"IL PLURILINGUISMO è L'ANTIDOTO ALL'IRRIGIDIMENTO DEL PENSIERO"

ENZA DI LALLO

Qualche mattina fa,seduta ad un bar nel centro di Pescara,ho fatto una bellissima chicchierata.Giovanni Agresti,ricercatore di ligua francese all'Università di Teramo,è un giovane uomo pieno di esperienze,di idee sane per raccontare la vita al di là degli oneri e dei doveri quotidiani.Mi parla delle sue scelte,degli incontri fortuiti e fortunati del suo passato,del grande amore per l'essere umano e le sue evoluzioni,attentamente studiato attraverso gli idiomi.Un flusso inarrestabile di nozioni,curiosità che tanto mi dicono del suo interesse per le minoranze, quelle per gruppi che, contano poche presenze numeriche in confronto ad un universo intero,ma una straordinaria ricchezza di storie.Ricchezze artistiche scovate da un capo all'altro del pianeta,tenute insieme da una rete virtuale così fitta da sentirne forte il legame che si è instaurato.Mi racconta delle sfaccettate personalità multicolorate che ha incontrato in questi anni e di come,attraverso l'unione di un progetto,si possa realizzare un sogno comune. Ed è proprio la passione per quello che nasce a creare l'unico vero canale di comunicazione.Le distanze geografiche e fisiche, chissà perchè, mi sembrano all'improvviso solo irrisorie.Mi rende sempre più partecipe del suo lavoro instancabile con l'Associazione LEM-Italia ed io,nel mio piccolo, mi sento sempre più fortunata all'idea di prenderne parte,per raccontare poi la mia esperienza.
L'Associazione Lem-Italia è un'associazione di promozione sociale fondata nel 2008,con lo scopo di sostenere lo sviluppo delle Lingue d'Europa e del Mediterraneo,sia attraverso il portale - www.associazionelemitalia.org-, sia con la promozione della Collana di studi Lem,Aracne Editrice,Roma.



