Quegli anni in Germania



di Beatrice Pozzi

Erano tedeschi, tutti, ma evidentemente riusciti male. Deviati. Malati di una malattia potenzialmente contagiosa. E non produttivi sul piano della riproduzione della specie. "Pezzi inutili" da contenere o eliminare, anche loro.
Le femmine, considerate "asociali" ma inoffensive, si salvarono, almeno dalla condanna per violazione della legge (articolo 175 del codice penale) e dalle relative conseguenze.
Per i maschi, invece, c'erano i lavori forzati. Oppure, nei casi in cui c'erano attenuanti e comportamenti omosessuali solo sporadici, la prigione, cure psichiatriche, e castrazione volontaria.
Dal 1933 al 1945 ne furono processati circa settantamila: di questi, a partire già da pochi mesi dopo l'insediamento a Berlino del nuovo Cancelliere del Reich, circa diecimila finorono a "rendersi utili" nei campi di concentramento, a Fuhlsbuttel, Dachau, Sachsenhausen. I restanti, detenuti.
Degli internati, quelli che morirono furono il 60%: più o meno settemila. Molti suicidi, altri usati come cavie per esperimenti dai medici. In genere, nei lager, non resistevano neanche un anno.
Oggi è il giorno della memoria. Anche la loro.

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