di Alberto Altamura
Siamo spesso portati a distinguere, o meglio, a separare la scienza dalla letteratura, e in genere dalla cultura umanistica, vuoi per abitudine vuoi per inerzia vuoi per adesione ad abusati schemi mentali. Ora, se c’è una persona che immediatamente ti mette in crisi e ti costringe a ‘ripensare’ le cose e a rimetterle in ordine, voglio dire un ordine diverso e più rispondente alla verità , è Enzo Jacovino. Un fisico, che ha lavorato per anni in un centro lucano misurandosi con le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile e, perciò, immerso nel mondo della ricerca e della tecnica, e che nello stesso tempo alla letteratura, alla poesia e all’arte non ha mai rinunciato.
Enzo Jacovino è un lucano di nascita, da sempre però vissuto a Taranto; che all’ENEA di Rotondella ha lavorato fino alla pensione, facendo il pendolare, e che a Taranto si sente legato da un rapporto molto stretto, in quanto qui è cresciuto e si è formato e della città jonica ha condiviso affetti, speranze, delusioni, tradimenti …
Orbene, Enzo ha dato alle stampe cose diciamo così un po’ tecniche, che hanno a che fare con il suo lavoro di ricercatore e che, forse, sono conosciute da pochi; ma la sua fondamentale vocazione resta quella letteraria. Autore apprezzato di saggistica, di letteratura e di poesia. Se una annotazione può valere, egli si è sempre mosso in circuiti culturali di tutto rispetto, che vanno al di là del ristretto orizzonte cittadino e provinciale, intessendo rapporti di collaborazione e di amicizia con personaggi illustri del Mezzogiorno: Mancino, Motta, Balistreri, Angiuli, Lacaita, Maffia, Caserta, etc.
A dimostrazione di ciò ci sono le fitte collaborazioni con riviste di cultura di tutta l’area meridionale, i suoi saggi su scrittori e poeti contemporanei (esemplare quello su Cristanziano Serricchio), la sua produzione poetica (numerose, ormai, le raccolte incluse in collane prestigiose come “I Testi” di lacaitiana memoria: mi piace ricordare Queste parole, questo muro) e, da qualche tempo, l’intensa attività critica su un sito on-line “Terpress”. Se poi si aggiunge il fatto che Enzo lavora con discrezione e quasi in silenzio, rifuggendo dalla facile pubblicità e dalla esibita ostentazione, meglio si potrà apprezzare il carattere dell’uomo e dell’intellettuale, più portato ai fatti che ai vaniloqui, alla sostanza che agli accidenti di … aristotelica memoria! Proprio nell’aprile di questo anno ha dato alle stampe un testo ‘misto’ di prose e di poesie, con un titolo alla Wertmuller, Quando un refolo di tramontana avvolgeva la casa del padre, per i tipi di Senso Inverso Edizioni, con una lucida presentazione di Roberto Nistri.
Il libro, che ha già ricevuto attenzioni critiche di un certo rilievo, ci fa riscoprire una faccia, forse meno nota, di Jacovino che riserva un posto importante alla vita privata, agli affetti personali, alla memoria degli anni dell’infanzia e del- l’adolescenza. Ma tutto ciò è vero solo in parte, in quanto nella sua produzione privato e pubblico si sono sempre intrecciati; anzi, la dimensione privata sarebbe inconsistente ed insignificante se non la si legasse a quella pubblica.
Infatti, non si comprenderebbero la pena e l’amarezza di oggi dello scrittore di fronte al mutato paesaggio umano, sociale ed ambientale di Taranto, se non si riflettesse su quelle trasformazioni epocali che hanno fatto di Taranto una città profondamente diversa, e forse dovrei dire sofferente: prima artigianale, piscatoria ; poi industriale, commerciale; prima raccolta nei suoi spazi urbani poi dispersa nei nuovi quartieri; prima orgogliosa di una sua identità , oggi affetta da una sorta di straniamento identitario…
Enzo Jacovino è rimasto in qualche modo sentimentalmente legato alla Taranto dei primi anni ’50, a quella dei Tamburi e di Porta Napoli, dove si trafficava la vita, si scopriva il mondo, si nutrivano le prime speranze e le prime illusioni: le dolci, care illusioni, che andavano oltre la linea dell’orizzonte … e dove il rapporto tra le persone era semplice ed autentico (non facile!) e quello tra la terra e il mare un rapporto intenso, pieno e coinvolgente. Del resto, come si farebbe a capire la natura, l’essenza di questa città se si rinunciasse a cogliere la valenza del mare sia dal punto di vista fisico che spirituale, sia geografico che poetico? Dal vecchio Leonida e Tommaso Niccolò D’Aquino fino a Carrieri, Spagnoletti, Lippo, Pinto, Toscano (per fermarci ai poeti) c’è una linea di continuità ininterrotta, perché, rievocando Carrieri, “se qualche poco di luce da lontano mi viene, è da te Jonio gentile…”
Jacovino è consapevole che quel mondo è ormai scomparso e che l’evento più importante e per molti aspetti devastante nella storia della città è stato l’avvento della grande industria. Una presenza forte, traumatica, che ha sconvolto i vecchi equilibri sociali, ambientali ed umani e ha innestato processi nuovi, che non sono ancora finiti, e che hanno lasciato profonde cicatrici sulla sua pelle e sulla sua anima.
“Un giorno implacabili dinosauri di ferro
– macchine del progresso –
sradicarono dal suolo muri e radici
e gli uomini fuggirono altrove …”,
recita il poeta nel suo modo di far poesia, quella poesia-racconto, che ha ascendenze in Saba e Pavese (per fermarci agli autori nazionali) e continua ad essere la cifra stilistica più emblematica della sua produzione.
Del mondo dell’infanzia non è rimasto più nulla; del vecchio amato quartiere, della casa del padre, delle barche dei pescatori, degli spazi erbosi, della vita bruli- cante di Taranto vecchia … l’unica presenza è quella di qualche gabbiano che, nonostante tutto, continua a frequentare quegli spazi … condannati ormai al silenzio! Solo la figura materna, disegnata con rapide pennellate, prossima ormai all’approdo, riesce ad attenuare quella sorta di ansia, di “strana tristezza” che da sempre lo ha accompagnato nel corso della vita.
Jacovino non è un poeta melenso, che ama coltivare, e direi corteggiare, certe abusate immagini e proporre visioni oleografiche, è un poeta risentito sì, che non disdegna di aprirsi alla riflessione, di mettere il dito nella piaga dei problemi e dei sentimenti, ma che nel contempo riesce ad innestare nel tessuto narrativo i suoi slanci lirici. Ne viene fuori una poesia caratterizzata da continui contrappunti, in cui le ragioni della ragione e quelle del cuore si rincorrono e si confrontano dialet- ticamente, dando vita ad una poesia mai scontata, ma sempre nuova, inedita e ricca di sorprese.
Certo, la stagione che egli, e tutti noi, attraversa non è di quelle più accat- tivanti ed amabili; tutt’altro: da qui a volte la tristezza, la malinconia, persino la cupezza di certi stati d’animo, ma al tempo stesso la speranza che, anche nel grigiore dell’oggi, possa fiorire un mondo migliore, capace di rispettare l’uomo, l’ambiente, la natura …
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