foto: Raffaello, La scuola di Atene, (fonte: beniculturali.it)
di Roberto Tortora
Immaginate di avere un figlioletto nella scuola elementare. Sono settimane che si esercita per mandare a memoria la parte che gli è stata assegnata nella recita natalizia. Si è sottoposto alla prova dei costumi, ha indossato alucce di cartapesta e ha provato i passi sulla pedana dell’aula magna dell’Istituto; in qualche caso ha provato l’entrata in scena direttamente sul palco del Teatro Municipale. Arriva il giorno della recita, vi recate sul posto con un nodo alla gola, i nonni al seguito, i fazzoletti pronti e tutto l’occorrente tecnologico per poter girare un video, per poter scattare qualche foto, perché l’evento è di quelli da conservare gelosamente tra le cose di famiglia e da vedere e rivedere infinite volte, per anni. Ma ecco che qualcuno vi blocca all’entrata: “Siamo spiacenti: è vietato effettuare riprese, in ossequio alla legge sulla privacy”.
Immaginate di essere quel bambino. Il giorno del compito in classe di Italiano desiderate solo una cosa, che la prof vi assegni una bella traccia, una di quelle che vi permettano di parlare un po’ della vostra vita, delle cose che vi accadono ogni giorno, delle persone su cui contate e di quelle che vi hanno tradito. Insomma, vi piacerebbe raccontare qualcosa di vostro, vorreste avere il tempo e il modo di esprimere le vostre opinioni sulle piccole e grandi questioni che si muovono intorno a voi. Niente da fare. La prof entra in classe e detta il più anonimo e il più neutrale e il più glaciale tema che si possa immaginare. “Mi raccomando, ragazzi: non metteteci niente di personale, altrimenti non potrei correggerli, non potrei rileggerli a voi in classe, non saprei dove custodirli. Violerei le norme sulla privacy.”
Immaginate di essere uno studente grandicello, che ha la patente e va a votare. Avete sostenuto l’esame di maturità . E’ stato pubblicato il vostro credito scolastico, è stato pubblicato il punteggio raggiunto nelle prove scritte. Resta solo da sommare il punteggio della prova orale e saprete com’è andata. Vi recate a scuola, i tabelloni sono affissi e un manipolo di curiosi già si alza sulle punte per trovare il proprio nome e il proprio punteggio finale. Vana speranza. Se siete stati fortunati troverete scritto “Esito positivo”; altrimenti “Esito negativo” (Esame di Stato 2007/2008). Proprio così, con uno stile lessicale e una portata semantica che rasentano il macabro. “Esito negativo” ha in sé qualcosa di ospedaliero, da esame del sangue e delle urine. Chi ha immaginato questa formula assertiva deve essere un patito di polizieschi all’obitorio, di scena del crimine, un lettore accanito di Patricia Cornwell. Ma lui, il dirigente ministeriale, l’ispettore ministeriale, il consulente ministeriale che stabilisce come si compilano i tabelloni degli esami da affiggere nelle scuole, vi risponderebbe che è stato costretto ad escogitare quella formula per non infrangere il codice della privacy.
Tre casi che possono apparire comici, paradossali, fantasiosi, e che invece rappresentano la prassi quotidiana in migliaia di scuole italiane. La normativa sulla Privacy, che pure nasce dalla legittima necessità di tutelare i dati sensibili delle persone, soprattutto dei minori e soprattutto in un periodo in cui Youtube ha rivoluzionato il nostro modo di rapportarci agli altri, si è aggrovigliata nella rete degli eccessi. Nel timore di incorrere in qualche sanzione, ci si è trincerati dietro un muro di esagerazioni.
Basterebbe un po’ di buon senso, un’elementare dose di equilibrio da distribuire equamente lungo tutta la filiera, dagli addetti alla scrittura della norma a coloro che sono responsabili della sua applicazione: basterebbe poco per riprenderci la nostra sana normalità .
Immaginate di essere quel bambino. Il giorno del compito in classe di Italiano desiderate solo una cosa, che la prof vi assegni una bella traccia, una di quelle che vi permettano di parlare un po’ della vostra vita, delle cose che vi accadono ogni giorno, delle persone su cui contate e di quelle che vi hanno tradito. Insomma, vi piacerebbe raccontare qualcosa di vostro, vorreste avere il tempo e il modo di esprimere le vostre opinioni sulle piccole e grandi questioni che si muovono intorno a voi. Niente da fare. La prof entra in classe e detta il più anonimo e il più neutrale e il più glaciale tema che si possa immaginare. “Mi raccomando, ragazzi: non metteteci niente di personale, altrimenti non potrei correggerli, non potrei rileggerli a voi in classe, non saprei dove custodirli. Violerei le norme sulla privacy.”
Immaginate di essere uno studente grandicello, che ha la patente e va a votare. Avete sostenuto l’esame di maturità . E’ stato pubblicato il vostro credito scolastico, è stato pubblicato il punteggio raggiunto nelle prove scritte. Resta solo da sommare il punteggio della prova orale e saprete com’è andata. Vi recate a scuola, i tabelloni sono affissi e un manipolo di curiosi già si alza sulle punte per trovare il proprio nome e il proprio punteggio finale. Vana speranza. Se siete stati fortunati troverete scritto “Esito positivo”; altrimenti “Esito negativo” (Esame di Stato 2007/2008). Proprio così, con uno stile lessicale e una portata semantica che rasentano il macabro. “Esito negativo” ha in sé qualcosa di ospedaliero, da esame del sangue e delle urine. Chi ha immaginato questa formula assertiva deve essere un patito di polizieschi all’obitorio, di scena del crimine, un lettore accanito di Patricia Cornwell. Ma lui, il dirigente ministeriale, l’ispettore ministeriale, il consulente ministeriale che stabilisce come si compilano i tabelloni degli esami da affiggere nelle scuole, vi risponderebbe che è stato costretto ad escogitare quella formula per non infrangere il codice della privacy.
Tre casi che possono apparire comici, paradossali, fantasiosi, e che invece rappresentano la prassi quotidiana in migliaia di scuole italiane. La normativa sulla Privacy, che pure nasce dalla legittima necessità di tutelare i dati sensibili delle persone, soprattutto dei minori e soprattutto in un periodo in cui Youtube ha rivoluzionato il nostro modo di rapportarci agli altri, si è aggrovigliata nella rete degli eccessi. Nel timore di incorrere in qualche sanzione, ci si è trincerati dietro un muro di esagerazioni.
Basterebbe un po’ di buon senso, un’elementare dose di equilibrio da distribuire equamente lungo tutta la filiera, dagli addetti alla scrittura della norma a coloro che sono responsabili della sua applicazione: basterebbe poco per riprenderci la nostra sana normalità .
Posta un commento