Parola e parole


di Patrizia Lùperi



Riprendiamo il nostro filo legato alla poesia e presentiamo una giovane poetessa:

Mariagiovanna Scarale

PAROLA

Nasconde la memoria
l'invisibile filo
che delle idee scandisce
la forza incisoria.

Sguardo, pelle, sospiro
rinnovano il percorso,
ripercorrono il giro.

Più acuto di prima,
più denso il rimorso,
il ricordo?
Una lima.

Scalfisce la carta,
ferisce la rima.
L'inchiostro.

L'inchiostro che crea
è la sola ragione,
rende immortale
l'umana passione.

Come gesso si pone
sulle confuse crepe
e silenziosamente
cura la mia siepe.

Aspettiamo le vostre emozioni, i vostri commenti.... a voi la "parola".



immagine tratta da www.sergiomarconi.com

25 Commenti

  1. leggendo questa poesia si avverte la quella funzione "terapeutica " che ha in sé la parola e di più lo scrivere questo fiume nero d'inchiostro che riversandosi su un foglio bianco imprime con forza e rende immortale tutto il nostro mondo più intimo; è un filo che tende ad un unire noi agli altri condividendo ciò che portiamo dentro e allo stesso tempo ci rende liberi di emozioni insostenibili di dolori; e riesce a rinforzare quelle crepe che la vita ,con le sue sofferenze, molto spesso ha segnato sulla nostra anima .
    IRENE

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  2. IN CERCA DI SE

    Triste un' urlo
    si alza
    dal fondo di un' anima
    in cerca
    di lontani ricordi
    di suoni,
    ad oggi sconusciuti
    di momenti,
    appena assaporati
    ma ormai trascorsi
    ormeggiati,
    nel profondo mare dell'oblio;
    Nostalgico il rumore
    di emozioni dimenticate
    di parole sospirate
    dall'anima di questo io,
    ancora oggi,
    in cerca di sè.

    IRENE

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  3. Luigi non era mai riuscito ad apprezzare la poesia.
    Ricordava dalle sue lezioni di letteratura francese al liceo il pensiero di Flaubert sulla poesia:
    "è una scienza esatta come la geometria"; da allora aveva iniziato a ronzargli per la testa
    che la poesia NON LO CONVINCEVA AFFATTO.
    Il pensiero che un poeta nel buttare su un foglio di carta le sue sensazioni,
    le sue emozioni e parte di sè stesso, debba essere preciso e calcolare rime e sillabe
    gli aveva sempre fatto pensare che i poeti siano sempre un po' frenati in quello
    che vogliono dire, quasi più ossessionati dalla forma, dalla precisione delle parole
    e poco spontanei.
    Quasi si sentiva "sporco" e in colpa per questo. Un letterato come lui che non apprezza la poesia,
    come è possibile tutto ciò???
    Era tormentato dal pensiero di non avere un animo sensibile capace di cogliere quelle scosse del cuore
    che in altri la poesia provoca.

    Tuttavia quando lesse quella strofa qualcosa sentì.
    "L'inchiostro che crea
    è la sola ragione,
    rende immortale
    l'umana passione."
    Che follia! Lavorare con i libri e non aver mai provato a scrivere un libro, un racconto,
    un articolo, nulla.
    Che follia! Essere sempre stato ossessionato dalla memoria ai posteri, dal dover fare qualcosa
    di non ordinario e non aver mai pensato di scrivere qualcosa, qualcosa che fosse suo e che potesse
    dare agli altri senza vergognarsi.

    Si sedette sulla veranda, su quel dondolo che apparteneva alla sua famiglia da due generazioni,
    quel dondolo dove lo scricchiolio del legno gli faceva prendere le migliori decisioni.

    Si sarebbe preso un anno sabbatico e avrebbe scritto un libro,
    il suo libro,
    che avrebbe reso immortali le sue immortali passioni!
    La sua PAROLA.




    Giovanna

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  4. La "parola" è davvero tutto ciò che resta, a volte, di un incontro, di uno scambio, di un frammento di vita...
    è lecito e anche molto bello poterla identificare con una "lima che scalfisce la rima"... come qualcosa, che per quanto possa essere significativa, a volte ferisce.
    Leggendo le tue parole,vedo quasi il poeta che entra nel suo studio e si strappa di dosso la pelle per raccogliere tutto ciò che resta al di sotto del visibile e dell'immediatamente fruibile.

    Ogni poesia credo che attraversi questa "gestazione" dolorosa ma emozionante per il poeta, che accoglie come un figlio quelle parole.

    Hai reso davvero alla perfezione la corrispondenza profonda e quasi sensuale che si viene a creare tra l'uomo-poeta e i suoi strumenti di sopravvivenza (le parole) nella giungla delle idee.

    Manon

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  5. DI NUOVO ISPIRAZIONE

    Eccola,
    la sento arrivare
    ed entrarmi dentro
    prima dolcemente,
    poi con veemenza
    selvaggia.

    Mi fa andare
    al mio scrittoio,
    mi costringe
    a tenere tra le dita
    la sua penna,
    mi obbliga
    a scrivere
    ciò che sto scrivendo.

    Mi abituo
    alla sua pressione,
    ora
    mi sembra quasi piacevole,
    sentire
    il suo calore
    che sale dentro me
    per fuoriuscire
    sottoforma di parole.

