Il sacro e il propano

di Giuseppe Gavazza

se volete divertirvi a “dirigere” Le Sacre du Printemps andate a questi due link:


Vedere e ascoltare un concerto sinfonico dall'altra parte della platea è molto interessante e fa capire molte cose. La grande sala sinfonica del Lingotto a Torino apre al pubblico le file del coro (quando non sono occupate dal coro, ovviamente) alle spalle dell'orchestra e, dunque, in faccia al direttore.

Se poi il concerto è quello ascoltato poche sere fa nel programma del festival Settembre Musica (ora MiTo, sempre più Mi sempre meno To, come da tradizione) con Le Sacre du Printemps di Igor Stravinsky eseguita dalla Philarmonia Orchestra diretta da Esa-Pekka Salonen allora l'esperienza diventa davvero emozionante.

Senza nulla togliere alle pagine belle e seducenti di Jean Sibelius (Lemminkäinen Suite, quattro leggende op. 22 dal ciclo Kalevala) composizioni di raro ascolto di un autore noto – purtroppo come molti altri – solo per pochi brani, pezzo forte della serata erano proprio i famosi (fortunatamente non più famigerati) Quadri della Russia pagana composti per la compagnia dei Ballets Russes di Djaghilev dal giovane genio russo emigrato a Parigi e presentati al Theatre des Champs-Elysées nel maggio 1913 creando uno degli scandali musicali più celebri della storia della musica.

A distanza di quasi un secolo Le Sacre du Printemps (purtroppo nell'uso comune abbiamo la traduzione La Sagra della Primavera che perde la sacralità a favore di un termine che evoca piuttosto le feste di paese) resta un prodigio di complessità, forza e bellezza.
Per me ogni ascolto è sconvolgente - nel senso vero e profondo del termine - come esperienza diretta di ascolto “drammatico” e come esperienza storicizzata: ogni volta che l'ho ascoltata e vista in concerto, non appena riesco a riprendere fiato, cerco d'immaginare cosa deve essere stata ai tempi della sua prima esecuzione, nella ricezione del pubblico (giustamente sconcertato e prevedibilmente scandalizzato) e per i musicisti certo non abituati allora a tanta difficoltà tecnica, a ritmi e armonie davvero di un altro mondo.
Sarei curioso di poter fare un viaggio nel tempo per ascoltare quella esecuzione primigenia e mi chiedo: ma avranno suonato davvero tutto? Avranno staccato i tempi scritti in partitura che oggi possiamo ascoltare? Ma se è così, quanto devono aver provato?

Esa-Pekka Salonen, si sa, è uno dei migliori direttori oggi attivi: non sta a me elogiare l'interpretazione del suo connazionale Sibelius e vederlo dalla parte degli orchestrali nella complessità incalzante del Sacre da l'idea di cosa significhi dirigere una composizione difficilissima: guidare, pilotare una macchina potente, veloce e complicatissima avendo il pieno controllo di tutto, facendo in scioltezza i gesti essenziali per dare sicurezza agli orchestrali ricordandosi che sono loro a suonare ogni nota.
Strano mestiere quello del direttore d'orchestra, che spesso non c'è, talvolta potrebbe anche non esserci, talvolta sarebbe meglio non ci fosse, ma che quando c'è davvero riesce a “suonare” un'orchestra con le mani e il corpo ma anche (forse sopratutto) con gli occhi; solo stando di fronte si capisce cosa significhi un direttore che “c'è” in tutto.

Il titolo di questo post (Il sacro e il propano) nasce da un refuso di digitazione facile da individuare: lo prendo come un caso fortuito e fortunato e lo lascio perché mi piace e mi pare adatto a dare il clima fiammeggiante del concerto.

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