Giuseppe Gavazza
In
auto nei giorni scorsi ascoltavo Radiotre (per me l'unica emissione
esistente firmata RAI: in questo sono un fedelissimo un po'
integralista, lo so).
Una
delle trasmissioni che seguo di più, anche per ragioni di orario, é
Fahrenheit (“indirizzo di posta elettronica fahre - con la acca
in mezzo - chiocciola RAI punto it”) e in auto un paio di
giorni fa ascoltavo Caccia al libro, come scritto al sito :
“la più longeva delle rubriche di Fahrenheit, ha come scopo di
trovare libri fuori catalogo - I libri cacciati. Ogni giorno, grazie
alla generosità di persone che per condividere il piacere della
lettura decidono di regalare un libro, questa rubrica ritrova uno dei
libri “cacciati”. http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/caccia.cfm
Una parentesi possibile ai conduttori bravissimi e professionali di Radiotre sono le voci degli ascoltatori, soprattutto quando, come in Caccia al libro, entrano di necessità nel vivo di una storia personale e di una passione, cioè quello che li spinge a cacciare – da un lato – e a regalare – dall'altro – un pezzo vivo di sé quale può essere un libro speciale.
Quello che ho fatto e che faccio spesso, ascoltando le voci, é dare loro un'identità: molto facile capire il sesso, facile decidere una collocazione geografica, abbastanza semplice indovinare un'età, talvolta complicato capire il livello culturale, difficile individuare una classe sociale o un mestiere, molto difficile immaginarsi (alla lettera) il volto.
Se,
come scrive Elias Canetti : ”La musica é la migliore
consolazione già per il fatto che non crea nuove parole.” (se
ricordo bene l'ho letto in La provincia dell'uomo, Adelphi) la
radio secondo me sarà la salvezza del mondo per il fatto di non
diffondere altre immagini (e quale riferimento migliore di Fahrenheit
?), anche perché ti stimola a crearle.
Nella
bellissima prefazione de “I racconti di Mamma Oca”, per i
tipi di Feltrinelli, Bruno Bettelheim scrive : “Uno dei grandi
meriti delle favole è lo stimolo e l'arricchimento che permettono
all'immaginazione infantile; per così dire esse l'accendono e il
bambino può così sentirsi libero di servirsi della propria
immaginazione per tirar fuori da una storia tutti i significati che
essa può avere per lui.”
Bettelheim
poi sottolinea come farne film - di questi miti infantili - imponga
uno standard visivo che mina e minaccia la fantasia. Alla lettura
(letta o ascoltata) di una fiaba siamo stimolati e costretti ad
immaginare il mondo raccontato; invece il bestseller cinematografico
impone – ad esempio - una faccia di Pinocchio uguale per tutti:
“La” faccia Pinocchio: e questo é un torto a Pinocchio, a
Collodi e, più di tutto, ad ognuno di noi a cui viene negata la
libertà di inventarsi il proprio Pinocchio personale e intimo, un
amico carissimo insomma.
Quello
che mi sono ritrovato a fare una volta di più ascoltando
ascoltatrici e ascoltatori che cacciavano e offrivano libri era
immaginarli: così ho conosciuto una studentessa (intorno ai 20) con
gli occhi neri e vivaci, probabilmente riccia, centro italica (Marche
o forse Umbria), un signore di mezza età, un professionista (un
avvocato o un professore di lettere), brizzolato, alto e distinto,
certamente pugliese, una giovinetta timida con la voce che sorrideva,
nordest, ancora non ben definita nelle scelte di vita e mestiere ma
certo ben determinata a decidere presto, una anziana casalinga (o
forse pensionata) ligure, un po' sospettosa ma lettrice attenta (di
quelle che leggono con calma ma a cui nulla sfugge, a costo di stare
la notte su poche pagine), direi capelli corti e quasi bianchi, un
signore simpatico e cordiale, un po' sovrappeso, semplice e schietto,
di mestiere pratico (un artigiano, forse un negoziante) di quelli che
leggono soprattutto di sera; e tanti altri.
Vi
invito a farlo: imparate ad ascoltare i volti nascosti, vi troverete
ad inventare un mondo fantastico, un po' come fanno gli scrittori
veri.
In
una schermata di introduzione dell'ultimo film di Jean-Luc Godard
(Adieu au langage) c'é una frase bellissima : “Tous ceux
qui manquent d’imagination se réfugient dans la réalité”.
Immaginare
il mondo vivo con i suoni delle voci é un gioco (to play, jouer,
spielen) fantastico.
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