    Ispirazione.

    Sentire che
    Mai mi abbandonerà.
    Fa un po’ male
    sapere di poter immortalare
    le emozioni.

    A volte fa male
    Rivivere
    le proprie emozioni.
    È un dono.
    Il suo dono
    per me.

    Ispirazione



    -MGS-

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  6. per me la parola è la cosa più imprtane k ce, perchè ci permette di esprimere le nostre opinioni,ci permette di comunicare con la gente,di scambiare idee e messaggi.....
    la poesia è molto bella perchè hai messo in relazione il poeta con i suoi strumenti più importanti le parole....

    michele

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  7. Riprendiamo la storia di Luigi...


    La luce penetrava con sorda insistenza dai piccoli fori della persiana semichiusa, sebbene all'orizzonte si intravedesse già uno scuro ingombro di nubi.
    La strada di tante piccole formiche era illuminata da un piccolissimo fascio di sole che le conduceva, come se fossero un fiume, giù per le sinuose gambe di quell'antico scrittoio.
    La stanza era in una silenziosa penombra, un silenzio che faceva rabbrividire. Si sarebbe riuscita a sentire perfino la storia di quei mobili se solo non ci fossero stati due faretti bianchi che dal soffitto illuminavano, quel poco che basta, i dorsi gualciti e impolverati dei libri, che Luigi aveva disposto sugli scaffali di legno ostinatamente alla rinfusa.
    Non sapeva esattamente cosa stava cercando, ma da più di due ore era seduto lì a sfogliare compulsivamente ogni singolo volume.
    Non aveva letto tutti quei libri, non sarebbe bastata una sola vita per farlo,ma nonostante questo era contento di possederli, erano come un pezzo di storia.
    Ripensava all'orgoglio di suo nonno, quando, da bambino, lo portava in quella stanza e gli permetteva di sfogliare un piccolo libretto illustrato, dalle pagine ingiallite. Oppure quando, da ragazzo, entrava lì e lo trovava seduto a quello scrittorio a firmare le sue carte e timidamente gli chiedeva in prestito un Flaubert. Sorrideva a quei ricordi ormai lontani e si fermava, di tanto in tanto, con lo sguardo fisso nel vuoto, a ripercorrerli per pochi istanti.
    Da quando lui non c'era più si sentiva investito di un compito importantissimo: conservare quella biblioteca, che per la sua famiglia era un vero e proprio tesoro.
    Quasi per caso si ritrovò fra le mani un libro che non aveva mai visto prima, ma non ne rimase stupito, quella libreria aveva così tanti volumi. Era un'edizione del 1899, un vecchio libro di Laclos, "Les liaisons dengereuses". Lo sfogliò velocemente ma non rimase colpito. Era un romanzo epistolare, l'unico genere che a lui non era davvero mai piaciuto. Non avrebbe mai potuto avere un lampo, un'ispirazione folgorante da quelle pagine.



    A voi il testimone...

    Mariagiovanna S. (-MGS-)

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  8. Tra il numero cospicuo di lettere fasulle e abilmente costruite, che comparivano e scomparivano sotto i suoi occhi castani, improvvisamente ne arrivò una vera "in carta e inchiostro".
    La busta che la conteneva era di un bianco non più brillante, ma Luigi penso che un tempo potesse essere stata davvero bianchissima. All'interno 5 piccoli foglietti ospitavano una calligrafia arcuata vestita di un blu oceano ormai quasi evanescente.
    Provò a leggere quelle parole lontane, ma fu molto difficile. Il tempo non era stato clemente con tutte le parole: "Mio carissimo Diego, sono sempre qui a Innsbruck e non potrebbe andare peggio.
    Oggi la signora Sabine è uscita presto, così sono entrata nella sua camera per rubarle questi pochi fogli sui quali ti sto scrivendo..." Il resto della lettera era quasi incomprensibile, Luigi ripercorse più volte quelle righe ma comprese solo che Muriel (era questo il nome della giovane donna che scriveva) era in Austria, faceva la domestica da qualche "signorotto borghese" e non se la passava molto bene, ma nonostante tutto aveva la forza di scrivere a Diego (suo nonno) dolci parole, come quelle che si riuscivano a leggere nella chiusa, "... finiranno presto questi giorni, sono sicura che il vescovo mi aiuterà e vedrai saremo insieme nuovamente... e per noi sarà di nuovo tutto perfetto, come lo era tre anni fa. Non dimenticherò mai quell'agosto del '23. La spiaggia e il mare di Strandbad ci ha unito, ma ci ha anche costretti lontani. Sii forte, perchè io lo sarò. Tua. Muriel".
    Luigi balzò in pedi e la prima cosa che pensò fu che sua nonna si chiamava Emma. Chi era questa Muriel? suo nonno non gli aveva mai parlato di lei.
    In quel momento la sua ricerca dell'ispirazione si trasformò in una ricerca di informazioni. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per scoprire quella storia. Peccato che suo nonno non fosse più lì.
    A quel punto Luigi deglutì più volte, posò la lettera sullo scrittoio e corse a prendere una scala. Doveva controllare anche gli altri libri, quelli che non aveva mai letto, magari avrebbe trovato delle risposte.


