Affrontare l'incertezza



di Roberto Tortora




Inutile negarlo, dall’uragano Irina ci aspettavamo qualcosa di più.
Fine agosto, fine vacanze, ci eravamo preparati a un degno finale di stagione, come quelli che siamo abituati a seguire in televisione. Una puntata degna di Lost, o di CSI New York. Qualcosa di scoppiettante, movimentato, sufficientemente adrenalinico perché potessimo rimanere col fiato sospeso per ventiquattr’ore, o almeno per un pomeriggio, anche solo per un’oretta in prima serata dopo il TG delle 20,30. Qualcosa che ci consentisse di mixare il nostro atavico credo nell’apocalisse prossima ventura e il neo ottimismo di matrice tecnologica. Comodamente distesi sull’ovattata sicurezza dei nostri divani, nelle nostre case rinfrescate al centigrado dall’aria condizionata, qualcuno avrebbe esclamato: “Ecco, è così che finirà il mondo. Domani toccherà anche a noi.” Altri avrebbero detto: “Eh no, la città più ricca della nazione più potente del mondo sta lì a dimostrarci che l’uomo postilluministico del XXI secolo è più forte della natura, sa resistere alle più travolgenti catastrofi; riuscirà a cavarsela anche contro i venti che soffiano a 150 Km/h e contro le onde alte dieci metri.”
Certo, ci sono state vittime, le strade sono state allagate e milioni di viaggiatori sono rimasti a terra a causa dei voli cancellati. Eppure le proteste per l’eccessivo allarmismo sono state più rumorose dell’ululato dell’uragano. Anche più durature, se è per questo. Le proteste dei cittadini che se la sono presa con Bloomberg e con Obama per aver diffuso un’eccessiva paura hanno lasciato dietro di sé scie ben più compatte dello strascico di nuvolaglia che Irene si trascinava a rimorchio.
Insomma, vera protagonista di questa falsa, anzi autentica, puntata da serial televisivo (le maggiori emittenti del mondo, Cbs, Nbc, Abc, Fox, hanno fornito una copertura 24 ore su 24 guadagnando picchi di audience che forse non saranno raggiunti neanche nelle prossime presidenziali americane) è stata l’incertezza.
Già, l’incertezza.
“Che cosa avverrà al passaggio dell’uragano?” ci si chiedeva in quei giorni. Le previsioni dei danni, degli effetti collaterali e diretti si riveleranno esatte, precise? Le misure di sicurezza preventiva studiate e predisposte dalle autorità saranno all’altezza degli eventi? Il now how scientifico, la strumentazione astronomica, l’expertise meteorologico forniranno un quadro degli eventi così sicuro da porre la vita umana e quella del Pianeta al riparo dell’apocalisse? E ancora: L’allarme è destinato a ripetersi? In che modo impareremo a resistere alla tropicalizzazione del clima?
L’incertezza.
Se c’è una cosa che possiamo estrapolare subito dagli eventi atmosferici di fine estate è proprio la necessità di imparare a governare l’incertezza. In qualche maniera - definiti indici, ambiti e contenuti - dovremmo farne una materia da studiare nelle scuole. Di più, dovremmo farla diventare “La Materia”.
Per chi lo avesse dimenticato, lo aveva già proposto Edgar Morin. Una delle missioni principali del mestiere di insegnante, aveva scritto il filosofo francese, dovrebbe essere preparare le menti ad affrontare le incertezze. E questo, oggi, possiamo considerarlo il giusto viatico per l’anno scolastico che sta per cominciare. Così non ci meraviglieremo troppo se per le strade di tutto il mondo ci capiterà di incontrare ragazzi con addosso una t-shirt sulla quale è scritto:
“Armageddon was yesterday. Today we have a problem.”


foto: Tito Rossini, Interni, olio su tela

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