di Adriano Nuccilli
Nello scorso post avevamo
presentato i meccanismi flessibili di riduzione della CO2
derivanti dal Protocollo di Kyoto, e ci eravamo lasciati con un
quesito: ci si può fidare di progetti che parlano di abbattere le
emissioni di un gas che neanche riusciamo a percepire?
Analizziamo il complesso
parto dei CDM, considerando le procedure da affrontare qualora
fossimo noi a voler creare un progetto di questo tipo.
Innanzitutto dobbiamo
stilare un progetto che sia effettivamente valido per la riduzione di
gas serra, ad esempio l’installazione di una centrale idroelettrica
in un Paese in via di sviluppo. Una volta definito un disegno di
massima dobbiamo innanzitutto chiedere due autorizzazioni, una alla
DNA (Designated National Authority) italiana, che fa
capo al Ministero dell’Ambiente, e una a quella del Paese che
ospiterà il progetto. Se entrambe le autorità ci autorizzano
possiamo andare avanti.
A questo punto dobbiamo
stilare un PDD (Project Design Document) che è un
documento composto da svariate pagine in cui spiegheremo per filo e
per segno tutti i dettagli del progetto: tipologia, ubicazione,
strumenti di calcolo delle riduzioni della CO2 (i quali
strumenti devono essere approvati), piano di rientro economico, piano
di monitoraggio ambientale, condivisione del progetto con la
popolazione locale (che non solo dovrà essere interpellata ma anche
coinvolta e dovrà trarne beneficio), più un'altra serie di cose che
non sto qui ad elencare.
(immagine tratta da www.mvv-decon.com) |
Una volta realizzato il
PDD lo devo sottoporre a validazione da parte di un terzo soggetto
non coinvolto nel progetto, chiamato DOE (Designated
Operational Entity), che a sua volta, per svolgere questo ruolo,
dovrà essere accreditata dall’UNFCCC (United Nations
Framework Convention on Climate Change), un ufficio delle Nazioni
Unite che monitora la regolarità dello svolgimento di questi
processi. Il programma di validazione del PDD da parte della DOE in
genere dura una decina di mesi, durante i quali verranno analizzati
tutti i singoli elementi che lo compongono, e in caso di irregolarità
i promotori del progetto saranno chiamati a chiarire ogni dubbio che
emergerà.
Se si supera lo scoglio
DOE il gioco non è ancora finito: il progetto passa nelle mani
dell’UNFCCC che ne riverifica la validità; nel caso in cui il
progetto risulti conforme agli standard richiesti può essere
avviato.
Quindi abbiamo finito?
Possiamo prenderci i CER? Assolutamente no, perché la C di CER sta
per CERTIFICATI, quindi verificati ex post!!!
Passato un po’ di tempo
dall'avvio del progetto, viene chiamata una seconda DOE a certificare
l’avvenuta riduzione di CO2, allora avremmo i nostri
CER da vendere.
In conclusione, potrà
sembrarvi un ragionamento di parte ma mi pare che questi titoli di
CO2 abbiano superato abbastanza esami per poter essere
“credibili” ed effettivamente spendibili per la riduzione delle
emissioni di e di quei gas serra che non stanno facendo propriamente
bene alla nostra “casa” Terra.
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