LA FONDAZIONE GOLINELLI A BOLOGNA

SAURO SASSI OGGI GIOCA IN CASA DA BOLOGNA CI SCRIVE






LA FONDAZIONE GOLINELLI A BOLOGNA, ESEMPIO DI CRESCITA CULTURALE E CIVILE DI UNA CITTA’ GRAZIE A UN IMPRENDITORE ILLUMINATO



Purtroppo, in Italia, il settore pubblico appare sempre più in difficoltà a sostenere il proprio ruolo, non solo in campo sociale ma anche culturale. In tempi così incerti è invece fondamentale sviluppare iniziative che cerchino di mantenere coesa e civile una società che appare confusa e possibile oggetto di sbandamenti molto pericolosi. Accade, a volte, che proprio all’interno della società civile nascano iniziative che ci fanno rinascere la speranza in un futuro un po’ meno tetro. A Bologna c’è una tradizione di solidarietà e coesione sociale, che si è manifestata in tanti modi: basti pensare alla reazione all’attentato del 2 agosto 1980 alla stazione, a come tutti i cittadini si mobilitarono per aiutare i feriti e dare una forte risposta politica a questa infamia. La forza di questa città, che ne ha fatto una delle più sviluppate d’Italia, è stata l’interclassismo, il fatto cioè che, pure all’interno di scontri politici aspri, si sia mantenuto un forte senso civico, l’orgoglio di appartenere a una comunità e il desiderio di vederla crescere e migliorare per sé e per le nuove generazioni. A questo hanno fortemente contribuito imprenditori che erano cresciuti in questo contesto, si erano formati nelle nostre scuole, a partire da quelle professionali, spesso avevano iniziato come operai prima di avviare la propria azienda. Insomma, Bologna era diventata un esempio di sviluppo ordinato, di civismo, dove anche gli scontri politici, pure molto duri, si mantenevano a livelli di grande rispetto e sempre con la massima attenzione al bene comune. Così, figure come Dozza, Dossetti, il Cardinale Lercaro, il sindacalista Claudio Sabattini, gli intellettuali del Mulino hanno creato e mantenuto per decenni un tessuto sociale forte. Oggi tutto questo tende a venir meno. Bologna ha perso la classe operaia e tanti imprenditori. Quelle che erano aziende grandi e prospere sono oggi in gran parte chiuse: gusci vuoti o trasformate in centri commerciali. Il partito che aveva unificato e governato le varie anime della città non esiste più. Anche qui la società tende a disgregarsi, gli interessi particolari a prevalere, non ci sono più amore per la cosa pubblica, orgoglio civico; basti vedere l’incuria in cui sono tenute strade, edifici. Dilagano atti di vandalismo, a partire dagli sfregi sui muri. Però questa è una città che cerca ancora di reagire, di trovare nuove possibilità di sviluppo, di dare nuova forma a una società profondamente mutata, anche per l’arrivo di tanti abitanti da altre nazioni e civiltà. E’ evidente che, per formare una nuova società, è fondamentale la scuola, dove i ragazzi si incontrano, si confrontano, crescono scambiando idee e acquisendo conoscenza. Così la pensa Marino Golinelli, 96 anni, imprenditore farmaceutico di grande successo, che ha deciso di investire parte cospicua dei suoi guadagni non in borsa o immobili ma in futuro, in persone formate e consapevoli, che possano migliorare il mondo. Ha creato, nel 1988, una Fondazione che ha lo scopo di educare i giovani, a partire dai bambini, all’arte, alla scienza, all’impresa, pensando che cultura umanistica e scientifica insieme possano concorrere a formare persone in grado di promuovere progresso sociale. Nel quartiere periferico di Santa Viola, che ospitava una volta numerose fabbriche, ha aperto, nel 2015, l’Opificio Golinelli, recuperando un edificio industriale delle storiche fonderie Sabiem, che, con un efficace intervento architettonico, è diventato una bellissima macchina del sapere, dove esistono spazi dedicati ai bambini, agli studenti medi e universitari con laboratori scientifici, aree dedicate a sviluppare cultura d’impresa e anche una iniziativa intitolata “Educare all’educare, in cui sono gli insegnanti ad apprendere i modi più innovativi per svolgere sempre più efficacemente il loro fondamentale lavoro. Ora, di fianco all’Opificio, viene inaugurato un nuovo spazio, che si chiama “Centro arti e scienze Golinelli”, un edificio progettato dall’architetto Mario Cucinella, all’interno del quale, con mostre, incontri, attività didattiche incentrate sulla divulgazione scientifica e sul binomio arte innovazione, si offra una nuova sede di confronto, meditazione e crescita a tutti i cittadini. Partendo dall’idea che l’arte non è qualcosa di astratto e che si rivolge solo alla sfera spirituale ma che essa interviene anche nel sociale, interagisce con scienza e industria e concorre concretamente alla crescita umana. Il nuovo edificio, molto bello, è un parallelepipedo di 30 per 20 metri, alto 8, e occupa 700 metri quadri. Le pareti sono in fibra di carbonio trasparente, ed è avvolto da una struttura leggera in metallo chiaro, che permette di farlo apparire una architettura di luce.
