DAMIEN HIRST A VENEZIA: L’ARTE DEL NAUFRAGIO (O IL NAUFRAGIO DELL’ARTE)

QUESTA VOLTA L'IDEA CHE TERPRESS TRAMITE IL NOSTRO SAURO SASSI SI OCCUPASSE DELLA MOSTRA DI DAMIEN HIRST A VENEZIA E' VENUTA A ME,
CHE NE HO VISTO SU RAI1 UNA BELLA ANTEPRIMA VERAMENTE AFFASCINANTE.
ED ECCO A VOI DAMIEN HIRST!!


DAMIEN HIRST A VENEZIA: L’ARTE DEL NAUFRAGIO (O IL NAUFRAGIO DELL’ARTE)

“Nel 2008, al largo della costa orientale dell’Africa, fu scoperto un vasto sito con il relitto di una nave naufragata. Il ritrovamento ha avallato la leggenda di Cif Amotan II, un liberto di Antiochia, vissuto tra la metà del I secolo e l’inizio del II secolo d.C. … egli accumulò una immensa fortuna… raccolse oggetti provenienti da ogni angolo del mondo antico… I leggendari cento tesori del liberto furono caricati sulla gigantesca nave Apistos (l’Incredibile) per essere trasportati in un tempio appositamente edificato dal collezionista… Ma l’imbarcazione affondò…” Questa storia, riportata dal libretto accompagnatorio della mostra “Treasures from the Wreck of the Unbelievable” (“Tesori dal relitto dell’Incredibile”) sarebbe certamente piaciuta a Umberto Eco e un redivivo Orson Welles avrebbe potuto prenderla a soggetto per un film, magari un prequel, come si dice oggi, di “Quarto potere”. La storia continua raccontando come, nel 2008, il sito dell’affondamento sia stato scoperto e il tesoro affondato ritrovato. Le opere recuperate vengono ora mostrate in pubblico, in parte restaurate, in parte ancora ricoperte di incrostazioni marine, in parte riprodotte: un insieme che farebbe invidia a Charles Foster Kane.
Ora, ci si potrebbe chiedere, cosa c’entra un artista contemporaneo come Damien Hirst con tutto ciò? Iniziamo con vedere brevemente chi è Damien Hirst. Diciamo che, in passato, la grandezza di un artista si misurava dalle commissioni che papi, enti religiosi, re, signori e poi ricchi mercanti, banchieri affidavano loro: così Giotto, Raffaello, Michelangelo, Caravaggio, Rubens, Rembrandt. A partire dall’Ottocento gli artisti vennero affrancandosi dai grandi committenti e cominciò a nascere il mercato dell’arte, e allora i grandi artisti diventarono quelli che riuscivano a vendere a più caro prezzo. Naturalmente ci furono degli intoppi, e così avvenne che artisti che, in futuro, furono considerati tra i maggiori, come Van Gogh, non riuscirono a vendere un quadro. Comunque il meccanismo del mercato si è andato sempre più perfezionando, sono nate figure che sono fondamentali per il successo di un artista: un importante critico, o curatore; una galleria internazionale, americana, inglese o tedesca; alcuni ricchissimi collezionisti; i principali musei di arte contemporanea. Così anche oggi possiamo dire che un artista tanto più è grande quanto più i suoi lavori sono pagati. Sembra (ed è) un meccanismo cinico, biecamente commerciale, che trasforma l’arte in merce. Comunque è così. Si innesca una competitività esasperata tra artisti e chi raggiunge i vertici deve mantenere le migliori relazioni coi soggetti sopraelencati e inserire altri elementi nel proprio lavoro: la grandiosità (che implica grandi studi e tanti collaboratori), una continua ricerca, che comporti la capacità di stupire e, magari, scandalizzare. Damien Hirst (nato a Bristol, in Inghilterra, nel 1965) era, fino a pochi anni fa, uno tra i più quotati artisti viventi. Si poneva, sul mercato dell’arte, ai livelli più alti, assieme all’americano Jeff Koons, al tedesco Gerard Richter, anche all’italiano Maurizio Cattelan. Ha sempre dimostrato grandi capacità imprenditoriali e di auto promozione, fin dalla prima mostra, da lui organizzata quando era ancora studente d’arte, nel 1988. La mostra, intitolata “Freeze”, si tenne in un magazzino dei Docks di Londra e lanciò, oltre ad Hirst, molti altri giovani, allora studenti, che poi divennero importanti rappresentanti di quelli che furono chiamati “YBA”, Young British