Scuola senza bocciature. Il pifferaio di Hamelin.

Tito Rossini, La notte a villa Strohl-Fern, olio su tela

di Roberto Tortora

Stiamo in guardia. E questa volta niente ironia, parliamo sul serio.
Il ministro austriaco dell’Istruzione, la socialdemocratica Claudia Schmied, ha annunciato l’intenzione di abolire la bocciatura nelle scuole superiori a partire dal 2012. La notizia è subito rimbalzata in Italia, dove qualcuno l’ha definita una proposta “pedagogicamente” interessante, poiché la scuola ha la funzione di promuovere, non di bocciare. Qualche altro all’interno della classe politica si sta già fregando le mani, visto che le bocciature costano – in termini monetari, si intende - in quanto un alunno che ripete l’anno aumenta il numero complessivo degli iscritti e dunque pesa sulle casse dello Stato. Altri ancora, inguaribili nostalgici con la molotov nello zainetto, vedono finalmente riaperta la possibilità di sbandierare la loro copia ingiallita di “Descolarizzare la società”.
Cialtroni!
Se c’è un male che sta rosicchiando dall’interno la Scuola italiana in questi anni non è la carenza di risorse economiche, non è il mancato adeguamento della strumentazione tecnologica, non è l’obsolescenza delle strutture logistiche. Quel male è assai più devastante di tutte queste cose messe insieme, assai più pericoloso per gli effetti catastrofici che sta già provocando e che continuerà a spandere a larghe e incontenibili ondate.
Quel male si chiama “facilità”.
Facilitazione dei percorsi scolastici, didattica breve, programmi ridotti, orari ridotti, riduzione del numero degli anni per conseguire una laurea, riduzione delle sanzioni, riduzione dei rimproveri, riduzione delle insufficienze come imperativo categorico perché un Istituto faccia bella figura, riduzione dei compiti da assegnare a casa, riduzione dei contrasti con genitori e figli affinché tutti siano contenti, pardon “soddisfatti” in base a una logica da supermercato: la chiamano Customer satisfaction.
Non solo un’idea, bensì un “ideale” di facilità che possiede la vischiosità molliccia del blob capace di espandersi lentamente dappertutto e che finisce col penetrare perfino negli interstizi ancora presidiati da una volontà di resistenza critica. Il miraggio della facilità - subdolamente edificato su un’equivoca accezione di egualitarismo sociale e cognitivo – che si insinua come un lezzo corrotto nella pancia e nella testa dei nostri giovani studenti. Perché a sedici anni un ragazzo è una spugna, pura e vaporosa, ma pronta ad assorbire ciò che gli sta intorno. E a undici, a quattordici, a diciotto anni i nostri alunni (come del resto la gran parte degli adulti) non sono ancora capaci di resistere alle tentazioni, in specie a quelle più seducenti che promettono di guadagnare molto lavorando poco o punto. A quell’età i nostri ragazzi fanno presto a mettersi in fila, uno dopo l’altro, tutti in marcia dietro il pifferaio di turno capace di allettarli con la promessa di promozioni facili e garantite, un incantatore dalla faccia diabolica, che dà loro le spalle e che essi non riescono a vedere in viso, come non riusciranno a vedere in tempo l’orlo del borro nel quale precipiteranno.
Eppure basterebbe guardarli negli occhi, quei ragazzi, per comprendere che ciò di cui hanno bisogno - un disperato, forse inconsapevole, eppure gridato bisogno – è un sistema di regole. Un decalogo rapido, ma scritto a lettere di fuoco che contempli premi e punizioni.
Basterebbe ascoltarli, questi ragazzi, specialmente quando non aprono bocca, quando ammutoliti arretrano verso una cocciuta ostilità al mondo di noi adulti, basterebbe tendere l’orecchio verso il loro mondo interiore ed esteriore per sentire che hanno bisogno di qualcosa di serio che li metta alla prova, qualcosa di efficace e di utile con cui cimentarsi per davvero. Per esempio un percorso di studi irto di ostacoli strategicamente programmati che riconosca il meritato successo a chi non si sia arreso davanti ai sacrifici.
Perché se non glieli costruiamo noi, questi percorsi, saranno costretti a fabbricarseli da soli. Li costringeremo a credere che le grandi difficoltà della vita consistano nello sterminare eserciti di serpentelli grazie ad una consolle azionata con due dita dal divano del soggiorno.
Li stiamo già inducendo a credere che il principale rito di passaggio verso la stagione adulta della responsabilità sia costituito dalla pornografica competizione in un reality che invece apre vuoti incommensurabili nella coscienza collettiva e nel loro cuore di ragazzi lasciati soli, in marcia, tutti in fila dietro il pifferaio dal ghigno satanico.

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