 In questo edificio, con esposizioni, incontri, eventi, si approfondirà l’analisi e la documentazione del rapporto arte e scienza, a partire dalla prima mostra che ha inaugurato il 13 ottobre: “Imprevedibile, essere pronti per il futuro senza sapere come sarà”.  Si rivolge in primo luogo agli studenti, presentando documentazioni, soprattutto video, di possibili vie di sviluppo scientifico, mettendole a confronto con opere di artisti molto importanti che, con strumenti diversi, immaginano mondi e spesso giungono, con ingegno e intuizione, a indicare strade e a precedere le realizzazioni della scienza. La visita è comunque consigliata a tutti, proprio perché tutti siamo dentro questa nebulosa che è il presente e dobbiamo interrogarci su dove stiamo andando. Pasolini distingueva tra progresso e sviluppo, immaginando un futuro disastroso; anche Leopardi derideva le “magnifiche sorti e progressive” del genere umano; Golinelli, invece, crede ancora che un mondo migliore sia possibile, partendo dalle innovazioni scientifiche da immettere in una società che, grazie all’arte e alla cultura, avrà sostanza per evolvere positivamente: diciamo che è un umanista, speriamo non l’ultimo.
La mostra si divide in sei sezioni: Il futuro arriva comunque; Il futuro crea più di quanto distrugga; Il futuro non si lascia prevedere; Il pregiudizio contro le cose nuove; Fare i conti con la natura; Chi non innova rischia di perdere anche il proprio passato. Ciascuna sezione è introdotta da un filmato del curatore scientifico e illustrata da alcuni lavori di sedici artisti.
 Si inizia con un tappeto di Martino Gamper, tessuto artigianalmente in Nepal, con la scritta “Expected to Be or Happen at a Time Still to Come”. I caratteri tipografici rimandano a quelli delle pubblicazioni di fantascienza anni Settanta e la frase richiama un atteggiamento più fiducioso verso il futuro che caratterizzava quei tempi. Sulla parete, davanti al tappeto, tre schermi a led dello statunitense Tabor Robak: attraverso un programma si formano continue visioni che mescolano immagini astratte e altre riconoscibili. Ogni schermo ha un colore predominante, a cui corrisponde un argomento (ad esempio: arancione per lusso, superficialità). A fianco Elena Mazzi e Sara Tirelli presentano un video intitolato “A Fragmented World”, in cui viene filmata dall’alto una persona che corre sul terreno dell’Etna. A causa dell’attività del vulcano il territorio cambia di continuo e non è possibile stabilirne una mappa. L’uomo si affanna a definire e comprendere la natura ma questa muta e tende a eludere i suoi sforzi. La sala successiva guarda al passato, agli inizi della rivoluzione industriale. L’argentino Pablo Bronstein ha riprodotto col computer i disegni di macchine dell’epoca e li ha stampati, trasformandoli in carta da parati (bisogna dire molto elegante). Così si recuperano immagini dell’alba dell’industrializzazione e, con tecniche moderne, se ne mantiene il ricordo, come si fa anche per vecchi edifici industriali come quello da cui è stata ricavata la sede dell’Opificio Golinelli. Al centro della sala, una curiosa figura femminile senza testa di Yinka Shonibare pedala su una improbabile macchina volante. Oltre a ricordare i tanti tentativi umani di volare, che, dopo tanti fallimenti, sono però giunti a un esito positivo, Shonibare, inglese di origini nigeriane, ci ricorda una storia di scambi culturali. La figura sulla bicicletta indossa un bellissimo e colorato abito, stampato secondo la tecnica del batik. Questa tecnica, originaria dell’Indonesia, venne importata in Europa dagli olandesi, non incontrando però i gusti occidentali. Venne quindi trasferita nelle colonie africane, dove invece ebbe grande successo, per la possibilità di ottenere colori molto belli e vivaci, del tutto consoni ai gusti di quei popoli, tanto che oggi sono gli africani a ritenersene in qualche modo gli inventori. La sala successiva presenta un progetto del famoso artista danese Olafur Eliasson. Eliasson realizza solitamente grandi opere dove mescola intuizione artistica con saperi ingegneristici, tecnici, architettonici. Il più famoso, “The Weather Project”, aveva portato nelle immense Turbine Hall della Tate Modern di Londra un grande sole, talmente realistico che milioni di visitatori non solo percorrevano questo spazio, ma si sdraiavano e lo utilizzavano come fosse una vera spiaggia. Ultimamente Eliasson ha intrapreso un percorso di impegno sociale, che lo ha portato, ad esempio, alla Biennale di Venezia ancora in corso, a realizzare un laboratorio in cui giovani immigrati, all’interno di percorsi educativi e formativi, hanno lavorato per mesi alla produzione di lampade a basso consumo, da lui progettate, che vengono poi vendute devolvendo il ricavato ad associazioni come Emergency. Un altro progetto, presentato alla fondazione Golinelli, riguarda la produzione di una piccola lampada a energia solare, a