Artists. Successivamente, questi giovani attirarono l’attenzione di Charles Saatchi, titolare della società di P.R. Saatchi & Saatchi e grande collezionista d’arte, il quale prese ad acquistarli e promuoverli. Questa operazione culminò con una grande mostra che si tenne nel 1997 nel prestigioso spazio pubblico della Royal Academy of Arts di Londra, che lanciò definitivamente diversi di loro (tra i quali i fratelli Chapman, Matt Collishaw, Tracey Emin, Sarah Lucas, Chris Ofili, Marc Quinn, Jenny Saville, Yinka Shonibare, Rachel Whiteread) che ancora oggi occupano i livelli più alti nella considerazione internazionale e, in alcuni casi, hanno anche rappresentato ufficialmente l’arte inglese alla Biennale di Venezia. Questi artisti hanno registri espressivi estremamente differenti, non si può parlare di un movimento con idee e obiettivi comuni, come nel caso di molte avanguardie storiche. Si passa dalla pittura tradizionale ai video, alle sculture, alle installazioni. In alcuni casi le opere presentate alla Royal Academy destarono scandalo, come l’autoritratto di Marc Quinn, realizzato rivestendo una riproduzione in silicone del suo busto con cinque litri (circa) del proprio sangue e ponendo il tutto in una teca a bassissima temperatura; o Chris Ofili che presentava quadri in cui aveva mescolato i colori a sterco di elefante; o Tracey Emin che, in una tenda, raccoglieva i nomi di tutti coloro con cui aveva dormito (in seguito, in una installazione intitolata “My bed”, trasferì in galleria il suo proprio letto sfatto e vissuto, con le lenzuola cosparse di preservativi, sangue, macchie di alcool e così via). Tra tutti questi, però, quello che catturò il centro dell’attenzione, e fu catapultato nell’Olimpo dei più quotati artisti contemporanei, fu Damien Hirst. L’opera che lo impose, e che divenne una delle icone dell’arte della seconda metà del Novecento, si intitolava “The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living”: si trattava di un gigantesco squalo tigre ucciso e immerso in una soluzione di formaldeide, all’interno di una teca trasparente con i vetri virati al verde. L’opera ispirava orrore ma attirava irresistibilmente. Alla mostra presentò anche altri animali, buoi, maiali, pecore, a volte anche sezionati, e inseriti in soluzioni di formaldeide, così come lavori molto diversi in cui emergevano anche altre ossessioni del nostro, come quella classificatoria, non solo di animali ma anche di oggetti e, poi, di medicinali, oppure dipinti a pallini colorati che illustrano la formula di elementi chimici e sono pure composizioni astratte, o bellissimi e coloratissimi tondi che però lui provvedeva a involgarire intitolandoli “Beautiful kiss my fucking ass painting”. La fama di Hirst si accresceva e così aumentava il valore delle sue opere nella collezione Saatchi. Era vera arte? Questo è un problema che si pongono tutti quelli che si accostano all’arte contemporanea e la risposta, secondo me, è sì, perché Hirst interpretava il suo tempo ed era riuscito a dare una forte immagine al malessere, al senso di morte che lo caratterizzava, allora e ancora oggi. Il fatto di turbare, di creare anche comprensibile rigetto dimostrava la problematicità del suo lavoro. Il suo problema era che non poteva continuare a mettere bestie in formaldeide, doveva trovare nuove strade, a partire da ciò che mi sembra centrale nel suo pensiero: l’idea della morte e l’horror vacui che porta a dover riempire tutti gli spazi, a fuggire i vuoti. In questo senso i raccoglitori in cui accumula migliaia di farmaci, pillole lucide e colorate che, private della loro funzione, divengono semplici oggetti estetici, come le migliaia di farfalle con le cui ali realizzare composizioni che, ancora, mescolano la bellezza e la morte. Così come la ripresa del simbolo della vanitas barocca, il teschio, che viene rivestito di platino e di 8601 diamanti, mescolando ancora bellezza, ricchezza