A scuola in pantaloni corti: quando la decenza non fa media.



di Roberto Tortora






Esercizio per il mese di giugno: trovare il collegamento tra il Prodotto Interno Lordo dell’Italia e i bermuda indossati per andare a scuola. Non è un problema di facile risoluzione, perciò è necessario fornire altri dati. Qualche giorno fa un preside di Trieste ha diramato una circolare per invitare allievi e allieve a indossare un abbigliamento adeguato durante le lezioni. In altre parole, dato per scontato che i pantaloni corti e i sandali infradito risultano comodissimi per scendere in spiaggia, tra i banchi e nella biblioteca scolastica occorrerebbe invece osservare gli elementari standard del decoro istituzionale. Ci viene naturale pensarlo, perché si tratta di comportamenti dettati dal buon senso. D’altra parte gridiamo subito allo scandalo quando uomini politici, funzionari pubblici, rappresentanti delle istituzioni, insomma tutti quelli che dovrebbero dare il buon esempio, adoperano il turpiloquio e alzano la voce, magari indirizzando agli avversari gestacci da osteria.
Vogliamo ammetterlo? Sentiamo offeso il comune senso del pudore.
Nel Bel Paese, tuttavia, violare le regole è diventata attività non solo lecita, ma addirittura premiale, se non altro sul piano del carisma personale. Ecco perché il preside ha diramato una circolare che arginasse l’indecenza dilagante anche nei luoghi deputati a salvaguardare gli ultimi scampoli di educazione.
Ebbene, gli impavidi studenti si sono ugualmente presentati a scuola in abbigliamento da spiaggia.
Un onesto collaboratore scolastico si è premurato di bloccarli sull’entrata.
E gli studenti hanno avvertito la Polizia. Proprio così, hanno chiesto, senza andare troppo per il sottile, che fosse tutelato il loro sacrosanto diritto di fregarsene delle regole, delle norme, del decoro, del buon senso e del comune senso del pudore.
Quasi negli stessi giorni, nella lucidissima relazione annuale sullo stato della Nazione, il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha ricordato che nel nostro Paese i livelli di apprendimento sono tra i più bassi del mondo occidentale, specificando che al funzionamento del sistema di istruzione nel suo complesso è collegato almeno un punto percentuale di Pil. Verso l’alto o verso il basso, naturalmente.
Eccoci dunque arrivati alla soluzione dell’esercizio. Il collegamento tra i due episodi (telefonata degli studenti alla Polizia di Trieste e relazione del Governatore Draghi) sta in un recente saggio di Donald Sassoon in cui si afferma che personaggi famosi e uomini politici celebrano – specialmente in televisione – la loro mancanza di buone maniere. Se ne fanno un vanto. Dicono parolacce, urlano, mostrano parti nude del corpo come se questo servisse a renderli uguali alla maggioranza del popolo e, al tempo stesso, più originali e perciò degni di essere imitati. Si tratta, evidentemente, di un equivoco egualitarismo pseudodemocratico unito alla orgogliosa esibizione di trasgressività.
Chi assiste disgustato a questo spettacolo e intende ancora difendere la serietà delle Istituzioni sa quanto il comportamento degli adolescenti sia fortemente condizionato dagli esempi che quotidianamente sono dati loro in pasto, specialmente attraverso la televisione. Per tacere d’altro, le foto dei deputati sorpresi a giocare col cellulare durante una seduta nell’Aula di Montecitorio sortiscono un effetto dirompente, poiché autorizzano gli alunni quantomeno a giocare col proprio cellulare durante una seduta di matematica nell’Aula dell’Istituto scolastico che frequentano.
In questi mesi di indecenza istituzionale gli esempi che arrivano dall’alto puntano ottusamente verso il basso, nel senso morale ed estetico della parola. E così i giovani, finiti KO per sfiancamento da immagini televisive e cartacee sempre più degradanti, si adeguano al peggio mentre il loro livello di apprendimento scivola sempre più giù trascinandosi dietro la ricchezza, culturale ed economica, della nazione.


Immagine: Tito Rossini, Terrazza sul golfo, olio su tela

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