IL NOSTRO SAURO CI FA RENDERE LA BICOCCA UN LUOGO CONOSCIUTO E CHE FA PARTE DEL NOSTRO QUOTIDIANO COME L'ARTE CHE LUI CI ILLUSTRA CON COMPETENZA E PERVIA DI PASSIONE E AMORE
PER CONTINUARE A SCOPRIRE LUCIO FONTANA: GLI “AMBIENTI” ALL’HANGAR BICOCCA A MILANO
PER CONTINUARE A SCOPRIRE LUCIO FONTANA: GLI “AMBIENTI” ALL’HANGAR BICOCCA A MILANO
Magari mi ripeto, ma l’Hangar Bicocca di Milano
è uno spazio privato dedicato all’arte contemporanea che tutti i paesi
stranieri ci invidiano: mostre sempre di grande livello, che permettono anche agli
italiani di scoprire importanti artisti, spesso da noi poco conosciuti o mai
presentati, in antichi spazi industriali recuperati di enorme suggestione.
La mostra che si è aperta in questi giorni si occupa
di un artista storico, Lucio Fontana,
presentando un aspetto della sua produzione che normalmente non può essere
esaminata, per la semplice ragione che è nata per essere effimera e durare lo
spazio di una mostra o esposizione: gli “Ambienti
spaziali”. Non restava quindi, agli studiosi o agli appassionati d’arte,
che leggerne le descrizioni o vederne i progetti e una scarna documentazione
fotografica. L’occasione che si offre oggi è quindi irripetibile, perché
vengono riallestiti questi ambienti, con grandissimo rigore filologico, sulla
base di progetti, testimonianze, indagini storiche. Si palesa così un altro
aspetto di una personalità complessa, che deve essere liberata dalle
banalizzazioni come quella di essere solo l’autore dei tagli sulla tela. In
realtà Fontana è stato uno dei più
grandi artisti del Novecento, forse il più grande tra gli italiani, per la sua
capacità di precorrere i tempi, di aprire nuove strade di ricerca. Così,
visitando questa bellissima mostra, sarà facile capire che, ad esempio, per
l’uso che ha fatto dei neon, Fontana
è venuto prima degli americani, da Flavin,
a Nauman, a Kosuth. Ed è venuto prima dell’arte installativa. Consideriamo che
il primo lavoro che si incontra, “Ambiente
spaziale a luce nera”, fu allestito
alla Galleria del Naviglio di Milano nel 1949 ed era un ambiente scuro, illuminato da sei lampade di Wood
(cosiddette a luce nera), in cui fluttuavano figure di cartapesta dipinte con
colori fluorescenti. Fontana, con
queste sue installazioni, desiderava andare oltre le normali suddivisioni
dell’arte (pittura, scultura) e coinvolgere lo spettatore in una esperienza
sensoriale che provocasse reazioni di spaesamento, curiosità. L’idea di andare
oltre l’arte tradizionale, di rivolgersi alla scienza, di cercare di inserire
nell’opera una nuova percezione dello spazio era stata già sostenuta nel 1946 in Argentina, dove allora Fontana
viveva, con il “Manifiesto blanco”,
da lui redatto e sottoscritto da giovani artisti di quel paese.
Fontana era nato in Argentina,
da padre italiano, nel 1899; aveva
poi studiato in Italia, partecipato alla prima guerra mondiale e in seguito era
tornato in Argentina ad aiutare il padre, scultore di monumenti. Tornò in
Italia, nel 1927, seguendo i corsi
di scultura di Adolfo Wildt all’Accademia
di Brera, risultando il migliore del
corso: ciò significa che, se avesse voluto proseguire nel campo di un’arte
tradizionale, avrebbe avuto tutte le capacità e il talento per farlo. Invece,
già da allora, prevaleva in lui uno spirito sperimentale, il desiderio di
confrontarsi coi materiali che lo portò a scoprire la ceramica, realizzando
composizioni in cui era centrale lo studio sulla luce e su come da questa
l’opera fosse determinata. Si avvicinò anche agli ambienti astrattisti di Milano, sperimentò il mosaico; poi, nel
1940, tornò in Argentina, rientrando definitivamente in Italia solo nel 1947. E qui, intorno ai cinquant’anni, inizia il suo periodo di
maggiore creatività. Continua a interrogarsi sull’opera d’arte e sulla
necessità di superare le rappresentazioni tradizionali, andando verso nuove
forme che riflettessero il mondo contemporaneo. Suggestionato dalle ricerche
scientifiche, fonda il “Movimento Spaziale”, coinvolgendo altri artisti e intellettuali. L’anno 1949 è determinante, perché presenta il
già ricordato “Ambiente spaziale a luce
nera” e, nella lotta intrapresa col quadro per uscire dalla sua
costrizione, per aggiungere nuove dimensioni di spazio e di tempo, arriva a bucare la tela. Da allora tutte le sue
opere astratte si chiameranno “Concetti
