di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
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Davide Barilli è un cubanologo vero, uno che conosce quella
terra fantastica meglio di chiunque altro, di sicuro più di me che ho perso il
diritto a tornarci per colpa di una jinetera
della politica di nome Yoani Sanchez. I cubanologi
sanno che cosa significa il vocabolo jinetera
e per chi non lo sa consiglio un corso di spagnolo caraibico a prezzi modici. Certo,
sto parlando d’una jinetera d’alto
bordo, davvero potente, ché lei continua a fare la spola sul percorso Cuba -
Europa - Miami e io (modesto traduttore) sono interdetto come un nemico della
patria. La sua forza da jinete è
tanta e tale che da quando l’ho mollata - ché se proprio volevo una jinetera almeno la sceglievo bella - non
batto più un chiodo, non mi chiama più nessuno a scrivere o a tradurre. Me ne
farò una ragione, ma tacere non mi faranno. Grazie Barilli di avermi dato
l’occasione di scrivere ancora una volta quel che penso.
E veniamo al libro.
Barilli cura un’antologia di tre autori figli della generazione post
rivoluzione, due racconti a testa, che non sono né realismo sucio alla Pedro Juan Gutierrez, né narrativa classica
alla Alejo Carpentier e neppure presentano tracce di real maravilloso. Guerra, Medina e Gala (il primo è il più valido e
graffiante) raccontano storie prese dalla vita quotidiana, come ormai fa ogni giovane
narratore cubano che si rispetti, ma anche il regista più abile (e quanti ce ne
sono sotto il sole dei Caraibi!), come lo sceneggiatore più originale. Guerra è
avanero e si vede, ma è pure sceneggiatore, e sa usare a dovere il dialogo. Il
suo primo racconto - che dà il titolo alla raccolta - sembra una commedia sexy
italiana, con un vecchio professore intento a spiare dal buco della serratura
una procace vicina di casa e i suoi convegni amorosi. Ma il miglior racconto di
Guerra è Finca Vigia, con Hemingway
comico protagonista che fa da contraltare a uno scrittore cubano a caccia di
premi che per campare porta in giro turisti europei ciccioni e sudaticci. Mi ha
convinto meno Medina, nativo di Santiago, che narra le peripezie di uno
scrittore cubano in Uruguay immortalato mentre si mette a osservare i leoni
marini e termina con la storia di un travestito, che ricorda lo stile di
Gutierrez e Torreguitart. Infine Marcial Gala di Cienfuegos non delude per
comicità sopra le righe, in particolar modo quando ci racconta lo scherzo di un
cadavere trafugato dal cimitero.
La narrativa cubana è
vitale, al contrario della narrativa italiana, forse perché un popolo che
soffre produce buona letteratura e grande cinema, un po’ come capitava da noi
ai tempi del neorealismo. Ma è vitale anche la narrativa cubana dell’esilio che
conta su nomi interessanti e prolifici, purtroppo poco noti in Italia, da
Vasquez Portal e Viera, passando per Zoé
Valdés e Wendy Guerra. Un grazie a Barilli da parte nostra che amiamo Cuba e la
sua cultura - molto meno la politica, governativa o dissidente fa lo stesso -
perché ci ha fatto conoscere tre autori ignoti nel nostro paese, da un po’ di
tempo a questa parte così refrattario alla vera letteratura.
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