Il mondo a quadretti

di Giuseppe Gavazza

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immagini e suoni di Giuseppe Gavazza, dicembre 2010


L'inquinamento sonoro diffuso e invasivo poco a poco viene riconosciuto: il suono, per sua natura, è più pervasivo della luce ma più debole e fragile. Un suono anche pianissimo riempie uno spazio più facilmente di una debole fonte luminosa, non è direzionale, si diffonde in tutte le direzioni e così si disperde e indebolisce. Per di più ha bisogno di un mezzo elastico e solido per viaggiare, non viaggia nel vuoto come un raggio di luce.

Non a caso misuriamo l'universo in anni luce e non in anni suono; non tanto perché la luce è enormemente più veloce (300.000 km al secondo contro i 340 m al secondo del suono nell'aria, un anno luce corrisponde a circa un milione di anni suono) ma perché il suono non viaggia nello spazio vuoto e se anche lo spazio tra i corpi celesti fosse riempito di un mezzo elastico in grado di trasmettere il suono questo, anche se clamorosamente forte, si spegnerebbe ben presto, non andrebbe certo al di là di poche ore suono di distanza.

Se l'inquinamento luminoso e visivo forse non risparmia più alcun angolo della superficie del pianeta Terra (introvabili i luoghi in cui le luci e le immagini prodotte dall'uomo non arrivino: anche nel più perduto fazzoletto di foresta o di deserto il puntino luminoso notturno di un satellite o la scia bianca di un aereo si vedono sempre) quello sonoro ancora risparmia porzioni di territorio molto ampie, zone non di silenzio, ma zone dove i suoni naturali (non prodotti dall'uomo o da manufatti di origine umana) prevalgono o sono i soli suoni udibili. Per fortuna.

Il vero insopportabile inquinamento sonoro è, per me, quello ritmico: ormai le diffusioni musicali sono scandite da ritmi inesorabili e sempre più si allarga, purtroppo, l'orribile abitudine di mettere in sottofondo alle voci parlate radiofoniche o televisive ritmi talvolta soft e “discreti” ma regolari, ripetitivi, ossessivi, monotoni, veloci, incalzanti, impositivi in una parola: indiscreti.

Mi mettono ansia e mi ricordano i fogli a quadretti dove, quando eravamo bambini, ci insegnavano a scrivere e disegnare inquadrando i gesti grafici entro una griglia. Una normalizzazione cartesiana, questa dei suoni di sottofondo, sempre più inesorabile che ricorda le griglie delle finestre delle prigioni così come sono rappresentate nei film, nei fumetti, nei cartoni animati.

In The Draughtman contract, lo splendido film che ha fatto conoscere il genio visivo e visionario di Peter Greenaway in Italia (con titolo banale degno di uno fotoromanzo d'appendice Il mistero dei giardini di Compton House) il disegnatore che disegna la casa e il parco di Compton House inquadrandoli nelle sue griglie prospettiche, nella sua ossessiva e precisa oggettività cartesiana a quadretti registra tutto, anche le persone e le loro azioni diventando un testimone inesorabile di delitti e misteri di quel luogo e dei loro abitanti.

La quadrettatura sonora del mondo rivela con oggettività la frenesia imposta del mondo odierno: è una griglia normalizzante del ritmo lento, irregolare e individuale del cuore, del respiro dei passi, è una danza sottile e subdola, che allinea e omogenizza dall'esterno i nostri ritmi più profondi e naturali.
Una militarizzazione acustica.

"... Musica! Ali della Danza! Senza la musica tutto crolla e striscia ... Musica edificio del Sogno!"

(L. F. Celine, Scandalo negli abissi, il Melangolo, Genova 1984, ultima di copertina)

La danza imposta da un ritmo inesorabile, onnipresente e ininterrotto è danza che strema e sfinisce: mi vengono in mente la danza sacrificale di Sacre du Printemps di Stravinsky e il film Non si uccidono così anche i cavalli.

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