di VALERIO GUIZZARDI *
Un articolo di Valerio Guizzardi per riaprire la stagione della rubrica praticabile che ho aperto mesi fa su Terpress; ci occuperemo insieme a vari colalboratori di welfare, diritti e situazioni negate nell'italia della crisi.
Cominciamo con il problema carceri e qui Valerio Guizzardi presidente associazione detenuti ed ex
detenuti Papillon Rebibbia Onlus sezione emilia romagna, ci da una lucida visione della situazione.
I provvedimenti governativi degli ultimi anni in fatto di sicurezza, Giustizia e carcere ci suggeriscono che un vento di restaurazione sta spazzando il nostro paese portando con sƩ diritti civili acquisiti in anni di lotte sociali e garantiti dalla Costituzione nata dalla Resistenza.
In un contesto politico in cui ai valori si sostituiscono gli interessi delle oligarchie finanziarie criminali internazionali, arrivano a flusso imponente e continuo decreti legge d’urgenza che impongono pesanti restrizioni ai piĆ¹ elementari diritti di cittadinanza.
Si va dallo smantellamento dei diritti sul lavoro e di manifestazione, all’abolizione del Welfare e delle politiche sociali, alla saturazione del Codice penale con una produzione inaudita, tutta ideologica, di nuove fattispecie di reato e aggravamento delle pene.
Per non parlare dell’irresponsabilitĆ della gran parte dei media e di certi schieramenti politico-finanziari nel creare emergenze continue prendendo di mira, di volta in volta, particolari gruppi sociali e usare le vittime dei reati per incitare l’opinione pubblica all’odio razziale e xenofobo. I media per aumentare l’audience quindi i profitti, i politici per incassare vantaggi sul piano del mercato elettorale.
In ambedue i casi a nessuno importa dei danni procurati alla coesione sociale, di scatenare guerre tra poveri se possono perseguire i loro privati interessi materiali. L’estorsione del consenso a mezzo di terrore ĆØ un meccanismo perverso che produce un’infinitĆ di danni collaterali tra i quali, ogni giorno piĆ¹ evidente, la carcerazione non necessaria. Da una parte si impone l’inasprimento della povertĆ degli ultimi nella scala sociale e dall’altra ci si attrezza per prevenire con misure sempre piĆ¹ illiberali e repressive il conflitto sociale generalizzato che inevitabilmente arriverĆ .
L’idea di una gestione autoritaria della crisi economica, infatti, esige uno stato d’eccezione legislativa permanente. Si tenta cosƬ di conservare ricchezze, potere e poltrone da parte di un’accozzaglia di comitati d’affari che qualcuno, contro ogni evidenza, chiama ancora Partiti e si scarica la crisi sul lavoro dipendente e su milioni di famiglie appartenenti agli strati meno abbienti.
Ma come l’esperienza c’insegna, se si risponde con lo Stato Penale alle turbolenze sociali, non si puĆ² ottenere che la radicalizzazione delle stesse. Se si assume come strutturale la precarizzazione del rapporto di lavoro, si aumentano i profitti d’impresa ma s’implementa di conseguenza l’allargamento dell’esclusione sociale, universalmente riconosciuta come principale fonte di devianza. Se si assume come normale che la pena insiste non piĆ¹ solo sul reato ma sull’individuo per le sue caratteristiche, si riempiono le carceri e i Cie di immigrati. Se al disagio giovanile si risponde con politiche proibizioniste, si riempiono le carceri di tossicodipendenti e di consumatori occasionali.
Se, piĆ¹ in generale, si persegue l’ideologia indotta da un paradigma produttivo e dal modello sociale che esso ha creato, che porta le persone a rincorrere il feticcio del denaro e l’arricchimento ad ogni costo, non si fa altro che istigare al reato.
Ecco perciĆ² come la pena detentiva assume un’importanza strategica, ancora di piĆ¹ oggi, travolti da una recessione globale di cui ancora non si conoscono la reale portata e i confini. Il carcere, dunque, come contenitore del conflitto, come discarica sociale, come non-luogo ormai deputato solo all’incapacitazione di donne e uomini relegati a classi sociali subalterne ritenute pericolose.
Definiamo quindi di tutta attualitĆ ed emergente il concetto di Carcere Sociale quale dispositivo normalizzatore biopolitico-statuale per il controllo e il disciplinamento dei corpi risultanti dall’eccedenza del lavoro vivo nella produzione materiale o cognitiva che sia. CiĆ² nondimeno assistiamo sgomenti, dopo aver sorpassato la soglia di 67.000 detenuti, al ripetersi sempre uguale del teatrino dei politici di turno intento a proporci soluzioni populiste, a effetto mediatico di solo annuncio come la costruzione di nuovi istituti di pena in «project financing» (Decreto Monti «Salva Italia», Art.43) o al Decreto solo cosmetico e demagogico «Pacchetto Severino», detto anche «Svuota carceri», inventato di sana pianta per non svuotare proprio nulla. In altre parole si continua a ballare spensierati sul ponte del Titanic nonostante l’iceberg sia giĆ bene in vista.
Del resto le cifre del disastro carcerario sono note e si assestano tristemente a un detenuto morto ogni due giorni per malasanitĆ e a un suicidato ogni quattro giorni. Negli ultimi dieci anni nell’intero circuito penale si sono avuti complessivamente duemila morti. Una vera strage, una strage di Stato. Eppure gli osservatori piĆ¹ attenti ancora capaci di un pensiero autonomo, oltre all’associazionismo carcerario che, di fatto, vive accanto ai detenuti per supplire alle colpevoli mancanze delle Amministrazioni, le indicazioni le hanno date e non da oggi: abolizione delle leggi carcerogene come la Bossi-Fini sull’immigrazione, l’ex Cirielli sulla recidiva, la Giovanardi sulle droghe. Poi l’abolizione dell’ergastolo, la radicale diminuzione dell’uso della custodia cautelare in carcere, una riforma per un Codice penale minimo, l’ampliamento e una corretta esecuzione della Legge Gozzini unitamente a una forte limitazione del potere discrezionale in sentenza della Magistratura di Sorveglianza.
E non ultimo l’inserimento nel Codice penale del reato di tortura. Questo solo per cominciare.
Ma nell’immediato occorre un provvedimento di amnistia e indulto che sfolli le carceri di almeno trentamila detenuti, condizione necessaria per fermare la strage e per mettere in campo contestualmente le riforme di cui prima. Altre soluzioni non ve ne sono, tutto il resto non sono altro che chiacchiere petulanti e/o pelosi interessi.
*Associazione Culturale Papillon-Rebibbia Onlus Bologna
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