forma di girasole, che viene venduta in Occidente e distribuita invece gratuitamente in quelle parti del mondo dove ancora non arriva l’energia elettrica, permettendo così a quelle popolazioni di avere luce per studiare, lavorare, socializzare. Il lavoro del tedesco Christian Jankowski consiste in un video, di una ventina di anni fa, in cui documenta il fatto che, invitato alla Biennale di Venezia, aveva interpellato una serie di maghi e veggenti che si pubblicizzavano sulle televisioni locali, chiedendo loro di prevedere se avrebbe avuto o meno successo a quella manifestazione. Lo scopo era quello di mostrare come uno strumento moderno come la televisione possa anche diffondere ignoranza e superstizione (guarda caso, poi, quasi tutti i maghi gli predissero un successo come in effetti fu). Il tedesco Nasan Tur si è rivolto a scienziati, medici, statistici fornendo tutti i dati su di sé (età, stile di vita, familiarità con malattie, ecc.) chiedendo loro di dirgli quando, probabilmente, avverrà la sua morte. Ha tradotto la data in secondi e riportato l’informazione su un display che si aggiorna di continuo, dicendo quanti secondi ancora mancano alla sua fine. Al momento, oltre un miliardo. Ma quanti giorni, anni? Dovremmo tutti pensarci. Il giapponese Ryoji Ikeda presenta una installazione sonora e visiva, dove, con una base di musica elettronica, scorrono visioni di miliardi di dati grezzi che quotidianamente percorrono la rete: un flusso ininterrotto di informazioni che, ormai, ci avvolge. L’olandese Joep Van Lieshout propone strane sculture che immaginano una mucca del futuro o un creatore di cibo che ci fanno pensare a un avvenire inquietante, a metà tra evoluzione e regressione tribale. Guarda invece al passato Flavio Favelli, che incentra tutti i suoi lavori sul ricordo, sul recupero di oggetti dimenticati, scartati, abbandonati: una poetica che lo ha portato anche a ragionare sulla morte, con la realizzazione della sala per le cerimonie laiche alla Certosa di Bologna. Qui riprende le vecchie insegne luminose che hanno segnato il paesaggio moderno, ma il suo approccio non è quello celebrativo dell’arte pop. Favelli mescola queste immagini al ricordo e le riproduce in modo non del tutto realistico, creando così un paesaggio onirico e personale. L’argentino Tomas Saraceno, invece, è del tutto proiettato verso il futuro. Come Olafur Eliasson lavora su grandi progetti, coinvolgendo ingegneri, architetti, urbanisti. La sua idea è che nel futuro l’uomo abiterà il cielo e bisogna pensare a strutture che, rifacendosi all’esempio della natura, dalle tele di ragno alle nuvole, immaginino un habitat completamente differente. Presenta quindi un modello di struttura abitativa sospesa nell’aria, trasparente e luminosa. Il collettivo Superflex realizza manifesti in cui, per sensibilizzare sui cambiamenti climatici e su come questi influenzino la vita degli animali, realizza sedute di ipnosi in cui volontari siano messi nei panni di animali che abbiano variato la loro esistenza o si siano estinti o eccessivamente riprodotti. Il danese Tue Greenfort resta in argomento, con sculture che riproducono, a grandezza naturale, un tipo di meduse che vivono nelle acque profende dei mari norvegesi e che, a causa dei cambiamenti ambientali, sono risalite verso l’alto. Appaiono molto belle ed eleganti ma hanno sconvolto l’habitat naturale. Un altro degli artisti più famosi è il cinese Ai Wei Wei, critico verso la mancanza di libertà nel suo paese e impegnato, ultimamente, a documentare la situazione dei migranti (anche con un film presentato all’ultima Biennale Cinema di Venezia). Qui presenta un lavoro che si era già visto, in formato assai maggiore, alla sua grande mostra di Palazzo Strozzi a Firenze. Si tratta di biciclette (tradizionale mezzo di trasporto in Cina), assemblate a formare una specie di torre. Le biciclette, di marchio “Forever”, sono nuove e sono state rese inusabili allo scopo per cui sarebbero state create. Una costruzione ironica che ci vuole anche ricordare che in Cina ormai le auto hanno rimpiazzato, come mezzo di locomozione, le biciclette, creando un grande disastro climatico. La mostra, iniziata con la scritta su tappeto di Gamper, termina con una scritta al neon dell’inglese Martin Creed: “Don’t worry”. Rassicurante? Fino a un certo punto. La y finale si stacca dal resto della frase e appare sulla parete confinante. Come abbreviazione può significare “Yes” oppure “Why”. Quindi può avere valenza affermativa o interrogativa. In generale, mi sembra che gli artisti presentino una visione del futuro più problematica e meno ottimistica di quella che appare nei filmati del curatore scientifico. Comunque la mostra ci offre molti spunti di riflessione e, soprattutto, ci dice che il futuro è un tema molto più serio delle piccole e tristi contingenze che, purtroppo, caratterizzano molto del dibattito politico, e non solo in Italia.
 Sauro Sassi



