Scuola italiana, giochi di parole


Tito Rossini, Il libro, olio su tela, 1993


di Roberto Tortora




Bene, adesso ne siamo certi. Dopo anni di sospetti, di mezze verità pronunciate sottovoce, di commenti in odore di eresia avanzati tra cospiratori, siamo finalmente sicuri che presso il Ministero della Pubblica Istruzione è stata istituita la Direzione Generale per la Creatività Linguistica.
Si tratta di un intero reparto che pullula di funzionari dediti tutto il santo giorno a risolvere giochi di parole. Da quelli più semplici – nomi di città, animali e fiori – fino a quelli più complessi: scarabeo, rebus stereoscopico, cambio iniziale sillabico… Un’attività per niente facile, intendiamoci. Anzi, piuttosto complessa, che richiede solide basi lessicali e una propensione – questa un po’ luciferina – all’innovazione continua. Ma loro, i funzionari, si divertono. Si divertono moltissimo. E in questo risiede l’aspetto ludico dell’attività lavorativa. Giocano con le parole come i bambini giocano con i bastoncini, le formine colorate, i sonagli. Il fatto è che nelle illuminate intenzioni del ministro questi uffici avrebbero dovuto lavorare in costante simbiosi con i reparti didattici, e invece procedono quasi sempre per conto proprio. E se no, come potrebbero essere creativi?
Tanto per dirne una, per anni in ogni Istituto c’è stato un gruppetto di docenti che collaboravano col preside. Infatti si chiamavano “collaboratori” del preside. Ovvio. Poi li hanno chiamati “Figure di sistema” (corre voce che la paternità della definizione sia da attribuire ad un ilare matematico nostalgico della guerra fredda). Dopo qualche hanno sono diventati “Funzioni obiettivo”; e qui ne sono successe di tutti i colori. Si narra che negli studi degli psicanalisti è stato tutto un via vai di professori in forte crisi di identità. Avevano letto e ammirato Erich Fromm (“Avere o Essere”) e si chiedevano, disperati, “sono” oppure “ho” una funzione obiettivo? Siccome anche gli psicologi diedero forfait, qualcuno ha cambiato ancora la definizione, ed eccoci finalmente alle “Funzioni strumentali”. Per chi non fosse del settore, val la pena ricordare che fanno sempre le stesse cose dei loro predecessori, cioè collaborano con il preside.
Ma vediamone altre. Prima c’era il PEI (Progetto Educativo d’Istituto) ora c’è il POF (Piano dell’Offerta Formativa) che sono la stessa cosa, perché quest’ultimo elenca tutte le attività che da sempre si svolgono a scuola, solo che ora si chiamano “progetti”.
Prima c’erano le Unità Didattiche, poi sono state soppiantate dai Moduli che ora si sono trasformati in Unità di Apprendimento. Peccato che i docenti di oggi stiano ancora cercando di capire come funzionino e cosa siano le prime Unità Didattiche.
Ancora un’altra: appena qualche anno fa era necessario valutare “Conoscenze”, “Capacità” e “Abilità”. La Direzione Generale per la Creatività Linguistica ha programmato una serie di corsi di aggiornamento per diffondere il nuovo verbo (è il caso di dirlo). I docenti, smarriti davanti alla proliferazione fuori controllo del lessico pedagogico, chiedevano ai preparatissimi ispettori ministeriali: “Scusi, ispettore, ci spiega la differenza tra capacità e abilità?” e quelli rispondevano, serissimi: “Le capacità sono abilità e le abilità sono capacità. Chiaro, no?” Infatti dai documenti più recenti la parola “capacità” sembra scomparsa. Anche perché adesso i termini magici, quelli pass partout, quelli che risolvono tutti i problemi, sono diventati “Competenza” e “laboratoriale”.
E che dire del Pecup (profilo educativo, culturale e professionale dello studente)? O dell’Eqf (quadro europeo delle qualifiche)? O del DSGA (il caro, vecchio, buon segretario)? O dei Cts (Comitati tecnico scientifici)? Tutti questi acronimi non ricordano un po’ le nuvolette di Topolino e della Banda Bassotti (gasp, puf, sigh, bang…)?
L’avevamo detto all’inizio. Lì, al Ministero, c’è un gruppo di creativi che, fortunati loro, si divertono da matti.
Certo, resterebbe da chiarire perché mai nell’ultimo rapporto Ocse, “Education at glance” 2010, l’Italia si confermi agli ultimi posti in ordine ai livello di apprendimento degli studenti e alla spesa pubblica per l’Istruzione rispetto al Pil.
Ma queste sono questioni di scarsa importanza di cui non mette conto parlare. Non hanno niente di creativo. Non hanno niente di giocoso.

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