    Lascio il testimone a voi... Cosa succederà a questo punto?

    Mariagiovanna S. (-MGS-)

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  9. Riprendiamo la poesia:

    Pittori esperti di colori e pennelli
    sopra una tela
    fatta e disfatta
    annodano al presente
    i fili del passato
    rimandano al futuro
    la speranza
    di una fumata bianca

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  10. UN “QUASI-FLUSSO-DI-PENSIERI”

    Credo che sia un pò come una droga, scrivere intendo. Ti svegli una mattina e cerchi carta e penna prima del caffè. Ti sembra di vivere in una strana sospensione in cui in ogni momento si potrebbe assistere alla prematura morte di un pensiero, se non accolto subito su un letto di fogli.
    Capita poi che una parola si nasconda, è impressa nelle intenzioni, ma è ancora immatura: quello è il doloroso tempo dell'attesa. Ci si siede a uno scrittoio, gli occhi fissi e un pò distratti, e si attende la violenta rottura degli argini delle memorie e delle associazioni più disparate.
    In fondo è proprio come un fiume, scorre così veloce che è difficile salvare tutto.
    Qualcosa annegherà tra le profonde acque per poi riemergere, forse un giorno e qualcosa sopravvivrà, asciugandosi, col tempo, sulle calde spiagge di carta.

    Scrivere. Un infinito.

    Non so come si inizia, è una di quelle cose che magari si fanno in modo meccanico, da bambini, quando la mamma, per non essere disturbata nelle sue faccende, ti da dei pastelli e un paio di penne.
    Forse comincia tutto da lì, non lo so, ma spesso me lo chiedo.
    Forse comincia con il primo libro. Il primo libro. Un passo importante, come il primo amore, direbbero i romantici.
    Ricordo ancora il mio primo libro, "Il piccolo principe". Non servono spiegazioni per questo, però è vero! Ti capita un libro sottomano, inizi a leggerne l’introduzione, poi il primo capitolo, poi il secondo e così via, tutto d’un fiato fino alla fine.
    Leggi un libro e sembra fluire libero e senza alcun attrito, sembra quasi fatto d'acqua, ti rinfresca, è piacevole ed oleoso, sembra quasi scivolarti in gola se ne leggi alcune frasi ad alta voce.
    Allora inizi a chiederti se mai riusciresti a scriverne uno di tuo pugno, perché si sa, è difficile imburrare le parole, i concetti. La lingua la conosci, i termini li sai, ma non basta. Ti rendi conto che serve qualcosa in più, una specie di spinta che come un geyser ti sputi fuori tutto ciò che non sai ancora di possedere.
    Ognuno ha il suo geyser, a mio avviso, deve solo riscoprirlo, magari è sepolto, o magari è ancora freddo, oppure è troppo caldo.
    Nel momento in cui questo geyser prende vita, è euforia allo stato puro, perché si è trovato il proprio fiume e si posseggono le parole.
    Finalmente arriva quella sensazione di piacevole sorpresa, si può tutto e tutto esiste per mezzo della nostra mente, tutto si smaterializza e diviene sillaba, verso, accento.
    Non è esattamente meraviglioso, è difficile da descrivere. Somiglia più a un forte e passeggero temporale, ma non un temporale qualunque. Un temporale di quelli che sei sulla spiaggia e non ti va nemmeno di correre via. Un temporale che lascia le sue tracce sulla battigia, che smuove la profondità del mare, e che forse fa smarrire e naufragare un paio di marinai incoscienti.

    Scrivere. un infinito. Non aggiungo altro.

    Mariagiovanna S. (-MGS-)

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  11. Follia,
    è girarsi intorno
    per cercare sguardi
    che non esistono
    più.
    Parlare
    con chi da tempo
    ha saputo
    regarti silenzi.
    Combattere
    con l'intenso dolore
    che si agita dentro
    e volere
    vivere
    consapevoli
    di essre morti;
    e si ricerca
    quella forza
    che un giorno
    possa indicare
    la strada,
    l'uscita,
    da questa realtà
    che per noi rimane
    solo,
    malattia.

    IRENE

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  12. [Doveva controllare anche gli altri libri, quelli che non aveva mai letto, magari avrebbe trovato delle risposte.]

