NASCITA DI UNA NAZIONE. LASTORIA DELL'ITALIA ATTRAVERSO L'ARTE DAL DOPOGUERRA AL 1968

NASCITA DI UNA NAZIONE. 
LA STORIA DELL'ITALIA ATTRAVERSO L'ARTE DAL DOPOGUERRA AL 1968


Si può raccontare la storia moderna attraverso l’arte? Ci si cimenta una mostra a Palazzo Pitti a Firenze, curata da Luca Massimo Barbero e intitolata “Nascita di una Nazione”. Il pezzo di storia italiana che si vuole ripercorrere va dalla fine della seconda guerra mondiale ai primi anni ’70 e lo si fa attraverso un’ottantina di opere, che non rendono sicuramente la complessità della ricerca di questi venticinque anni ma che, essendo di alta qualità e di artisti particolarmente rappresentativi, ci forniscono interessanti suggestioni e chiavi di lettura. Credo che, al termine, i visitatori potranno convenire che anche l’arte contemporanea interpreta e spesso anticipa i tempi in cui viviamo e, analizzati storicamente, i suoi esiti non sono affatto incomprensibili o gratuiti ma riflettono tutti gli aspetti della nostra vita, dalla politica ai costumi, dal pubblico al privato. Aggiungo che l’allestimento, molto curato e teatralizzato, ci guida in modo piacevole attraverso questo viaggio.
La prima delle otto sezioni si intitola “L’Italia divisa” e il titolo si riferisce sia alla divisione tra sinistre e democrazia cristiana dal 1948 sia al fatto che, nell’immediato dopoguerra, gran parte del mondo intellettuale e artistico faceva riferimento al Partito Comunista Italiano, massimo protagonista della Resistenza e portatore di speranze rivoluzionarie, anche sul mito, ancora forte, della rivoluzione sovietica. Gli artisti italiani, un po’ come avevano fatto i loro omologhi nella Russia subito dopo la rivoluzione (Kandinsky, Chagall, Malevic…) pensavano che occorresse mutare completamente il linguaggio dell’arte, che non doveva più riprodurre il reale ma inventare nuova realtà e concorrere a creare una nuova umanità. Non la pensava così il partito, a iniziare da Togliatti, che chiedeva invece un’arte che fosse immediatamente accessibile, che trasmettesse messaggi semplici e chiari, legata a tutta la nostra tradizione figurativa, e bollava l’arte astratta, la sperimentazione sui materiali come un insieme di sciocchezze. Chi si adeguò fu Guttuso, la cui opera “Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio” avvia il percorso: una rappresentazione che potrebbe ricordare i dipinti di un Fattori, ma con un tripudio di rosso delle bandiere e delle camicie dei garibaldini. Si contrappone a questo lavoro una tela di Giulio Turcato, intitolata “Comizio”, in cui ancora il rosso domina ma in forma di triangoli, che ricordano le bandiere, all’interno di una rappresentazione astratta: due modi opposti di fare arte politica. Ancora in questa sezione incontriamo le sperimentazioni di Mimmo Rotella, che incollava uno sull’altro manifesti pubblicitari e poi, attraverso strappi di diversa profondità, faceva emergere un discorso critico sulle immagini stesse. Invece Enrico Baj esprimeva il suo acre antimilitarismo in composizioni dove, incollando sulla tela pezzi di stoffa, passamanerie, bottoni, medaglie e altri materiali, rappresentava ridicoli ma inquietanti generali. La seconda sezione, intitolata “Scontro di situazioni”, presenta ancora artisti che andavano oltre la rappresentazione, e venivano inseriti nel gruppo dell’arte detta Informale. Incontriamo tre grandi personalità: Alberto Burri, che fu a lungo prigioniero di guerra negli Stati Uniti, e che scandalizzò realizzando opere con tele di sacco cucite e, in seguito, infinite sperimentazioni sui materiali, dalle plastiche, alle combustioni, ai cretti. Paradossalmente, un artista considerato rivoluzionario come Burri aveva idee politiche di destra. Invece Emilio Vedova, già partigiano, esprimeva, in tele di forte impronta gestuale che ricordavano l’espressionismo astratto americano, una grande tensione rivoluzionaria. Infine, Lucio Fontana, già attivo prima della guerra, non mancava a sua volta di scandalizzare con le sue tele bucate e tagliate con cui immaginava un’arte proiettata nello spazio, e con una ricerca inesausta, non mancando di sostenere, anche materialmente, artisti più giovani. Procedendo, cambia fortemente il contesto storico, perché dai cupi anni cinquanta, dominati dalla guerra fredda, dalla consapevolezza dell’olocausto e dalla paura di una catastrofe nucleare, ci si avvia verso un periodo di ripresa economica che, per la prima volta, pone in primo piano l’idea di uno sviluppo