LAURENTINO 38

di Alessandro De Sanctis

Vado a trovare Alessandro, per prima cosa saliamo a casa, questi sono i palazzi di fascia B, come li chiama lui per definirne, facendo una graduatoria, la qualità. Non sono quelli tipici dei “famigerati” ponti (chiamiamola fascia C, la più bassa), e nemmeno quelli di fascia A (le costruzioni forse di migliore qualità del quartiere), sono delle “torri” di 14 piani, abbastanza movimentate nella forma esterna, un po' tipo una ziqqurat asimmetrica e allungata verso l'alto, una specie di Lego neoplasticista dell'architetto.

Il progettista di questo grande quartiere popolare realizzato attorno ai primi anni '80, di circa 30.000 abitanti è Pietro Barucci, classe 1922, ex assistente di Adalberto Libera, uno dei mostri sacri del migliore Razionalismo italiano. Ci siamo conosciuti qualche anno fa per lavoro e col tempo mi ha raccontato un po' della sua vita, in particolare le vicende professionali legate a questo grande progetto e alla professione in generale. Laurentino 38, o il Laurentino, come viene di solito chiamato, nasce in un periodo in cui era ancora forte il fenomeno dei quartieri spontanei, caratterizzati da alloggi di fortuna e ancor più semplici baracche, per cui prioritaria era la sconfitta di questa vergogna nazionale (leggi Roma Moderna di Insolera), forse anche per questo motivo rispetto alle dimensioni non si guardò tanto per il sottile.

Per molti è stato ed è in parte sinonimo di degrado e violenza urbana (certo quel nome non aiuta, P38..), ma le cause? Perché lì si e in altri quartieri no? Dagli anni della sua nascita se ne parla come di un piccolo Bronx in cui è pericoloso avventurarsi, soprattutto verso gli ultimi ponti, ed effettivamente anche Alessandro mi racconta di lavatrici scaraventate su cellulari della polizia dall'alto ai tempi degli sgomberi delle nuove case occupate, di frequenti risse tra ragazzini adolescenti, di commissariati aperti e chiusi per “incompatibilità ambientale”. Le cause?

A detta dell’architetto Barucci, alcune palazzine vennero rapidamente riservate ad ex-pregiudicati che già avevano creato situazioni di forte conflitto in altri luoghi a loro riservati e che non si sapeva più come gestire. La ghettizzazione non è sicuramente il miglior modo per favorire la pace sociale, una concentrazione di nuclei familiari problematici socialmente ed economicamente non possono che acuire i problemi, le difficoltà si sommano, moltiplicano, esplodono; attualmente la tendenza più all'avanguardia è quella di evitare il monotipo, la mono-categoria, creare la mixitè sociale , come dicono gli urbanisti e sociologi francesi, mischiare i tipi, le culture, stemperare i colori accesi, le caratteristiche forti, un po' com'è successo spesso nelle città antiche, dove il meno agiato e il benestante o addirittura l'aristocratico vivevano nella stessa strada, rione, quartiere, integrandosi, supportandosi; l'artigiano lavorava per chi aveva più mezzi; librai, tappezzieri, falegnami, doratori, vetrai, impagliatori di sedie, e poi macellai, fornai, rigattieri creavano un tessuto sociale vivo, culturalmente e produttivamente trascinante per tutta la comunità.

Da casa di Alessandro si vede tutta Roma, Castelli, Monti Lucretili, Tivoli, il Cupolone, San Paolo e poi la Vela di Calatrava (lo stadio del nuoto costato parecchi milioni, finito e mai utilizzato per colpa della “Cricca”), l'altezza mi terrorizza un po', ti taglia il respiro. La localizzazione dell'edilizia popolare (l'ex Iacp attuale Ater) è spesso stata periferica, per via dei minori costi dei terreni, visto che il Comune di Roma non ne è proprietario, avendoli svenduti a partire dalla fine del'800 in favore delle grandi società immobiliari (religiose spesso, vedi Roma Moderna) e di furbi e scaltri pescecani (spesso con vere e proprie truffe accertate ai danni della comunità).

La proprietà dei suoli edificabili dovrebbe essere fondamentalmente pubblica, un vero Bene Comune! Inoltre il nuovo quartiere veniva e spesso viene ancora realizzato lontano dal centro, a volte con “finte donazioni” da parte dei proprietari, i quali si vedevano realizzati gli allacci a costo zero dal Comune. I terreni compresi tra il nuovo insediamento e il centro acquisivano immediatamente valore poiché attraversato dagli allacci comunali e lambito in parte dalle nuove edificazioni, e in questo modo terreni agricoli di scarso valore venivano rivenduti (Roma Moderna) come terreni edificabili (la cosiddetta Rendita PARASSITARIA). il Comune non guadagnava niente dall'operazione, non la tassava nemmeno, doveva solo svenarsi per realizzare questi lunghissimi e onerosissimi allacci chilometrici, con grande rovina dell'ignaro contribuente.

Il nostro Laurentino è in area periferica, posto lungo la Via Laurentina, sull'ex tenuta di caccia dei Torlonia, è impostato ad anello, una strada abbastanza imponente serve i vari edifici (torri e linee, o stecche), collegati fra loro, ad una quota superiore, dai “ponti”, elementi di raccordo pedonale, posti perpendicolarmente alla strada, su cui erano progettati ed in parte si sono insediati servizi ed attività commerciali. La strada è leggermente incassata, l'idea importante era quella di dividere la viabilità automobilistica da quella pedonale (Villaggio Matteotti di Giancarlo De Carlo a Terni e tanti esperimenti nord europei, Inghilterra Olanda, e poi la città lineare russa).