"Dottor Agresti,come nasce un progetto così corposo che si basa sulla passione per la conoscenza di altre lingue?"
"Nasce a poco a poco, strada facendo. Ci vuole molto coraggio, molta ostinazione, un forte desiderio di realizzare un sogno. Il sogno è far conoscere un tesoro, trasmettere un messaggio: la possibilità concreta di diventare persone più ricche, più curiose, con più risorse interiori grazie alla scoperta di altre lingue e culture, in particolare le poco frequentate lingue e culture minoritarie. Siccome parliamo dell'Uomo come fine, possiamo seguire e servirci di varie strade per raggiungere la meta: la via dell'analisi "scientifica" come la via dell'emozione estetica. Ecco perché il nostro progetto è articolato, principalmente, in un convegno universitario e in un contestuale festival artistico-letterario. Se si va fino in fondo, ci si accorge che molte persone vogliono condividere questo sogno perché ci si trovano bene, si sentono più libere, respirano, e a un certo punto l'entusiasmo diventa contagioso.
Tuttavia, di qua e di là da questi aspetti di ordine psicologico, emotivo, che sono la miccia, l'innesco, occorre sottolineare l'enorme, immane difficoltà di "far passare" e far sostenere economicamente un progetto sulla diversità linguistica e culturale. Almeno in Italia, ma ho l'impressione che sia così un po' ovunque, siamo imprigionati in rappresentazioni molto riduttive della lingua e della cultura. Quest'ultima viene intesa troppo spesso e troppo diffusamente come un accessorio, un lusso, un "vestito della domenica". E la lingua viene ridotta in genere a uno strumento di comunicazione, dando per scontato il merito della questione, cioè cosa sia, come funzioni e cosa contenga e implichi il concetto stesso di comunicazione, cioè di "messa in comune". In altre parole, viviamo un dramma sociale e culturale che pare insanabile: esistono persone, che troppo spesso occupano ruoli cosiddetti "di potere", che danno per acquisito una volta per tutte il significato di parole e cose, persone per le quali l'espressione "che caldo che c'è in questa stanza" significa solo "che caldo che c'è in questa stanza"; ed esistono persone che accettano una maggiore complessità del mondo e di loro stesse, per le quali l'espressione "che caldo che c'è in questa stanza" può significare anche "posso togliermi la giacca?", "quasi quasi mi tolgo la giacca", "posso aprire la porta?", "puoi aprire la porta per favore?", "perché non apriamo la finestra?" "che ne dici di berci un bicchiere di acqua fresca?" ecc. Queste persone possiedono maggiore flessibilità intellettuale, ma hanno difficoltà nel comunicare con le prime, le quali comunicano in modo apparentemente più efficace perché non perdono tempo ad approfondire la complessità del reale. Ne risulta un dialogo alterato, e le persone intellettualmente più aperte alla complessità non hanno quasi mai il tempo neanche di spiegare la metà delle proprie idee... e rischiano di dover rincorrere slogan fruibili, di facile e immediata comprensione, per essere ascoltati. Ma forse tutte queste difficoltà servono a selezionare le persone più ostinate e motivate..."
"Come pensa di divulgare ad un grande pubblico un momento legato alla cultura di una minoranza?"
"Per il momento non possiamo parlare di "grande pubblico". Certo, il nostro lavoro è seguito da un pubblico molto diversificato: non solo colleghi dell'Università provenienti dai quattro angoli del pianeta, ma molti giovani, studenti, militanti del mondo associativo, qualche editore e alcuni imprenditori illuminati, una rete di artisti visivi e di scrittori. Questo è già molto importante. Attraverso il nostro nuovo sito, www.associazionelemitalia.org, che sarà in linea dal 20 maggio, e attraverso la coraggiosissima collana di docu-film "Lingue, paesaggi, comunità", contiamo senz'altro di allargare la cerchia dei nostri interlocutori e di fare un salto di qualità anche in termini numerici. Il primo film da noi prodotto, riguardante la rinascita dell'isola linguistico-culturale arberesh di Villa Badessa di Rosciano, realizzato dalla LogicFilm di Antonio Rosano per la regia di Simone del Grosso e le musiche degli Adria, lo straordinario gruppo salentino-albanese di Claudio Prima, dovrebbe uscire in edicola in allegato a una prestigiosa rivista abruzzese e dunque potrebbe rappresentare un volano importante per far conoscere le nostre azioni su una scala maggiore. Del resto, prima o poi le "maggioranze linguistico-culturali" si accorgeranno delle "minoranze linguistico-culturali": quel giorno le prime perderanno alcune certezze, molta arroganza, ma guadagneranno in colore e bellezza. Insisto: parliamo sempre e comunque dell'essere umano, della sua possibilità di crescita e di emancipazione dai modelli riduttivi, stereotipi ai quali i controllori dell'intelligenza vorrebbero ridurlo. Di conseguenza, ogni arricchimento linguistico, culturale, sociale può solo migliorarci."
"Le emozioni che si vivono realizzando un proprio sogno sono diverse, quelle legate ad un riscontro così grande come le può descrivere e quale augurio fa a se stesso e alla sua associazione?"
"L'augurio per l'Associazione è che non sia più la "mia" associazione, semmai la "nostra". E' vero, realizzare un sogno, dopo anni di lavoro, studio, ricerca, lotta, delusioni, rospi ingoiati e risputati, problemi burocratici di ogni tipo, assurdità varie, indifferenza ecc. è una emozione che non ha prezzo e mi porta a difendere questo progetto quasi come fosse il mio terzo figlio... Ma, sinceramente, l'obiettivo supremo per un genitore nei confronti dei propri figli è di diventare "inutile": significherebbe aver seminato bene e formato meglio. Mi auguro di riuscire a tenermi stretti alcuni miei allievi o compagni di strada, e a passare loro il testimone al momento opportuno. Per far questo bisognerà riuscire a trovare nuove risorse per diventare ancora più professionali e fare di questa passione per la diversità linguistica un lavoro vero e proprio. Penso soprattutto a loro: sono "ragazzi" di grande qualità umana e di estrema affidabilità, meritano senz'altro di lavorare ai progetti che hanno nel cuore."
Grazie mille per aver condiviso il suo sogno,e nel frattempo buon lavoro.

