Surreale

Ho fatto un viaggio surreale....perchĆØ la normalitĆ  ĆØ oramai cosa strana

di Enza Di Lallo


L'altro giorno ho preso la e mi sono seduta vicino ad una signora di ottantrĆØ anni. Mi ha raccontato di sĆØ, della sua generazione,gente semplice fatta di sentimenti genuini,e mentre parlava candidamente del suo mal d'auto e mentre la ascoltavo ho sorriso.IPoco piĆ¹ di mezz'ora le ĆØ bastato per definire la sua veritĆ ; ho sorriso alla sua idea di modernitĆ  , di tecnologie e di divertimento; ma di lei davvero mi ha colto impreparata la serenitĆ  e il senso della vita, o meglio della sua vita. E io ho fatto un viaggio surreale ....surreale perchĆØ la normalitĆ  ĆØ oramai cosa strana, e non siamo piĆ¹ abituati a sentire il suono della voce di un estraneo, a far conoscenze che non siano virutali, a guardarci negli occhi; non siamo piĆ¹ curiosi di scoprire il mondo attraverso gli altri, siamo molto piĆ¹ propensi a restarcene seduti tutto il viaggio con gli occhi fissi sul cellulare a giocare, mandare sms, o a controllare le visite sul profilo di facebook. Tanto o poco tempo fa, non so piĆ¹ quantificarlo, uno neanche se lo immaginava di avere la propria "bacheca" , la "home", un posto dove parlare di sĆØ e con gli altri,dove condividere i pensieri e i gusti musicali, dove sentirsi liberi eppure spiati.
Prima di tutto questo,partecipare era sicuramente piĆ¹ semplice, anche se piĆ¹ scomodo; si prendeva la sedia e si stava davanti casa a chicchierare, quando il tempo lo permetteva, oppure seduti al caldo, magari a condividere qualche faccenda, e ci si raccontava semplicemente la propria vita familiare. Anche i contenuti erano diversi. Le notizie piĆ¹ grandi, sulla politica, sul governo non necessariamente erano protagoniste,tranne per gli avvenimenti davvero importanti che avrebbero cambiato la storia. A volte ci si ritrovava a farsi solo compagnia,senza motivi particolari, come per soddisfare l'esigenza umana di avere uno scambio di opinioni. L'uomo, come essere umano ha bisogno di identificarsi in un gruppo, ha bisogno di appartenere e di condividere insieme agli altri uomini..... io ad esempio quando ero piccola ricordo che i vicini di casa erano le persone con cui condividevo lo spazio comune, ti conoscevano , ti incontravano tutti i giorni, e nelle situazioni d'emergenza,addirittura erano un proseguo della dimensione familiare. Ora, al di fuori della propria porta, tutto acquista un'accezione negativa, di sospetto e di diffidenza. C'ĆØ un sentimento di involuzione nell'evoluzione, la grande sofisticazione del sistema che si sostituisce, innovando, e che fa meglio dell'essere umano stesso che lo ha creato.
Alla fine scendo alla mia fermata.... peccato-mi dico-non prendere l'autobus piĆ¹ spesso.

