Il grigio cromatismo della narrativa


di Vincenzo Jacovino

Quanta intensità cromatica c'è nella narrativa? E qual è il colore predominante, ammesso che ce ne sia, uno? Sono domande che, ad ogni fine lettura, si insinuano nella mente del lettore coinvolto e non solo emotivamente. 
             La narrazione di storie è, di volta in volta,  la rappresentazione cromatica di un mondo, di una condizione esistenziale. E se il mondo e le condizioni sono di vario colore, la narrativa non può essere monocromatica però la percezione che, a volte si ha, è di ben altra presa. A rileggere i nostri classici non è infrequente percepire, nel prosieguo della lettura, la presenza di un'atmosfera alquanto grigia mai cupa ma di un cielo discretamente coperto da nubi  filtranti una luce viva, si ma grigia. Anche se la condizione esistenziale narrata è sempre un viaggio nella mutevolezza del mondo e delle situazioni con un cromatismo che assume le varie coloriture e intensità, però nel lettore persiste una grigiolata percezione. E questa sensazione percettiva non solo emotiva  di grigio  persiste nel lettore pur se le pagine descrivono atmosfere ariose, cromaticamente vivaci e, quindi, piene di luce. Sono pagine che emanano, naturalmente, suggestioni e, nel contempo, in quel fondale grigio c'è qualcosa che ricorda il nostro mondo e il nostro tempo.  
 E' una percezione che si avverte non solo leggendo ma, soprattutto, approfondendo  anche la narrativa classica europea, in genere, fanno eccezione i classici spagnoli e americani, appartenenti al Nord come al Sud del continente, ove le storie narrate rappresentano pienamente il mondo e le condizioni esistenziali nella loro ampia e variopinta cromaticità. Il lettore ha la completa percezione della mutabilità cromatica dell'ambiente come delle condizioni esistenziali descritte. Tutto è mutabile ma, soprattutto è mutabile l'intensità cromatica che il lettore non solo percepisce ma riesce ad appropriarsene empaticamente. E' un modo, forse, più incisivo di proiettare il mondo e lo stato esistenziale immaginati per poi riviverli attraverso la pagina anche perché,  quando la condizione umana è sotto assedio, il cromatismo ambientale ed esistenziale risulta più vivo nella gradazione dei toni.
             La percezione di grigio si è ripresentata nel corso della lettura di tre testi di narrativa  di autori italiani. Tutti e tre di grande interesse per i temi trattati, per scrittura e per capacità di coinvolgimento empatico. I tre autori si differenziano per età e genere ma tutti e tre parlano di un periodo che va, temporalmente, dalla metà dell'ottocento agli anni cinquanta del secolo scorso. Le due giovani scrittrici parlano: una della Sicilia e del suo “vento caldo e irresistibile” che “accende i desideri e travolge i cuori ”, l'altra della Sardegna “di una terra e delle sue tradizioni più arcaiche”, ove accade, spesso, un traboccare “dirompente di passioni, amore, rabbia, disperazione e   speranza”.  Il terzo è un autore del secolo scorso e parla, in prima persona, della Puglia una regione quasi esclusivamente agricola la cui matrice è così antica e dalla lenta evoluzione tant'è che Tommaso Fiore ebbe a dire che “la Puglia è una espressione archeologica. La nostra vita fu”.
Sia l'Abbadessa (Capo Scirocco, RCS Libri) che la Roggeri (Il cuore selvatico del ginepro, Garzanti editore), pur essendo nostre contemporanee, nelle loro storie si rifanno a  tempi e mondi lontani dal proprio vissuto però è palese che entrambe abbiano introitato quell'universo intrecciando lo studio della storia della propria terra alle personali memorie d'infanzia. Il terzo scrittore: Serracco (La corriera di Villa Piana e altri racconti, Todariana editrice), uomo del secolo scorso, narra, invece, il come e il dove si è dispiegata, infanzia e gioventù, evidenziando una straordinaria sensibilità per la natura ma, soprattutto, ponendo l'attenzione sulla condizione umana. 
Nel narrare, l'evolversi della sua esistenza di fanciullo, prima e di giovane poi, emerge sia il disagio che la povertà così intimamente connessi non solo del territorio ma dell'intera popolazione.
Non solo il Serracco ma, anche, la Roggeri e l'Abbadessa sembra che non vadano alla scoperta dei colori come accadeva a Gauguin, Klee, Van Gogh e tanti altri artisti che andavano alla ricerca, quasi ossessiva, della luce del Sud o della particolare luminosità mediterranea..Si ha la sensazione che i nostri tre autori non godano del privilegiato panorama del meridione che avvolge uomini e natura  con il suo insito mixer  di intensità e dolcezza. Ovvero, nessuno dei tre va alla scoperta dei colori che i propri territori promanano. 
Il grigio, che il lettore percepisce, assume le varie tonalità e sfumature insite di quel colore. Alla Roggeri viene a mancare  la  luce viva del sole. Il lettore  incontra, a più riprese, cupe atmosfere e umori bui emergenti, entrambi, attraverso una scrittura di delicata poesia, mentre per l'Abbadessa a  mancare non è la luce, che c'è, ma è bigia. Le atmosfere non sono cupe ma manca la luminosità tipica mediterranea. Il lettore è strategicamente coinvolto nelle bigie atmosfere da una scrittura avvolgente come il caldo soffio del vento di scirocco che spesso canta nelle contrade siciliane. Il Serracco narra lasciandosi, invece, guidare dallo stupore e meraviglia del fanciullino racchiuso in sé. Narra e lo sguardo percorre momenti salienti e  luoghi ove è evidente  l'asprezza dell'esistenza non solo delle persone ma, soprattutto, delle cose, della terra medesima. C'è una ricostruzione del tempo e dei luoghi, data con fermezza di sguardo, tanto da intervallare la scrittura con immagini mai velate dall'intensità emotiva e dove la quotidianità dell'esistenza non prospetta solo perdite e fatica.
Le narrazioni dei tre autori rendono anche il paesaggio umano e il lettore non fa che inabissarsi in esso per poi rientrare dopo aver assorbito, a piene mani, il grigio cromatismo della narrativa.

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