluzione, ma un colpo di Stato, e il processo culturale si ferma per dar luogo a un programma politico. La cultura allora si trasforma in un settore della propaganda. Come dire, le illusioni della cultura, il sonno della ragione, si trasformano in incubi”.
Il manoscritto di Cuerpos divinos si trovava, come tante altre carte, appunti e quaderni di Guillermo Cabrera Infante, nella casa di Gloucester Road, a Londra, dove lo scrittore cubano ha vissuto fino alla sua morte, avvenuta il 22 febbraio 2005. A guardar bene, Cuerpos divinos non è un romanzo ma un diario segreto che comincia nel 1958 e termina nel 1962. Un libro che rappresenta una testimonianza di alto valore perché - come ha detto Miriam Gómez, vedova dello scrittore - racchiude tutto il dolore dell’autore di Tre tristi tigri e de L’Avana per un infante defunto. Cuerpos divinos non ha una traduzione italiana, ma sospetto che non esistano editori disposti a pubblicare un’opera controcorrente come l’ultimo manoscritto di un uomo geniale. Si trova soltanto nel mercato ispanico, edito da Galaxia Gutenberg / CÃrculo de Lectores. Sono quasi 600 pagine ricche di incanto e di disincanto, lo scrittore racconta le sue avventure amorose, il lavoro nella redazione di Carteles, le amicizie avanere, l’incontro con Hemingway, L’Avana oppressa da Batista e il sogno di una rivoluzione che avrebbe dovuto portare libertà . Cabrera Infante ci parla dell’Avana erotica, del cinema come sua grande passione, del lavoro come critico cinematografico per la stampa e per la televisione, della musica e dell’esilio. “Non solo la storia, ma persino la geografia ci condanna”, scrive Cabrera ironicamente. “Hanno truccato anche la topografia. Siamo nati in un’oasi e grazie a loro ci troviamo in pieno deserto”.
“Fu quella la miglior epoca della nostra vita!.
“Si - risposi - è possibile che sia stata proprio la migliore”.
Il libro termina con questo dialogo amaro e al tempo stesso suggestivo, perché in ogni caso la giovinezza è sempre il miglior periodo della nostra vita. Cuerpos divinos è un libro fondamentale all’interno dell’opera di Cabrera Infante, perché è il libro che ha accompagnato tutta la sua vita. L’autore ne parlava sempre in occasione delle interviste che rilasciava alla stampa, perché è un libro scritto in lunghi anni di faticose stesure, pescando nei ricordi e facendo violenza persino al desiderio di non ricordare. Un libro che Cabrera Infante ha scritto perché faceva parte della sua vita, ma non è stato facile parlare di intimità sessuali, comporre amare riflessioni politiche, ricordare amici smascherati, fucilati e morti civilmente. Cabrera Infante ha chiesto a sua moglie di cambiare i nomi falsi che aveva messo nel libro una volta che le persone di cui parlava fossero morte. Infatti sono nascoste da uno pseudonimo solo le persone che disprezzava, ma persino Hemingway e Fidel Castro - che non erano proprie le sue simpatie - conservano il loro nome.
Il libro racconta tutte le donne di un uomo che da buon cubano dava al sesso e all’amore un ruolo importante nella vita. Ha detto la moglie: “Tremavo quando ho preso in mano il libro. Se lo pubblichiamo che figura ci faccio? Ma adesso che ho 70 anni che cosa importa? Guillermo andava pazzo per le donne ed era un uomo innamorato. Sua madre fu una donna eccezionale e questa cosa lui l’ha sempre detta. Adorava ascoltare sua madre e le amiche di sua madre, ricordava sempre l’odore di frutta che emanano le donne quando incrociano le gambe nel tropico”.
Cuerpos divinos comincia là dove L’Avana per un infante defunto (Garzanti) finisce e ci accompagna alla scoperta di una città magica che Cabrera Infante descrive con pennellate da artista. Il provinciale di Gibara si è ormai ambientato alla frenesia delle notti avanere, si perde tra le braccia di donne sensuali, rappresenta l’erotismo come unica forma di salvezza, racconta il suo quotidiano fatto di cinema e di letteratura.
Cuerpos divinos ricorda molto da vicino la sceneggiatura di The Lost City di Andy Garcia, scritta dall’autore, è figlio di identiche suggestioni e delle stesse cocenti delusioni politiche. Da leggere e meditare per avere un quadro realistico della rivoluzione cubana e della figura di Fidel Castro.
Cabrera Infante conosce L’Avana sotto la dittatura di Machado, un losco figuro che definisce come una via di mezzo tra lo zar Nicola II e Kerensky. Vive L’Avana sotto Batista e lotta per la libertà insieme a molti intellettuali moderati e di sinistra, ma non crede che per risolvere i problemi basti modificare il colore della dittatura. Resta deluso da Castro, non se la sente di collaborare a un’idea che non condivide e per questo finisce la sua vita in esilio. Cabrera Infante non ama Alejo Carpentier, ma la sua non è la solita gelosia letteraria tra scrittori di genio che non si comprendono. Cabrera Infante è uno scrittore che vive sulla sua pelle il peso di decisioni difficili e manifesta il suo dissenso nei confronti della svolta autoritaria castrista.
