di Vincenzo Jacovino
Lavorare stanca è molto probabile ma che annoi non di certo. La noia disperante c’è, senz’altro, se si è costretti a navigare, ma sarebbe meglio dire, a nuotare nel mare magnum della flessibilitĂ , sinonimo di precarietĂ . Nuotare senza mai giungere ad approdare presso un’isola ove sia possibile una stabilitĂ reddituale, poca o molta che sia, stanca sì e, nel lungo termine, è certo l’annegamento per sfinimento. Si annega perchĂ© vengono meno le forze fisiche ma, soprattutto, quelle mentali. Vien meno il futuro e l’aspettativa di un domani diverso dall’oggi ansiolitico, con l’incubo che lento ma inesorabile avvolge e ammorba il corpo e la mente; e insieme all’incubo si insinua, in modo sottile, la convinzione di essere un fallito. Il domani è incerto, nĂ© si profila un ben minimo orizzonte di luce. L’unica certezza è il buio pesto.
Lavorare stanca è molto probabile ma la rassegnazione di non uscire mai dal lungo, se non infinito, tunnel della provvisorietĂ conduce alla morte civile e all’annullamento della propria dignitĂ . Sono, forse queste, le condizioni per una possibile propagazione della coesione sociale? E’ possibile, allora, chiamare Stato democratico il paese che lascia vivere in queste condizioni i propri cittadini, in particolari i piĂą giovani? E’ mai democrazia quella in cui il legislatore risulta incollato pervicacemente e permanentemente alla poltrona e ai suoi privilegi mentre legifera su tipi e modalitĂ di provvisorietĂ da infliggere al 90% dei suoi cittadini?
Certo questa condizione, tecnicamente intesa, incrementa in maniera esponenziale un solo mestiere: l’arte di arrangiarsi, ossia il vivere di espedienti tendenti sovente all’illecito se non proprio all’aperta illegalitĂ . E se non c’è ancoraggio a un lavoro reale, concreto e stabile quasi sempre non c’è legalitĂ . Al cittadino onesto, pertanto, non resta che l’amaro in bocca e la rabbia che cresce di giorno in giorno e la paura, che essa possa esplodere, non vien mai meno; nĂ© c’è mai alcuno che si chiede: quali conseguenze potrĂ recare al singolo come alla societĂ la sua esplosione?
Ormai c’è, nella maggioranza degli onesti cittadini, la radicale convinzione di trovarsi, comunque si muova, sempre di fronte
chiusa
la porta della cittĂ straniera,
perché tale è, ormai, il futuro per i giovani e non solo per questi, che purtroppo
era fiorita nella (loro) pupilla
come una serra di stelle. (S. Quasimodo)
Sembra, quindi, che questo popolo invisibile ma pur sempre agonizzante debba percorrere il tunnel, senza fine, della provvisorietĂ , a esercitare, purtroppo, il mestiere: dell’arte di arrangiarsi. Ed ecco che giunge a confermare questo principio, non si sa se per confortare o, consapevolmente, per irretire, l’
eco beffarda che ripet(e) il canto
dell’assiolo nascosto tra (S. Quasimodo)
gli scanni e le poltrone del potere: “la monotonia del posto fisso” per la felicitĂ dei giullari, predicatori della nuda flessibilitĂ , mentre la parte onesta dei cittadini di questo nostro Paese vorrebbe
gridare forte il suo tormento
perchĂ© possa risultare doppio, triplo …. centuplo
prima che in nulla lo disperda il vento (S. Quasimodo)
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