di Beatrice Pozzi
La politica del 'Don't ask, don't tell' (DADT) viola la Costituzione degli Stati Uniti d'America, sia nel Primo Emendamento (concernente la libertà di parola e di associazione dei cittadini) che nel Quinto (che protegge i cittadini e le loro proprietà da provvedimenti restrittivi ingiustificati del governo federale). Lo ha dichiarato il 9 settembre un giudice della California, Virginia A. Philips, a conclusione di un processo che ha visto fronteggiarsi nelle ultime settimane i Log Cabin Republicans, la più grande organizzazione non governativa di gay che votano per il Grand Old Party, e il governo federale degli Stati Uniti d'America.
Il dettato del DADT è noto: votato dal Congresso a maggioranza democratica nei primi mesi della presidenza Clinton (1993) per permettere a membri della comunità LGBT di servire nell'esercito a patto di non dichiararsi pena la non accettazione o l'espulsione dalle forze armate, esso obbliga i militari non eterosessuali ad evitare qualsiasi comportamento che possa rendere pubblico il proprio orientamento sessuale (su cui non vengono più fatte indagini al momento dell'arruolamento come invece accadeva in passato, quando le persone LGBT erano ritenute "incompatibili" con il servizio militare e quindi escluse a priori). La necessità di "mantenere un basso profilo", però, lede gravemente le libertà dei "potenziali sospetti", che devono evitare di parlare apertamente della propria vita personale con i commilitoni (con la conseguenza che non si viene a creare un rapporto di fiducia reciproca), di prendere posizione a favore della comunità LGBT all'interno delle basi, di iscriversi ad associazioni che mirano a cancellare la politica del DADT, di testimoniare nel corso di eventuali processi, di scrivere e-mail o lettere, anche in una lingua straniera, al proprio partner o ad altre persone, il cui contenuto, se "intercettato" potrebbe metterli nei guai. Molto spesso evitare anche di denunciare eventuali prevaricazioni, abusi o insulti, ufficialmente proibiti ma che in molti casi continuano ad essere perpetrati come in passato, per paura che la denuncia possa condurre ad un'investigazione, che generalmente porta all'allontanamento dall'esercito.
Dal 1993 ad oggi circa 13.000 persone sono state sottoposte ad un procedimento del genere. Da anni, però, molte voci si esprimono a favore dell'eliminazione del DADT, non ultimo per il fatto che le persone coinvolte, oltre ad essersi arruolate su base volontaria, sono spesso risorse strategiche già formate e che si sono distinte per le proprie capacità sul campo o con altre mansioni - e che, quindi, non meritano di essere espulse se non per un pregiudizio.
Nonostante le cause intentate in passato da militari rimasti vittime di provvedimenti legati al DADT e le attuali promesse di calendarizzazione al Congresso del provvedimento di cancellazione, formulate da Barack Obama già durante la campagna elettorale e ripetute negli ultimi mesi ma sempre rinviate, la dottrina continua ad essere applicata. L’attesa potrebbe ora farsi sempre più breve (il capogruppo dei democratici al Senato, Harry Reid, ha addirittura parlato di una votazione prevista per settimana prossima).
Nel frattempo la dichiarazione di incostituzionalità – che ha investito di un’improvvisa notorietà il giudice Philips, attaccata duramente dopo la sentenza da associazioni legate ad ambienti conservatori – dovrà probabilmente passare in sede di appello, ma è comunque destinata a creare un importante precedente: già nei primi giorni dopo la sua pubblicazione, diversi militari mandati in congedo forzato si sono presentati in tribunale per essere reintegrati.
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