e morte. Aveva aperto anche un ristorante a Londra, che non a caso aveva chiamato “Pharmacy”, in cui i clienti potevano cenare in un ambiente che poteva ricordare molto la freddezza di un obitorio, rivestito dalle sue pillole medicinali. Hirst ha rotto con Saatchi, ha voluto vendere direttamente i suoi lavori e, col tempo, le sue quotazioni sono calate. Ha lavorato in silenzio per anni al suo nuovo progetto, mantenendo il più assoluto mistero e trovando un nuovo sponsor nel ricchissimo Francois Pinault, imprenditore del settore del lusso (Yves Saint Laurent, Gucci, Bottega Veneta, Balenciaga …) che possiede a Venezia due spazi espositivi strepitosi, il settecentesco Palazzo Grassi, sul Canal Grande, e Punta della Dogana, estrema propaggine del Sestiere di Dorsoduro, tra il canale della Giudecca e il Canal Grande, edificio triangolare che, come Palazzo Grassi, Pinault ha affidato per il restauro all’architetto giapponese Tadao Ando. Gli edifici, che sono molto grandi, solitamente ospitano mostre differenti, legate alla collezione di arte contemporanea di Pinault. Ora Hirst li ha letteralmente riempiti con la sua opera-narrazione che non può mancare, ancora una volta, di stupire e di suscitare ammirazione per la grandiosità della sua realizzazione. La mostra è suffragata da interviste, fotografie e filmati che mostrano le operazioni di recupero. Le opere sono statue di grandi o enormi dimensioni (nel cortile centrale di Palazzo Grassi la statua “Demon with bowl” supera i diciotto metri di altezza). Ci sono anche opere molto piccole, raccolte in teche classificatorie, molto care all’artista inglese, che rappresentano gioielli o elementi decorativi. Nella narrazione di Hirst tutti questi oggetti rappresentano una summa dell’arte e delle meraviglie del mondo antico, in tutti i continenti, in tutte le tradizioni. Le statue più grandi, spesso, rappresentano scene di violenza, lotte tra esseri mostruosi, così come l’dea di mostro, nell’accezione originaria di essere eccezionale, fuori dall’ordinario, ricorre in molte opere (uomini lucertola, sfingi, idre, meduse, ciclopi). Si mescolano anche culture e leggende, dal Sud America, all’Africa, all’Oriente in un totale sincretismo culturale. Ci si può immergere in questa narrazione, abbandonare gli strumenti di giudizio razionale e pensare di essere dentro un grande gioco, dove i concetti di vero e falso si confondono, così come l’orrore, la bellezza, la morte. Hirst, comunque, si scopre anche un lato ironico, finora assolutamente assente nel suo lavoro. Così, a fianco della documentazione “scientifica” della scoperta della nave e dei suoi tesori, alle bellissime foto subacquee, alle spiegazioni delle opere, affiora ogni tanto un elemento che ci dice che non dobbiamo prendere il tutto tanto sul serio, se, a fianco di antiche divinità, troviamo, incrostate di concrezioni marine, le statue di Topolino e Pippo o, tra i mostri mitologici, un robot dei fumetti giapponesi. Un po’ infastidenti certi lavori che riprendono opere di artisti contemporanei precedenti, come le due donne velate copiate da Cattelan che aveva copiato Fabro o i teschi di unicorni copiati da Jan Fabre. In ogni caso, con questa mostra Damien Hirst spiazza tutti e si rilancia nel mondo dell’arte e ci porta anche a interrogarci, forse in modo più complesso che ai tempi dello squalo in formaldeide, su cosa sia oggi arte. Nel caso di questa operazione si può dire che si tratta di un’unica, grande installazione, che occupa due luoghi diversi, che ha richiesto un impegno economico enorme, che sicuramente ci vuole coraggio a immaginare e realizzare. Sembra l’impresa di un nuovo Fitzcarraldo, ma questa impresa giustifica tanto impegno economico? E il risultato sarà qualcosa che resterà nella memoria come una operazione artistica di tipo nuovo o come una grande mistificazione? Comunque, c’è da pensarci e, intanto, questa mostra è bene vederla.