A mio avviso l'idea progettuale di partenza si è, forse, anche scontrata con i costi, e la parte pedonale si è ridotta fino a divenire un ballatoio di servizio per i negozi e per i servizi (previsti) dei ponti; la strada è inoltre un elemento troppo importante, troppo invadente rispetto a tutto il sistema, creando delle piste ciclabili e allargando i marciapiedi si potrebbe mitigarne l'impatto negativo, disumanizzante. Al centro doveva essere un grande parco verde, ma vennero presto rinvenuti interessanti resti archeologici e fu quindi tutto recintato e precluso al passaggio. Alcune scuole dovettero essere spostate e finirono per occupare altre parti del previsto parco, precludendone quasi totalmente la realizzazione e l’utilizzo. Solo da pochi anni alcune piccole aree sono state aperte al pubblico più o meno ufficialmente.

I ponti sono divenuti spesso fonte di degrado, per mancanza di operatori economici disposti ad investire in zona, per la mancanza di servizi (alcuni ci sono ma non sono sufficienti evidentemente) e per la conseguente occupazione di alcuni di essi da parte delle frange più problematiche delle ultime generazioni sottoproletarie, come si diceva qualche anno fa. Bisogna dire che nel tempo molte associazioni di quartiere più o meno giovanili e antagoniste hanno sostituito l’assenza delle istituzioni prendendosi carico di ridare dignità e “colore” a quest’area.




I vari casali semiabbandonati presenti in zona sono stati spesso sede di interessanti e partecipate iniziative autoprodotte. Tre ponti, negli ultimi anni, sono stati demoliti (stranamente in concomitanza con la realizzazione del gigantesco centro commerciale Euroma) ma i problemi principali sono rimasti, la manutenzione non si è fatta, gran parte degli edifici presenta i ferri del cemento armato arrugginiti, i quali hanno fatto saltare il cemento copri ferro e che sono stati (nemmeno sempre) trattati con il protettivo, ma non richiusi col cemento, in attesa che si degradi nuovamente tutto. La scelta del pannello in cemento prefabbricato ha contribuito a questo degrado, essendo un materiale con una durabilità limitata, con caratteristiche di isolamento termico e acustico pessime (probabilmente all’epoca questi aspetti non erano ancora evidenti), con problemi fra le giunzioni, che si degradano facilmente se non ben realizzate.

L'unico fattore relativamente positivo era l'economicità, vista la rapidità del montaggio di tipo industrializzato, e per questo si associava frequentemente all'edilizia riservata alle classi disagiate. Ma qual'è stato il costo sociale, e il costo per la manutenzione esterna ed interna, realizzata e ancora necessaria? E il maggior costo per il riscaldamento? Barucci mi ha accennato al fatto che la manutenzione e la gestione dei previsti servizi era sotto la direzione di area DC, e la direzione dell'IACP era di area PCI (o il contrario) e che quindi si contrapponevano con forza per mettersi in cattiva luce a discapito degli abitanti.

I locali dove dovevano essere localizzati i servizi (soprattutto nei ponti) restarono vuoti e furono quindi presto occupati e in alcuni casi vandalizzati (una storia quasi analoga è successa a Corviale, altro importante insediamento dell’epoca). L'attuale IACP è l'ATER, e pochi anni fa si sono verificati arresti per false fatturazioni relative a lavori di manutenzione mai effettuati; i tecnici interessati (in accordo con alcuni dirigenti) collaudavano i suddetti lavori fantasma, si divideva il bottino e l'inquilino continuava ad avere gli spifferi, la condensa e l'acqua in casa. Ci sono poi i problemi di morosità, abusivismo (si è scoperto che alcune palazzine popolari della periferia romana di Torbellamonaca erano occupate da intere famiglie di varie cosche malavitose), affittuari che hanno migliorato col tempo il loro reddito ma continuano ad usufruire dei benefici che la casa popolare offre.

Attualmente si sente spesso che gli enti “devono” svendere il loro patrimonio, ma poi dopo due giorni si annunciano nuove costruzioni, allora qual è il senso? Io non lo capisco bene, qualcuno può aiutarmi? Siamo inoltre agli ultimi in Europa per Edilizia Economica e Popolare, liste impossibili che si risolvono spesso con raccomandazioni e soprusi, nessuna trasparenza delle graduatorie e tempi biblici. E i grandi costruttori ringraziano, grazie anche alle lobby e ai politici connessi. Social Housing Un ultimo punto; ultimamente (vedi il famigerato Piano Casa della Giunta Polverini accettato con gran giubilo dal Sindaco di Roma Alemanno) va molto di moda il Social Housing, che dovrebbe servire le fasce intermedie tra il popolare e l'agiato, quindi lo studente, il divorziato che deve pagare gli alimenti, l'anziano solo, ecc.., ma quello che non si dice è che spesso le convenzioni per realizzare questo tipo di edilizia prevedono un termine di pochissimi anni, di regola sette, o poco più, per cui scaduto questo termine il locatario Social ha il diritto di prelazione per l'acquisto con lo sconto, ma che raramente potrà permettersi, e quindi l'immobile ritorna di proprietà dei costruttori o chi per loro ha promosso l'iniziativa (urbanistica “contrattata”), il quale può finalmente vendere o affittare a costo di libero mercato!

Link sull’argomento Laurentino: http://www.tmcrew.org/l38squat/images/infoshop/storia_di_l38_squat.pdf

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