spaziali”. “Il buco è l’inizio di una
scultura nello spazio. Cerco di
svelare un mistero. Cerco l’inizio dell’arte che sarà”. Quindi c’è questa
grande tensione, la sensazione di essere all’inizio di una nuova era per l’uomo
e anche per l’arte; o, forse, anche la fine dell’arte, che potrà essere
sostituita da cose nuove, nuove forme di espressione umana. Fontana dice che i buchi non sono
un’azione distruttiva, una tabula rasa, ma spazi attraverso cui transitino la
luce, il vuoto, il tempo. Ritiene di avere portato avanti ricerche che sono
iniziate nel primo Rinascimento, con
Paolo Uccello che già lottava per
conferire alla tela una nuova dimensione, la prospettiva. Poi il Barocco,
le sculture di Bernini, che sembrano
dare movimento alle statue. Poi Boccioni,
che cerca di rappresentare il dinamismo di una bottiglia e le forme uniche
della continuità nello spazio. Adesso lui andava oltre, apriva, coi buchi, la
tela allo spazio, la trasformava in scultura, applicandovi sassi, gesso, vetri
colorati, strati di vernice. Contemporaneamente proseguiva la ricerca sugli
ambienti spaziali. La mostra all’Hangar
Bicocca ne ospita nove, dal 1949 fino al 1968, anno della sua morte, usando sempre neon, luci di Wood, pavimenti di gomma e pareti nere, percorsi incerti per
produrre disorientamento ma anche invito alla scoperta, a non credere
all’unicità della visione. C’è poi un aspetto che io amo particolarmente in Fontana ed è quello che potrei definire
zen (penso alla bellissima sequenza fotografica di Ugo Mulas su Fontana
mentre esegue un taglio, intitolata “L’attesa”):
tra tutti gli ambienti caratterizzati da pareti nere, assenza o scarsità di
illuminazione, uno, completamente bianco,
presentata a Documenta 4 di Kassel. Uno spazio labirintico bianco,
invaso dalla luce, che conduce a un “taglio”:
uno spazio di attesa, di quiete. La mostra comprende anche due interventi
ambientali. Subito entrando nell’enorme hangar, un sinuoso tubo al neon,
inizialmente allestito alla Triennale di
Milano del 1951. Di questa installazione una copia si trova anche al Museo del Novecento in piazza Duomo, all’ultimo piano, ed è
visibile anche dalla piazza. La mostra termina, poi, con un’opera spettacolare,
intitolata “Fonti di energia, soffitto al neon per Italia ‘61” allestita a Torino, nel 1961, nell’ambito delle celebrazioni per l’unità d’Italia. Si
tratta, in uno spazio enorme, di un trionfo di luce, dopo tanto buio. Con tubi
al neon blu e verdi sospesi su sette livelli, secondo diagonali convergenti e
divergenti. Fontana diceva di aver
pensato al primo uomo che, quell’anno, era andato nello spazio, al vuoto, al
nulla che aveva incontrato. Guardava al futuro ma il suo sguardo era inquieto,
lui che aveva intitolato un ciclo dei suoi concetti spaziali “La fine di Dio”.
“L’arte
diventerà infinito, immensità, immateriale, filosofia”
Sauro Sassi
LUCIO
FONTANA AMBIENTI/ENVIRONMENTS
Fino al 25
febbraio 2018
L’Hangar
Bicocca si trova in area periferica, in via Chiese 2, è aperta da
giovedì a domenica dalle 10 alle 22
(chiusa da lunedì a mercoledì), l’ingresso
è gratuito e consiglio di consultare il sito della mostra per poter
partecipare alle interessantissime visite guidate tenute dal personale interno,
al costo di sei euro (non occorre prenotare). C’è anche un ristorante, ricavato in quella che era la mensa della fabbrica. Per
arrivare coi mezzi pubblici si prende la nuova linea 5 del metro (linea Lilla, si può prendere a Garibaldi oppure a Zara dove incrocia la linea
3 (linea gialla, che passa dalla stazione centrale e da piazza Duomo). Si
scende a Ponale e si può prendere il
bus n. 51, direzione Cimiano,
scendendo alla fermata via Chiese Hangar
Bicocca (si può anche andare a piedi, la strada è rettilinea e sono poche
centinaia di metri). Se si arriva in auto ci sono ampie possibilità di
parcheggio libero. Vicino all’Hangar anche un centro commerciale con diverse
possibilità per mangiare. Consiglio Coop for Food, a fianco del supermercato
Coop, dove con circa 10 euro si può fare un pasto completo.
LUCIO
FONTANA AMBIENTI/ENVIRONMENTS
Fino al 25
febbraio 2018
Ricordo che
all’Hangar Bicocca è allestita in modo permanente l’opera monumentale di Anselm
Kiefer “I Sette Palazzi Celesti”, da vedere e rivedere
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