2 Commenti

  1. Cara Enza, questo articolo lo ritengo BELLISSIMO perchƩ mette in risalto un lato negativo della civiltƠ attuale, tutta basata su Cellulari, computer e TV ed un lato, che ritengo positivo, della civiltƠ del secolo scorso, quando non c'erano i sopramenzionati mezzi tecnologici.
    La mattina, quando mi faccio la solita camminata, arrivo per le strade del centro e verso le sette e quarantacinque incontro i giovani che vanno a scuola. Quello che mi colpisce soprattutto ĆØ che hanno in mano quasi sempre il cellulare e con le dita premono in continuazione sui suoi pulsanti, anche se stanno parlando con qualche compagno/a.
    Mi danno la sensazione, perĆ², che non siano allegri e spensierati come i giovani di quando avevo vent'anni e bastava il sorriso di una fanciulla per provare una gioia immensa.
    Mi hai fatto tornare indietro nel tempo, cara Signorina Enza, nel descrivere come si viveva ottanta anni fa.
    Io ricordo che la sera, soprattutto d'estate, io e i miei cari ci sedevamo sulla soglia di casa di una vicina insieme a tante altre persone del vicinato e si parlava di tutto: delle persone che non stavano bene, dei giovani che si erano fidanzati, di come era andato il lavoro quel giorno e poi si raccontavano tanti aneddoti e naturalmente non mancavano le battute nei riguardi di qualcuno, che ci facevano gioiosamente ridere.
    Io naturalmente resistevo poco nello stare seduto e insieme ad altri ragazzi ci mettevamo a giocare:
    a "nascondino", a "schiaffetti", al "Tutte le cucuzzare", a "Uno, due, tre stella" ed altri giochi.
    Alla fine, verso le undici, ci si ritirava in casa con il sorriso sulle labbra e con tanta, tanta serenitĆ  nell'animo.
    Quando qualcuno non stava bene, tutto il vicinato si prodigava sia nel visitare e confortare l'ammalato e sia nell'aiutare i familiari che l'accudivano.
    Oggi vivo in un condominio e, devo essere sincero, appena, appena ci si saluta con gli altri inquilini e naturalmente non c'ĆØ alcun tipo di rapporto sociale, se non quello di dire Buongiorno e Buona Sera quando ci si incontra per le scale.
    BRAVISSIMA, Signorina ENZA, che hai saputo cogliere il vero senso del rapporto sociale che c'era una volta!

    Carlo

    RispondiElimina
  2. Gentilissima Enza, i suoi servizi sono molto interessanti perchĆ©, tra gli altri motivi, portano all’attenzione dei lettori riflessioni che diamo per scontate. Mi riferisco in particolare alle ponderazioni della non giovanissima signora che ha viaggiato con lei. ChissĆ  perchĆ© tutti gli anziani sono portati a credere nel fatto che ai loro tempi tutto funzionasse meglio, che l’onestĆ  regnasse quasi sovrana, che dei sentimenti negativi non ci fosse traccia. Ed ecco perchĆ© le sono grato per la pubblicazione di questo servizio. Riportando alla nostra attenzione l’errore comune nel quale noi anziani siamo soliti cadere, vale a dire che ai nostri tempi tutto andasse meglio, ha fatto in modo che almeno tenti di non incorrere nello stesso abbaglio.

    Le riflessioni che seguono nel suo articolo sono tutte veritiere, anche se non necessariamente dannose. Solo un esempio, per cercare di spiegarmi meglio. Se non ci fosse Internet, molto probabilmente, ma potremmo pure togliere l’avverbio dubitativo, non avrei mai avuto la possibilitĆ  di leggere i suoi servizi, non mi sarebbe stato possibile di accoglierla con piacere nel mio piccolo mondo, non sarebbe stato immaginabile che abbia potuto provare nuove emozioni pur non uscendo fuori dalla mia abitazione. «...Quando ero piccola, ricordo che i vicini di casa erano le persone con le quali condividevo lo spazio comune ...» Verissimo ma anche adesso poco ĆØ cambiato, tranne un “piccolo” particolare. “Lo spazio comune” – questa sua definizione mi ĆØ molto piaciuta – non ĆØ piĆ¹ lo spiazzo antistante al nostro caseggiato ma tutto il mondo. Pensi, questo suo servizio, se avesse un parente agli antipodi della nostra Italia, Nuova Zelanda per esempio, potrebbe essere letto tranquillamente pochi minuti dopo la sua pubblicazione sul giornale online con il quale collabora. Impensabile ai tempi della signora alla quale ha potuto accompagnarsi nel suo breve viaggio.

    RispondiElimina

Posta un commento

Nuova Vecchia