    Quello che Luigi non poteva sapere era che, nascoste tra la polvere e l’inchiostro, c’erano più che le semplici lettere bianche che si andavano ammucchiando sulla scrivania.
    Il fatto è che, l’autrice di tutti quei documenti, ‘questa Muriel’ che aveva riempito decine e decine di biglietti di lacrime e passione, non era mai esistita. O per meglio dire: era un’invenzione. Un sollazzo di suo nonno Diego; e nient’altro.
    I fogli rubati alla signora Sabine erano sì stati spediti dall’Austria, ma dell’Austria non avevano visto che un semplice ufficio postale, quello più vicino al confine pergiunta. Inviati durante una gita domenicale: di ritorno alla casa padronale solo tre giorni più tardi.
    Ora, sarebbe fare un torto a Luigi dire che non c’era niente di strano nella relazione tra Diego e Muriel. E dal canto suo, anche nonno Diego, quando in vita, non aveva fatto altro che pensare a Muriel come alla sua amante. Un’amante di carta e inchiostro, certo, ma pur sempre un amore che non avrebbe potuto esporre al sole.
    Ed era così che Muriel era finita a nascondersi tra le pagine di Laclos e quelle del dizionario di latino, infilata di traverso nelle rubriche economiche dei quotidiani, schiacciata tra un indice e l’altro, a mo’ di segnalibro. In fondo, quelle collocazioni non avrebbero potuto spiacerle.
    Tra uno starnuto e l’altro, Luigi aveva letto di incontri clandestini, e di ore trascorse in stanze buie e fredde, tormentate dall’odore dell’alcool e delle candele consumate. Di tutti quegli episodi, aveva tentato di formare un unico quadro, e pur essendo all’oscuro della verità, Luigi aveva intuito che qualcosa, davvero, non tornava. Muriel citava spesso eventi che lui sapeva non essere mai avvenuti. Per esempio, quella donna affermava che suo nonno Diego aveva trascorso con lei un piacevole Natale, quando in realtà, ancora appese alla mensola del camino, c’erano foto che provavano il contrario.
    Che suo nonno avesse un sosia? O un omonimo? Luigi supponeva, ma non capiva. E mentre ancora apriva buste, sfogliava carte, e si adirava contro lo spettro di una donna che non esisteva, non era cosciente di quanto avesse realmente intuito.

    ...

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  13. Che suo nonno avesse un sosia? O un omonimo? Luigi supponeva, ma non capiva. E mentre ancora apriva buste, sfogliava carte, e si adirava contro lo spettro di una donna che non esisteva, non era cosciente di quanto avesse realmente intuito.
    La storia di Diego e Muriel era contorta: si agitava tra passato e presente e tornava indietro, citando eventi che ancora dovevano accadere, e anticipando cose che forse non sarebbero mai accadute. Così, mentre ancora Luigi tentava di trovar ordine cronologico alle lettere, una storia stava lentamente prendendo forma.
    Per riassumere:
    Diego era un uomo che si annoiava facilmente. E anch’egli, come suo nipote Luigi avrebbe un giorno, trovava la poesia estremamente… sfuggente. Di più: non sopportava la parola scritta, e ogni volta che vedeva un libro era preso dalla volontà di sfogliarlo – di ridurlo in mille frammenti. Cosa curiosa visto che, un giorno, sua moglie Emma gli suggerì un gioco che lui prese a praticare con fin troppo entusiasmo.
    Diego ominciò a leggere per la prima volta il contenuto di quell’infinita biblioteca che aveva ereditato dai propri avi. Beninteso, niente di quel che leggeva riusciva mai a toccare il suo spirito; ma era questo che aveva dato il via a tutto: Muriel era nata dall’insoddisfazione che quei classici polverosi impartivano al suo animo di uomo semplice. E quindi: via! Dalle storie d’amore avevano preso forme tresche e sentimenti non ricambiati, dall’epica poesie stonate, e dai dizionari lunghi monologhi questo o quell’altro argomento.
    Niente di troppo elaborato. Niente di eclatante. Una storia semplice, che si collegava a mille altre, ma che non apparteva a nessuna. Frammenti d’inchiostro scalfiti da una personalità che si fingeva innamorata di se stessa: il tormento di uno scrittore mancato.
    Un nome che Emma aveva donato al marito per distrarlo dalla noia: questo era Muriel; e nient’altro.
    Luigi non avrebbe potuto ricostruire l’intera vicenda dai pochi frammenti che aveva ritrovato nel corso di quella settimana trascorsa sugli scaffali. Ma, a discapito di ciò, era giunto a una conclusione: avrebbe dovuto sfogliare l’intera biblioteca. E quando fosse giunto a ricostruire il volto di quella donna, di ‘quella Muriel’ tanto desiderata, forse avrebbe persino provato a tracciarne i contorni.
    Si: certo, si convinse Luigi, l’avrebbe fatto: nel suo libro. Avrebbe raccontato una storia che nessuno ancora conosceva.

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  14. Personalmente non ho mai avuto contatti con la scrittura intesa come mezzo per esprimere le emozioni, gli stati d'animo...insomma non arde in me quel "fuoco sacro"...Ritengo pero' che la scrittura, quel mettere nero su bianco, il flusso costante delle emozioni sia una possibilità offertaci per distinguerci, quasi un elevarsi al di sopra delle brutture del mondo...E nelle parole "rende immortale l'umana passione" sta a mio parere il significato piu' profondo del mio dire. Un plauso dunque alla Poesia con la "P" maiuscola capace di questa funzione quasi catartica e un ringraziamneto mio personale a Mariagiovanna che con le sue reminescenze poetico-letterarie, volute o meno (come non soffermarsi un attimo sulle parole "crepe" e "siepe" rispettivamente di montaliana e leopardiana memoria?)ha risvegliato in me quella voglia, quasi un bisogno di risfogliare quelle pagine di alta Poesia che tanto hanno occupato le mie giornate di studentessa.
    Laura b.

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  15. FUTURO


    veloce,
    la strada
    mi porta lontana,
    distante
    dai miei pensieri,
    dal mio passato
    tanto triste
    tanto certo
    e adesso
    nebbia
    incertezza
    mi corrono incontro
    è un futuro
    di sogni
    di speranze
    ovvero
    niente;
    solo una strada
    dove non è consentito
    tornare indietro.