4 Commenti

  1. Gentilissima Enza, se mi fosse stato possibile, tra le tante, una delle professioni che mi sarebbe piaciuto scegliere è quella da lei rappresentata in questo servizio. Giornalista. Grazie a questa sua scelta, infatti, le è stato possibile, davanti a un gustosissimo caffè, scambiare una chiacchierata con il professore che lei mi ha fatto conoscere. Per motivi facilmente intuibili, dato che giovane non sono più, esco poco dalla casa. Il suo servizio, mi consente ugualmente di avere l’impressione di aver incontrato il ricercatore Agresti. Dell’associazione Lem – Italia non sapevo neppure l’esistenza. Conoscenza di altre lingue. Lo sa che tante volte mi sono chiesto quante lingue sono di uso corrente nel nostro globo? Alcune migliaia, certamente. Ho sempre immaginato che devono superare di un bel po’ la cifra di cinquemila. Il professore, forse, avrebbe potuto dirmi qual è la più diffusa. Forse il cinese, visto che la Cina è una nazione davvero molto vasta. Saranno molte, moltissime. Alcune usate da milioni di persone, altre, forse, solo da una ristretta comunità. È certo che se non conosciamo il loro pensiero, non passiamo neppure sapere quali sono le loro credenze, la loro fede, le loro aspirazioni, le tradizioni che regolano il loro vivere quotidiano. E l’intento del professore da lei intervistato è proprio questo. Far sì che i limiti, all’inizio piuttosto ristretti di queste popolazioni, si estendano al resto del mondo nel quale vivono, arricchendolo con la loro presenza. È certo che il professore afferma il giusto quando ritiene che, di solito, siamo abituati a dare al linguaggio un significato riduttivo. Mi piace il concetto espresso dal professore. Dagli esempi che ha riportato sembra che ogni informazione che riceviamo è ricevuta in modo diverso a seconda di chi la recepisce. Non mi ero mai soffermato su questa verità che sembrerebbe scontata ma che così non è. Il professore tiene a precisare che parliamo di esseri umani, dei loro valori, indipendentemente dalla lingua che parlano, se questa è conosciuta da milioni o da poche persone. Chiunque, in breve, afferma il professore, ha il diritto all’informazione. Se è questo il suo pensiero penso che proprio nessuno possa contraddirlo. D’altra parte anch’io, nel mio piccolo mondo, mi sono sempre reso conto che il diritto all’informazione è davvero relativo. Sempre se ho capito bene, il docente da lei intervistato afferma che ogni essere vivente ha, deve avere il diritto di essere informato sugli avvenimenti e, nello stesso, di esprimere il proprio parere. Conoscere e farsi conoscere, in conclusione. Il punto dolente anche per questo ricercatore sono le risorse. Sembra che lo Stato le abbia ridotte. Si troverà, quindi, a dover affrontare molte difficoltà. Il mio auspicio? Che la “sua” associazione, la “nostra associazione”, non abbia, né oggi, né domani, neppure dopodomani, un orizzonte ristretto dalla mancanza del vile ma prezioso e indispensabile denaro.