 Sauro Sassi


DAMIEN HIRST: TREASURES FROM THE WRECK OF THE UNBELIEVABLE
VENEZIA: PALAZZO GRASSI E PUNTA DELLA DOGANA FINO AL 03/12/2017. APERTA TUTTI I GIORNI TRANNE IL MARTEDI’ DALLE 10 ALLE 19.
IL BIGLIETTO COSTA 18 EURO PER LE DUE MOSTRE, CHE SI POSSONO VISITARE ANCHE IN GIORNI DIVERSI FINO ALLA CHIUSURA DEL 3 DICEMBRE. CI SONO MOLTE POSSIBILITA’ PER ACQUISTARE I BIGLIETTI RIDOTTI A 15 EURO: OLTRE 65 ANNI; GIOVANI DAI 12 AI 19 ANNI; STUDENTI UNIVERSITARI FINO A 25 ANNI; ALI INTESA SAN PAOLO; COIN CARD; FAI; TOURING CLUB E ALTRE.
SUGGERISCO, DALLA STAZIONE DI SANTA LUCIA, IMBARCO C, IL TRAGHETTO 5.1 FINO ALLA FERMATA SPIRITO SANTO (5 FERMATE) E POI A PIEDI A PUNTA DELLA DOGANA. DOPO AVER VISTO QUELLA PARTE DELLA MOSTRA, AMMIRANDO LO SPLENDIDO RECUPERO DELL’EDIFICIO DA PARTE DELL’ARCHITETTO TADAO ANDO, SI PUO’ ANDARE A PIEDI VERSO IL PONTE DELL’ACCADEMIA, SUPERANDO LA CHIESA DELLA SALUTE, PASSANDO ACCANTO ALLA CHIESA DI SAN GREGORIO, DOVE C’E’ LA MOSTRA DI UN ALTRO GRANDE DELL’ARTE CONTEMPORANEA, JAN FABRE, PASSANDO DAVANTI ALLA FONDAZIONE PEGGY GUGGENHEIM, IL PIU’ BEL MUSEO ITALIANO DEDICATO ALL’ARTE MODERNA, PASSANDO ANCHE DAVANTI A PALAZZO CINI, CHE OSPITA UNA BELLISSIMA RACCOLTA DI ARTE ANTICA E UNA MOSTRA DI UN ALTRO NOTEVOLE ARTISTA VIVENTE, IL BRASILIANO VIK MUNIZ. SUPERATO IL PONTE DELL’ACCADEMIA SI RAGGIUNGE PALAZZO GRASSI (E’ INDICATO) E POI, TORNANDO VERSO IL PONTE E CAMPO S. STEFANO, SI PUO’ TORNARE A PIEDI IN STAZIONE, O RIATTRAVERSANDO IL PONTE DELL’ACCADEMIA O ANDANDO VERSO RIALTO. QUESTO PER RISPARMIARE SUL PREZZO DEI VAPORETTI, CHE SONO CARISSIMI.




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