    IRENE

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  16. TE

    Vola un pensiero
    Libera è l' anima
    e tutto intorno
    si riempie di quella
    leggerezza
    che da tempo
    mancava
    ai miei sospiri.

    IRENE

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  17. […] Detestava che ogni sua azione dovesse sempre apparirle così irrimediabile, così definitiva. Nella sua testa lo chiamava il peso delle conseguenze ed era sicura che quello fosse un altro ingombrante pezzo di suo padre, che negli anni le si era incarnito nel cervello. Desiderava con avidità la spregiudicatezza delle sue coetanee, il loro vacuo senso di immortalità. Desiderava tutta la leggerezza dei suoi quindici anni, ma nel cercare di afferrarla avvertiva la furia con cui il tempo a sua disposizione stava scivolando via. Così il peso delle conseguenze si faceva addirittura insopportabile e i suoi pensieri prendevano a girare sempre più veloci, in cerchi ancora più stretti […]
    Da "La solitudine dei numeri primi", p. 80
    Laura B.

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  18. sera


    Nel calpestare di foglie
    scende la sera,
    la città,
    cambia colori;
    le flebili luci
    riprendono la scena,
    si torna ad assaporare
    il profumo
    di una stanza,
    gesti conosciuti
    poco alla volta
    tornano
    ad appartenerci;
    cade
    la maschera indossata
    e si ricerca
    nel silenzio
    il calore dei ricordi,
    riposti in quel cassetto,
    al mattino,
    mentre dietro di noi
    si chiude
    una porta.

    IRENE

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  19. In quel momento la sua ricerca dell'ispirazione si trasformò in una ricerca di informazioni.
    Avrebbe fatto qualsiasi cosa per scoprire quella storia. Peccato che suo nonno non fosse più lì.
    A quel punto Luigi deglutì più volte, posò la lettera sullo scrittoio e corse a prendere una scala.
    Doveva controllare anche gli altri libri, quelli che non aveva mai letto,
    magari avrebbe trovato delle risposte.

    Portò giù dagli scaffali decine e decine di libri. Ingialliti dal tempo, poleverosi
    e con quell'odore che aveva sempre amato.
    Si ricordò quando, da adolescente, aspettava il momento in cui tutti erano impegnati
    per sgattaiolare dentro quella biblioteca. Si sentiva quasi come un esploratore nel
    riuscire ad entrare segretamente in quel luogo che era la tana del nonno.
    Solo là spesso riusciva a sentirsi sicuro. Solo là riusciva a sentire il senso della
    sua "appena iniziata vita". Solo là riusciva a non sentirsi in colpa o a vivere tranquillamente
    quella sensazione di essere diverso da tutti gli altri suoi coetani che costantemente pesava su
    di lui.
    Si sedeva in terra, con la schiena appoggiata al gradino del caminetto e iniziava a pensare.
    Non sapeva neanche di pensare. I pensieri gli giravano nella testa come zanzare vicino a una
    pozza d'acqua. A volte confusi, a volte chiari. Pensieri che, uscito da quella tana, non avrebbe più
    ricordato o comunque non avrebbe più potuto formulare chiaramente.
    Pensieri che rimanevano dentro quella stanza a volare.
    Poteva quasi sentirne ancora il ronzio se ci si impegnava.
    Là, immerso in quelle nuvole di pensieri, delle volte, quasi con un gesto automatico e non
    cosciente, prendeva i libri che aveva a portata di mano e facendo scorrere le pagine tra le dita
    ne avvicinava il naso chiudendo gli occhi. Quell'odore era per lui come una droga. Lo calmava e
    per pochi secondi lo faceva sentire in pace, in pace con se stesso e con tutto il resto del mondo.
    Tutte le volte però apriva gli occhi di colpo, con una terribile paura nel cuore: che il nonno o
    qualcun'altro potesse coglierlo in fragrante nel suo rituale "sacro e segreto".
    Colto da una paura che non avrebbe provato neanche se fosse stato scoperto a rubare
    al mercato, il suo cuore iniziava a battergli all'impazzata. Era in quei momenti che il peso
    di quel senso di inadeguatezza tornava ad emergere.
    Allora si alzava e scappava via, lasciando il profumo dei libri vecchi, la polvere e quelle enormi
    nuvole di pensieri aleggiare nella biblioteca.

    Sparse i libri in terra, sul tappeto che era stato della sua bisnonna, era passato
    a sua nonna, a sua mamma e ora era suo.
    Rioccupò quella vecchia posizione con la schiena appoggiata al gradino del camino e pensò
    a come aveva potuto passare così tanto tempo in quella posizione così scomoda.
    Mise un cuscino tra la schiena e il marmo e iniziò il suo lavoro.

    Quasi entrato in una dimensione alternativa iniziò a sfogliare ad uno ad uno tutti i libri
    alla ricerca di qualcosa,non sapeva neanche lui bene cosa: altre lettere, altri foglietti, qualcosa.
    La ricerca lo assorbì talmente tanto che rimase lì per ore, dimenticandosi anche di mangiare e di bere.
    Per tutto il giorno rimase lì, in penombra, sfogliando più di trecento vecchi libri e non trovò nulla.
    Né una lettera, né un biglietto, né una scritta che potesse ricondurlo a Muriel.