“IMPREVEDIBILE. ESSERE PRONTI PER IL FUTURO SENZA SAPERE COME SARA’”
CENTRO ARTI E SCIENZE GOLINELLI, VIA PAOLO NANNI COSTA 14 BOLOGNA
FINO AL 4 FEBBRAIO 2018
FINO AL 27 OTTOBRE VISITABILE CON VISITE GUIDATE
DAL 28 OTTOBRE: DA LUNEDI’ A VENERDI’: 10-19 SABATO DOMENICA 11-18.
IL BIGLIETTO COSTA 6 EURO, RIDOTTO 4 (SOTTO I 25 ANNI E SOPRA I 65, CARD MUSEI METROPOLITANI BOLOGNA).
VISITA GUIDATA (CONSIGLIABILE) 8 EURO.
LE VISITE GUIDATE SI PRENOTANO SUL SITO:
A FIANCO DELL’ENTRATA DELLA STRUTTURA (CHE, RICORDO, SI COMPONE DELL’OPIFICIO, DEDICATO ALLA DIDATTICA E DEL CENTRO ARTI E SCIENZE, NUOVO EDIFICIO) C’E’ UN AMPIO PARCHEGGIO.
IN AUTOBUS BISOGNA PRENDERE IL 13 VERSO BORGO PANIGALE E SCENDERE ALLA FERMATA SANTA VIOLA (NON MOLTO COMODO)


1 Commenti

  1. Un articolo che descrive benissimo Bologna e che mi sprona a visitare questa mostra. Andrò sicuramente, grazie!

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