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  2. Sono uno dei ragazzi che collabora con l'associazione LEM-Italia e che condivide con /e grazie a/ Giovanni Agresti l'interesse per le lingue e culture minoritarie di cui anch'io, come Antonio, non conoscevo l'esistenza prima di incontrare una persona tanto entusiasta e appassionata da saper coinvolgere tutti coloro che vi si imbattono. Come spesso accade, è proprio questo genere di incontri a condurci su strade che altrimenti non avremmo mai percorso, a coltivare passioni che non avremmo mai avuto. Per questo ringrazio Giovanni Agresti, per avermi avvicinato alla causa di tante piccole realtà portatrici di tesori inestimabili, per avermi reso partecipe di ambiziosi e nobili progetti, per avermi insegnato a credere nei sogni.
    Il mio augurio e quello di quanti affiancano e sostengono il plurilinguismo e il diritto alla propria lingua è che i propositi del LEM raggiungano il più grande numero di persone possibile e soprattutto i destinatari stessi delle iniziative che il LEM-Italia attua affinché ci sia sempre maggiore consapevolezza della ricchezza derivante dalla diversità linguistica, dal dialogo interculturale,dai saperi e dai valori che essi veicolano, perché diversità è sinonimo di infinite possibilità.

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  3. Voglio riferirle una vicenda, ed una riflessione, gentilissima Enza.
    Dopo aver letto il suo interessante servizio, il Caso ha voluto che ricevessi una mail molto interessante da parte di un’infermiera professionista di un lontano paese. Lavora come tutor in una casa abilitata a ricevere le persone che restano sole. Quelle, per intenderci, di cui i parenti non possono o non vogliono interessarsi. Anziane e malate.
    Mi parlava di un nuovo arrivo. Delle difficoltà di intendere il pensiero del nuovo ospite in quanto si esprimeva in un dialetto piuttosto ristretto. Ed ecco che il suo reportage ha illuminato la mia esperienza. Non si capivano perché parlavano due lingue diverse. Il professore da lei intervistato avrebbe potuto tenere una lezione proprio su questa iniziale, è così che mi auguro, incomprensione.
    Sul suo servizio ho già espresso la mia opinione, sincera per quel che può valere. È solo una riflessione quella che desidero aggiungere. Corrisponde al vero. Ci sono persone che quando si avvicinano a qualcuno, anche solo virtualmente, ne migliorano la vita. Lei è una di queste.
    Altre, invece, a qualunque cosa si avvicinino, professionalmente, o per amicizia, la guastano irrimediabilmente, portando le persone alla disperazione vera e propria. Lei non è mai appartenuta, né ne farà mai parte, a questa seconda categoria. La sua presenza, la sua persona, la tua statura sono una ricchezza per i mondi che ne sono illuminati. Grazie. Antonio.

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  4. Grazie a chi, con il suo commento, ha alimentato un discorso positivo come quello del riconoscimento dell'identità altrui.
    Reagisco all'ultimo commento: le barriere linguistiche sono talvolta barriere, talvolta argini. Dipende. In alcuni casi sono ostacoli alla "messa in comune", e quindi vanno senz'altro rimossi. Ma in altri casi sono freni alla superficialità. Incontrare una persona che parla diversamente da noi ci obbliga a fare uno sforzo cui non siamo abituati, ci obbliga a scegliere e pesare quello che diciamo, e di prestare attenzione a tutto quanto non è verbale nel nostro interlocutore. Ecco perché l'incomprensione di cui parla Antonio è meno un problema strettamente linguistico (pure ineludibile) che un problema di disponibilità e buona volontà nei confronti dell'altro. Inoltre, una qualche difficoltà nell'interazione ci spinge a sollecitare altre nostre risorse espressive, mentre un'eccessiva "facilità" nell'interazione può bruciare il nostro pensiero, e farlo derivare verso frasi fatte, frasi fisse e tutto quanto di precostruito c'è nel discorso. Dobbiamo senz'altro riscoprire e desiderare maggiormente la qualità nella comunicazione, mettendone eventualmente in discussione la velocità, quasi mai portatrice di conoscenza, raramente di informazione, troppo spesso solo di "notizia". Un caro saluto a tutti, Giovanni Agresti

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