    Giovanna

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  20. A mezzanotte, in procinto di arrendersi, si trovò tra le mani un libro senza copertina.
    Sul frontespizio poteva poco chiaramente leggere "Julie ou la Nouvelle Héloïse".
    Un altro romanzo epistolare.
    Quel romanzo epistolare.
    Lo aveva odiato con tutto se stesso.
    Julie ou la Nouvelle Héloïse era stata la causa delle tre ripetizioni dell'esame di letteratura francese
    all'università. Leggerlo per lui era stato come una tortura cinese. Lo aveva logorato, stremato e alla
    fine lo aveva lasciato totalmente vuoto. Senza neanche un misero "più" che poteva aggiungere alla sua
    cultura.
    Le pagine di quel vecchio libro sfiorarono il suo pollice. Era sfinito ed iniziava a sentire fame e sete.
    Era sul punto di poggiarlo e lasciare quella stanza, ancora una volta abbattuto dal suo fallimento.
    Aveva creduto che Muriel fosse vera, aveva pensato che se l'avesse trovata avrebbe dato una direzione
    alla sua vita che gli sembrava davvero troppo piatta e statica. E invece si ritrovava svuotato
    e sfinito. L'indomani mattina avrebbe rimesso i libri al loro posto e continuato la sua vita senza
    troppi grilli per la testa.
    Odorò ancora una volta le pagine gialle di quel vecchio libro e appena aprì gli occhi vide uscire da una
    delle pagine un insetto, una "forbicina". Così li aveva sempre chiamati sua madre e lui non si
    era mai preoccupato di dargli un altro nome, ed effettivamente non sapeva se fosse un nome
    inventato da sua madre, una sorta di codice che solo loro due potevano capire, o se era il vero nome
    dell'insetto.
    Gli avevano sempre fatto schifo gli insetti, appena ne vedeva uno iniziava a grattarsi e a spulciare
    ogni centimetro della propria pelle come convinto che solo per il fatto di averne visto uno il suo
    corpo ne dovesse essere ricoperto.
    Così appena lo vide a pochi centimetri dal suo viso lanciò il libro per aria e si allontanò
    da esso facendo dei movimenti convulsi e iniziando a grattarsi il collo e la schiena.
    Julie ou la Nouvelle Héloïse nel suo volo si aprì e alcune parti non ressero e si staccarono dalle altre.
    Luigi continuava a ricercare su se stesso qualsiasi tipo di insetto quando improvvisamente
    il suo sguardo si fermò dritto davanti a sé.
    Un foglio di una carta sottilissima di colore celestino chiaro volava ancora in aria e lentamente
    e ondeggiante scendeva in terra. Rimase fermo a guardare la discesa di quel finto paracadutista.
    Immobile con la mente totalmente sgombra, senza di nuovo fame e sete.
    Quando il foglio si appoggiò in terra Luigi si precipitò a prenderlo. Rimase per alcuni
    secondi a fissarlo senza vedere nulla, senza leggere nulla, lo guardava ma non lo vedeva.
    Poi come risvegliato si strizzò gli occhi e lesse "tua Muriel".


    Giovanna

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  21. Come quando, da grandi, si ritrovano i tesori nascosti da bambini, rimase impietrito a leggere il foglio
    senza muovere un muscolo, con il cuore che gli batteva all'impazzata per la gioia, lo stupore e l'emozione.
    "Mio caro Diego, ho parlato con il vescovo. Mi ha detto che per il momento.......tua Muriel"
    Luigi riuscì a decifrare solo questo dal foglio azzurro.

    Continuò la sua ricerca per tutta la notte fino ad addormentarsi su quel tappeto con il fuoco ormai spento.
    Al suo risveglio riiniziò la ricerca in maniera convulsa, quasi maniacale.
    Dopo tre giorni aveva sfogliato tutti i volumi della biblioteca e aveva al suo fianco, in una
    vecchia scatola di scarpe, quattordici foglietti. Alcuni più comprensibili, altri indecifrabili, alcuni più
    lunghi altri di solo poche righe. Oltre a questi quattordici foglietti aveva trovato, tesoro tra i tesori,
    una fotografia.
    All'estrema destra c'era una donna. Era magra e alta. Le forcine che tenevano i capelli all'indietro
    si lasciavano sfuggire dei ciuffi al lato del viso che, ribelli e leggeri, svolazzavano al vento.
    Un lieve sorriso e degli occhi pieni di grinta lasciavano trasparire una donna
    forte e altera pur nel suo aspetto dismesso e nei suoi abiti vecchi e rovinati.
    Al suo lato Dario, il nonno di Luigi, teneva il braccio attorno al collo di un altro uomo. Sorridevano
    come se non si curassero di nulla. Felici della loro vita.
    Potevano avere tutti tra i 20 e i 25 anni.
    Dietro la fotografia la scritta era chiara e leggibile. La scrittura non era uguale a quella
    delle lettere e dei foglietti, Luigi poteva affermare quasi con sicurezza che si trattasse
    della scrittura di suo nonno.
    "Agosto 1923" c'era scritto in una calligrafia allungata ed elegante di un nero scolorito
    tendente al viola, e infondo sulla destra tre nomi: Diego, Muriel e Francesco.
    Nessun cognome, nessun altro indizio, niente che facesse trapelare dell'altro.