Cabrera Infante nasce in una famiglia comunista e abbraccia la causa rivoluzionaria fino a quando non diventano evidenti i risvolti stalinisti e il doppio filo che legherà Cuba e Unione Sovietica. Non condivide niente di quello che è diventato il suo paese e sceglie, insieme a Carlos Franqui e altri ex rivoluzionari, la via dell’esilio. Non è facile per un cubano vivere nella grigia Londra, lontano dalla terra che ama e che non può rivedere, ma è una scelta coerente con le sue idee. Cabrera Infante rimprovera ad Alejo Carpentier di essere un uomo venduto a un dittatore, uno che dedica vita e opere a glorificare Castro. Lo rispetta come scrittore, ma non perdona l’opportunismo di un uomo con cui non è per niente in sintonia.
Alejo Carpentier non è mai critico verso il potere, ma si inginocchia di fronte al dittatore e scrive soltanto quello che lui vorrebbe leggere. Per questo Cabrera Infante ne elogia la prosa poetica, le liriche che parlano dell’Avana, ma epura tutto da un apparato retorico che non sopporta.
“Le rivoluzioni sono la fine di un processo delle idee, non il principio, èd è sempre un processo culturale, mai politico. Quando si mette in mezzo la politica - o meglio i politici - non si produce una rivoluzione, ma un colpo di Stato, e il processo culturale si ferma per dar luogo a un programma politico. La cultura allora si trasforma in un settore della propaganda. Come dire, le illusioni della cultura, il sonno della ragione, si trasformano in incubi”.
Il manoscritto di Cuerpos divinos si trovava, come tante altre carte, appunti e quaderni di Guillermo Cabrera Infante, nella casa di Gloucester Road, a Londra, dove lo scrittore cubano ha vissuto fino alla sua morte, avvenuta il 22 febbraio 2005. A guardar bene, Cuerpos divinos non è un romanzo ma un diario segreto che comincia nel 1958 e termina nel 1962. Un libro che rappresenta una testimonianza di alto valore perché - come ha detto Miriam Gómez, vedova dello scrittore - racchiude tutto il dolore dell’autore di Tre tristi tigri e de L’Avana per un infante defunto. Cuerpos divinos non ha una traduzione italiana, ma sospetto che non esistano editori disposti a pubblicare un’opera controcorrente come l’ultimo manoscritto di un uomo geniale. Si trova soltanto nel mercato ispanico, edito da Galaxia Gutenberg / CÃrculo de Lectores. Sono quasi 600 pagine ricche di incanto e di disincanto, lo scrittore racconta le sue avventure amorose, il lavoro nella redazione di Carteles, le amicizie avanere, l’incontro con Hemingway, L’Avana oppressa da Batista e il sogno di una rivoluzione che avrebbe dovuto portare libertà . Cabrera Infante ci parla dell’Avana erotica, del cinema come sua grande passione, del lavoro come critico cinematografico per la stampa e per la televisione, della musica e dell’esilio. “Non solo la storia, ma persino la geografia ci condanna”, scrive Cabrera ironicamente. “Hanno truccato anche la topografia. Siamo nati in un’oasi e grazie a loro ci troviamo in pieno deserto”.
“Fu quella la miglior epoca della nostra vita!.
“Si - risposi - è possibile che sia stata proprio la migliore”.
Il libro termina con questo dialogo amaro e al tempo stesso suggestivo, perché in ogni caso la giovinezza è sempre il miglior periodo della nostra vita. Cuerpos divinos è un libro fondamentale all’interno dell’opera di Cabrera Infante, perché è il libro che ha accompagnato tutta la sua vita. L’autore ne parlava sempre in occasione delle interviste che rilasciava alla stampa, perché è un libro scritto in lunghi anni di faticose stesure, pescando nei ricordi e facendo violenza persino al desiderio di non ricordare. Un libro che Cabrera Infante ha scritto perché faceva parte della sua vita, ma non è stato facile parlare di intimità sessuali, comporre amare riflessioni politiche, ricordare amici smascherati, fucilati e morti civilmente. Cabrera Infante ha chiesto a sua moglie di cambiare i nomi falsi che aveva messo nel libro una volta che le persone di cui parlava fossero morte. Infatti sono nascoste da uno pseudonimo solo le persone che disprezzava, ma persino Hemingway e Fidel Castro - che non erano proprie le sue simpatie - conservano il loro nome.
Il libro racconta tutte le donne di un uomo che da buon cubano dava al sesso e all’amore un ruolo importante nella vita. Ha detto la moglie: “Tremavo quando ho preso in mano il libro. Se lo pubblichiamo che figura ci faccio? Ma adesso che ho 70 anni che cosa importa? Guillermo andava pazzo per le donne ed era un uomo innamorato. Sua madre fu una donna eccezionale e questa cosa lui l’ha sempre detta. Adorava ascoltare sua madre e le amiche di sua madre, ricordava sempre l’odore di frutta che emanano le donne quando incrociano le gambe nel tropico”.
Cuerpos divinos comincia là dove L’Avana per un infante defunto (Garzanti) finisce e ci accompagna alla scoperta di una città magica che Cabrera Infante descrive con pennellate da artista. Il provinciale di Gibara si è ormai ambientato alla frenesia delle notti avanere, si perde tra le braccia di donne sensuali, rappresenta l’erotismo come unica forma di salvezza, racconta il suo quotidiano fatto di cinema e di letteratura.
Cuerpos divinos ricorda molto da vicino la sceneggiatura di The Lost City di Andy Garcia, scritta dall’autore, è figlio di identiche suggestioni e delle stesse cocenti delusioni politiche. Da leggere e meditare per avere un quadro realistico della rivoluzione cubana e della figura di Fidel Castro.
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