Accordare il mondo

di Giuseppe Gavazza

clic sull'immagine per ascoltare “Voci dalla Mongolia”
Foto e audio di Giuseppe Gavazza, ottobre 2010


Mettere d'accordo il mondo è, forse, l'utopia dei più (Imagine, la canzone simbolo degli anni in cui questa utopia si credeva non solo possibile ma anche prossima canta:

Imagine all the people / Sharing all the world... / You may say I'm a dreamer / But I'm not the only one / I hope someday you'll join us / And the world will live as one. (*1)

Mettere d'accordo – mettere in accordo – accordare il mondo ...
L'accordatura del mondo si traduce in inglese come the tuning of the world.


The tuning of the world
è anche il titolo originale del bel libro pubblicato nel 1977 (intanto qui, in quegli anni, l'utopia diventava stupidamente incendiaria) da Raymond Murray Schafer, titolo non tradotto ma trasformato (peccato) nella la versione italiana in “Il paesaggio sonoro”; uno dei libri fondanti l'ecologia sonora.


Murray Schafer dichiara: «Io ritengo che migliorare il paesaggio sonoro del mondo sia assai semplice. Dobbiamo imparare ad ascoltare. È un’abitudine che sembriamo aver perduto. Dobbiamo rendere l’orecchio sensibile al meraviglioso mondo di suoni che ci circonda».

Imparare ad ascoltare: una bella sfida, altro che assai semplice come utopicamente dichiara Schafer! Se ne parla, scrive e dibatte tanto ma si fa poco perché accada. I programmi ministeriali per l'insegnamento della “Musica” sono diventati da molti anni “educazione al suono e alla musica” e forse in molte scuole, con gli insegnanti adeguati, si insegna e s'impara ad ascoltare.

Ma certo il mondo “civilizzato” (come lo chiamiamo il nostro mondo ? Primo mondo ? Occidentale? Industrializzato ? Artificiale ? Progredito ? Post naturale ? Diversamente nativo…) oggi ci impone di ascoltare suoni artificiali sempre e dovunque e non lo fa certo con l'intenzione di sviluppare la nostra capacità d'ascolto, anzi omologa e appiattisce il nostro paesaggio sonoro: sottomesso all'imperativo della vendita propaga una hamburgherizzazione dei suoni e della musica.

Ho riflettuto sulla capacità di ascoltare e sul paesaggio sonoro naturale o artificiale durante il
bellissimo concerto dedicato al canto e alla musica della Mongolia per la stagione Est Ovest di Xenia al Folk Club a Torino la sera di sabato 30 ottobre;
Tserendava
, voce khoomi/khailakh, strumenti: morin khuur, tobshuur, tomor khuur, khalsun khuur
Harmonic Voicings - Michael Ormiston, Candida Valentino
Martin Mayes
- strumenti etnici, corni e voce

Tserendava è mongolo e non è un professionista della musica: Martin, scozzese che suona il corno e che vive a Torino da molti anni, ha conosciuto nei suoi pellegrinaggi concertistici, Michael e Candida che, interessandosi di canto armonico e musiche tradizionali, sono andati anni fa a studiare la musica delle tradizione mongole da Tserendava; il che significa che sono andati più volte a vivere per lunghi periodi sotto la stessa tenda, ad almeno un giorno di fuoristrada dal più vicino aeroporto, sulle montagne dove Tserendava vive facendo il pastore.

Una breve catena di rapporti umani, nessuna agenzia, nessuna label brave-new-real-true-world con interessi commerciali: Tserendava ha fatto il suo viaggio al contrario: una giornata di fuoristrada, un aeroporto, qualche scalo intermedio ed è arrivato da noi per fare il concerto di Torino ed uno ad Alba (la sera prima), ha ripreso aerei e auto e a questo punto è nuovamente nelle sue montagne innevate, con le pecore a liberare i suoi suoni armonici in un paesaggio autentico e ricco.

Il ricordo che mi rimarrà più impresso di questo concerto è la considerazione, giustamente sottolineata da Martin (che oltre a suonare introduceva ogni brano con spiegazioni illuminanti) che i suoni che Tserendava e i “suoi” musicisti sabato sera producevano, sono suoni nati per vibrare in un ambiente naturale, per essere parte di un paesaggio sonoro: accordati con la natura che li accoglie e li accompagna.
Non essere un professionista di quella musica significa rispettarne il significato più profondo, quello davvero autentico; significa continuare a vivere quella autenticità invece di diventare dei testimoni spaesati e nomadi in alberghi internazionali.

L'eco della della montagna, la voce del del fiume, il risonare attutito del pascolo che stanno difronte alla tenda dove vive Tserendava con la sua gente e i suoi animali ha senso perché è nato e risuona li e non altrove; il vento che suona quei paesaggi risuona col canto armonico nel corpo del cantante e il ritmo dei semplici strumenti a corda ed arco si accorda con quello vitale del galoppo del cavallo, fedele alleato e collaboratore irrinunciabile.

Sabato sera abbiamo visto delle bellissime fotografie sonore di un mondo diverso, lontano (nello spazio e nel tempo), meraviglioso quanto misterioso. Ma erano, per quanto belle, solo delle fotografie: mancava la terza dimensione, quella dei luoghi autentici, nativi.

In questi giorni a Torino in piazza San Carlo sono esposte foto (visive) di genti nomadi; tra queste alcune foto splendide delle distese montagnose della Mongolia; vedendole, ieri, ho sentito risuonare interiormente le voci ed i suoni ascoltati sabato sera.

Sono solo fotografie, lo so che il mondo autentico è altrove ed è molto più ricco, però ci aiutano, immaginandola, a conoscere e riconoscere la realtà e, forse, a permetterle di continuare ad esistere.


(*1) La musica è una bella metafora del mondo, basta riflettere sui termini famigliari ai musicisti: accordare, armonia, sincronismo, ritmo.
Se si applicassero con lo stesso rigore le regole della musica alla gestione del mondo molti problemi si risolverebbero in una accordo risonante e luminoso.
Un'orchestra che conclude una Sinfonia con una cadenza
perfetta su una triade di tonica altro non è che la realizzazione dell'utopia And the world will live as one.

Se solo i potenti (coloro che possono) capissero davvero qualcosa di musica …..... invece.

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