    Luigi prese l'agendina di suo nonno, la stessa agendina che rubò dalla scrivania della biblioteca
    il giorno che suo nonno morì. Quell'agendina che aveva visto e sfogliato tante volte senza
    mai preoccuparsi di dare un volto a quei nomi e cognomi che pienavano le sue piccole pagine.
    Quella stessa agendina che aveva tirato fuori il giorno prima dal cassetto della scrivania della sua camera, su cui aveva sperato di trovare
    qualche indizio su Muriel e su cui invece non aveva trovato nulla.
    Da lì iniziò la sua disperata ricerca di Francesco.
    Aveva trovato 13 Franceschi in quell'agendina.
    Avrebbe aspettato il risveglio del sole e li avrebbe cercati uno ad uno.


    Giovanna

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  22. Anche Giuse presa l'agenda, una piccola agenda rossa con mille stelline colorate. Era il suo primo giorno di lavoro e aveva gli occhi asciutti come due carboni spenti.
    Aveva lasciato Roma, aveva lasciato la scuola e ora si ritrovava in un'altra città, sola in una città che non conosceva...
    La sua era stata una vita calma e piatta, non certamente una vita da romanzo, tutt'al più si sarebbe potuto fare una canzone d'amore.
    Qualche tempo prima aveva conosciuto diversi amori, diversi stupidi amori ma poi era arrivato Dani, tremendamente giovane...e tutto si era confuso...

    chiarina

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  23. Troppo strette le sue vesti per quel gravoso compito. Non era semplice rintracciare quella gente. Inoltre, come se non bastasse, l'indomani sarebbe arrivata Giuse e per almeno due settimane la sua vita e la sua casa sarebbero state un campo di battaglia traspirante ormoni inferociti.
    Ma a lui stava bene così. Luigi non aveva chiesto mai nulla dalla vita, fino a quel giorno era rimasto un uomo tra gli uomini. Non era mai stato uno dei migliori, non era mai stato degno di memoria, nè in positivo, nè in negativo e forse la ricerca di Muriel avrebbe dato un senso alla sua grigia esistenza.
    Scrivere un libro, poi, una follia! ma forse un diario, una agenda, un piccolo raccoglitore di pensieri gli avrebbe fatto comodo, anche solo per guardarsi un pò dentro.
    Prese un vecchio quaderno, posò tra un paio di pagine la foto di Muriel e le sue lettere, raccolse da terra una penna e si sedette.
    Con gli occhi chiusi si lasciò cadere all'indietro sul cuscino di velluto che aveva usato poco prima come schienale.
    Imprevvisamente un intenso odore di gelsomino venne trasportato nella stanza da un violento soffio di vento. Stava iniziando a piovere. Quel profumo fece riaffiorare in lui dei ricordi che temeva e sperava di aver rimosso. La penna stretta nel pugno, quasi come fosse una spada,

    "Lei respirava piano, sembrava che non ci fosse. A volte mi svegliavo e con foga la cercavo, temendo che fosse andata via. Ma lei era lì, era sempre stata lì accanto a me ed era così bello poter rendersene conto, che a volte mi veniva quasi da ridere.
    Quella vita era andata via, mio malgrado. Era stata principalmente colpa mia, ma in fondo anche Nicole aveva i suoi torti.
    Parigi sembrava un sogno, riuscivo a vedere attraverso i suoi occhi e tutto mi si presentava dinanzi scintillante, sfavillante, profumato.
    Forse era tutto andato, non saremmo più tornati indietro. Ognuno ha la sua vita, ora sto scrivendo molto e ne sono contento.
    Quand’ero con Nicole mi sembrava sempre un peccato privarla del mio tempo. Ora ho tanto tempo, tanto che non sarei in grado di contare le ore che si susseguono, sempre uguali, in questa camera, tento che un giorno sembra di infiniti minuti, tanto che la sera ho male alle dita.

    Era mercoledì quando ricevetti la sua chiamata. “Sono a Nizza” mi disse con la sua voce leggera “mi fermerò qui qualche giorno e poi passerò a Ruen”
    “Bene” le dissi. In quel momento mi sembrò così estraneo il tono della mia voce, che un po’ mi spaventai. Non sapevo cosa dirle, non avevo nulla da dirle, ma tuttavia dovevo pur dire qualcosa.
    “Bene, allora ti richiamo, ho bisogno di vederti” continuò lei sempre con leggerezza.
    Accennai un lieve cenno di consenso, ma lei aveva già riagganciato.
    “interessante” pensai. Erano due anni che non mi chiamava, non ci vedevamo da tre. Chissà cosa aveva di tanto importante da spingerla fin qui".

    Era stato liberatorio, avrebbe dovuto farlo più spesso. Si sentiva quasi più leggero. Si rialzò da terra e scese in cucina a bere qualcosa.

    "Sono uscito con Elmond, nella sua nuova auto che puzza ancora di nuovo, sembra incelofanata. Avrei tanto voluto fumare una sigaretta, solo per rendere l’ambiente un po’ meno anonimo, ma lui me lo impedì, ma per farsi perdonare mi chiese subito di scegliere la musica che avemmo ascoltato.
    Cercai per un po’ la valigetta di metallo che conteneva tutti i suoi preziosi cd, quando l’ebbi trovata iniziai a cercare, non so cosa cercavo, ma feci finta di leggere interessato i titoli degli album".

    Brevi frasi prima di coricarsi. Era come un esercizio mentale. L'indomani sarebbe stata una giornataccia e magari avrebbe trovato il suo Francesco.

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  24. Troppo strette le sue vesti per quel gravoso compito. Non era semplice rintracciare quella gente. Inoltre, come se non bastasse, l'indomani sarebbe arrivata Giuse e per almeno due settimane la sua vita e la sua casa sarebbero state un campo di battaglia traspirante ormoni inferociti.
    Ma a lui stava bene così. Luigi non aveva chiesto mai nulla dalla vita, fino a quel giorno era rimasto un uomo tra gli uomini. Non era mai stato uno dei migliori, non era mai stato degno di memoria, nè in positivo, nè in negativo e forse la ricerca di Muriel avrebbe dato un senso alla sua grigia esistenza.
    Scrivere un libro, poi, una follia! ma forse un diario, una agenda, un piccolo raccoglitore di pensieri gli avrebbe fatto comodo, anche solo per guardarsi un pò dentro.
    Prese un vecchio quaderno, posò tra un paio di pagine la foto di Muriel e le sue lettere, raccolse da terra una penna e si sedette.
    Con gli occhi chiusi si lasciò cadere all'indietro sul cuscino di velluto che aveva usato poco prima come schienale.
    Imprevvisamente un intenso odore di gelsomino venne trasportato nella stanza da un violento soffio di vento. Stava iniziando a piovere. Quel profumo fece riaffiorare in lui dei ricordi che temeva e sperava di aver rimosso. La penna stretta nel pugno, quasi come fosse una spada,

    "Lei respirava piano, sembrava che non ci fosse. A volte mi svegliavo e con foga la cercavo, temendo che fosse andata via. Ma lei era lì, era sempre stata lì accanto a me ed era così bello poter rendersene conto, che a volte mi veniva quasi da ridere.
    Quella vita era andata via, mio malgrado. Era stata principalmente colpa mia, ma in fondo anche Nicole aveva i suoi torti.
    Parigi sembrava un sogno, riuscivo a vedere attraverso i suoi occhi e tutto mi si presentava dinanzi scintillante, sfavillante, profumato.
    Forse era tutto andato, non saremmo più tornati indietro. Ognuno ha la sua vita, ora sto scrivendo molto e ne sono contento.
    Quand’ero con Nicole mi sembrava sempre un peccato privarla del mio tempo. Ora ho tanto tempo, tanto che non sarei in grado di contare le ore che si susseguono, sempre uguali, in questa camera, tento che un giorno sembra di infiniti minuti, tanto che la sera ho male alle dita.

    Era mercoledì quando ricevetti la sua chiamata. “Sono a Nizza” mi disse con la sua voce leggera “mi fermerò qui qualche giorno e poi passerò a Ruen”
    “Bene” le dissi. In quel momento mi sembrò così estraneo il tono della mia voce, che un po’ mi spaventai. Non sapevo cosa dirle, non avevo nulla da dirle, ma tuttavia dovevo pur dire qualcosa.
    “Bene, allora ti richiamo, ho bisogno di vederti” continuò lei sempre con leggerezza.
    Accennai un lieve cenno di consenso, ma lei aveva già riagganciato.
    “interessante” pensai. Erano due anni che non mi chiamava, non ci vedevamo da tre. Chissà cosa aveva di tanto importante da spingerla fin qui".

    Era stato liberatorio, avrebbe dovuto farlo più spesso. Si sentiva quasi più leggero. Si rialzò da terra e scese in cucina a bere qualcosa.

    "Sono uscito con Elmond, nella sua nuova auto che puzza ancora di nuovo, sembra incelofanata. Avrei tanto voluto fumare una sigaretta, solo per rendere l’ambiente un po’ meno anonimo, ma lui me lo impedì, ma per farsi perdonare mi chiese subito di scegliere la musica che avemmo ascoltato.
    Cercai per un po’ la valigetta di metallo che conteneva tutti i suoi preziosi cd, quando l’ebbi trovata iniziai a cercare, non so cosa cercavo, ma feci finta di leggere interessato i titoli degli album".

    Brevi frasi prima di coricarsi. Era come un esercizio mentale. L'indomani sarebbe stata una giornataccia e magari avrebbe trovato il suo Francesco.


    Mariagiovanna S.

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  25. Tralascio brevemente il nostro Luigi (che non me ne voglia) per inserire un piccolo pensiero.
    Non nascondo la mia "d'annunziana" ispirazione per queste righe che seguono, ma d'altronde in una città come Pisa "La pioggia nel pineto" è un obbligo quasi morale ed è lecito ritenerla una degna Musa.

    In fondo cosa c'è di più bello e malinconico della pioggia?

    "Ascolta
    il rumore della pioggia...
    ascolta
    il tempo
    ormai perduto.

    Taci.
    Senti
    le piccole gocce
    portano via l'odore di futuro
    e il rumore

    di presente...

    Taci...
    è solo pioggia.

    Taci,
    ma lava i tuoi pensieri"


    Mariagiovanna S.

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