basato sui consumi, non solo orientati sui bisogni primari ma anche su prodotti non necessari ma resi irresistibilmente attraenti, attraverso la pubblicità e i nuovi mezzi di comunicazione. Anche l’Italia si inseriva in questo ciclo di forte ripresa economica orientato sui consumi, riuscendo a imporre eccellenze industriali come la Fiat, che iniziava a produrre le popolari Cinquecento e Seicento, e la Piaggio con la Vespa, resa famosa nel mondo dal film “Vacanze romane”. Fondamentale, poi, il fatto che dal 1954 iniziano da noi le trasmissioni della televisione, che avrà un effetto determinante sui consumi e le mode. In arte si accentua il desiderio di sperimentare, anche di azzerare il linguaggio e di concentrarsi sui materiali. Nella sala successiva, “Monocromo come libertà”, emerge la figura di un altro dei grandi protagonisti del dopoguerra, Piero Manzoni, che, in un arco di tempo brevissimo (morì nel 1963 a soli trent’anni), lasciò un segno fondamentale sulla scena artistica del tempo e, in prospettiva, anche del futuro. La sala, molto bella, è tutta bianca e ospita artisti come Consagra, Lorenzo Viani, Scarpitta e i sodali di Manzoni, Castellani e Bonalumi. I lavori sono tutti caratterizzati dall’essere monocromi di colore bianco, eseguiti con disparati materiali, attraverso cui gli artisti rivendicavano una libertà che partiva dall’azzeramento dei linguaggi e dall’autonomia dalla rappresentazione del reale. Gli anni ’60, però, rappresentano anche l’inizio del consumismo e quindi gli oggetti (o prodotti) e anche le immagini cominciavano a invadere la vita. Se ne resero conto per primi gli artisti inglesi, che crearono la Pop Art, che venne poi assunta e diffusa a livello mondiale dagli statunitensi. Protagonisti delle opere diventavano i prodotti di consumo ma, in Italia, la nostra tradizione classica fece sì che il riaffiorare delle immagini non si riferisse direttamente al consumismo. La sezione Metafisico quotidiano mostra il riemergere, dopo l’informale e l’astrazione, di figure che venivano dall’inconscio, come la rosa nera dipinta da Kounellis sulla serranda della galleria d’arte l’Attico di Roma; oppure da immaginari infantili, come la “coda di cetaceo” realizzata da Pino Pascali. Michelangelo Pistoletto componeva invece, in legno, un “Quadrato da pranzo”, per fare entrare la vita nell’arte, così come avrebbe poi fatto coi suoi quadri specchianti. All’interno di questa sezione, un focus è dedicato a Domenico Gnoli, grande illustratore, che isolava una frazione di immagine, (pezzi di vestiti, particolari di corpi) e la riproduceva alla perfezione ingrandendola a dismisura. Il risultato erano immagini stranianti, tanto più perfettamente realistiche quanto assurde. La sezione successiva, “Figure e gesti”, analizza un gruppo di artisti romani, che si ritrovavano nei pressi di Piazza del Popolo. La Roma degli anni ’60 era la più internazionale delle città italiane, la produzione cinematografica era al suo apice sia quantitativo (con grandi produzioni, anche americane) che qualitativo (Fellini). Anche gli scambi artistici con gli Stati Uniti erano forti. In questo contesto gli artisti di Piazza del Popolo lavoravano sulle immagini, ricavandole dalla vita quotidiana, dal cinema, dalla politica. Così Renato Mambor sembra riprendere temi del primo Antonioni nella rappresentazione di figure umane senza volto, prive di personalità; Sergio Lombardo realizza pure silhouettes, che però rappresentano personaggi storici come Kennedy o Kruscev, icone del potere, congelati in un gesto significativo; Cesare Tacchi riprende una immagine del film “Goldfinger”, in cui la protagonista, dipinta d’oro, è realizzata in gommapiuma, come a farla uscire dal quadro (dallo schermo); Giosetta Fioroni proietta su tela immagini prese da rotocalchi, foto famigliari, ecc., dipingendole con smalti argentati che le situano in una dimensione atemporale e fiabesca. Poi arriva il ’68 e, inevitabilmente, coinvolge gli artisti italiani. Principale protagonista della sezione “Cronaca e politica”, Mario Schifano, anch’egli facente parte della cerchia di Piazza del Popolo, sicuramente il più folle e talentuoso. Nei suoi quadri ritornano prepotentemente il colore rosso, i simboli di lotta (falce e martello), gli slogan. Una tela è occupata quasi per intero da una sola parola, dipinta di rosso: “NO”. Credo simboleggi al meglio quella stagione in cui ancora si sperava di cambiare (in meglio) il mondo. Intorno al ’68 nacque, a Torino, un movimento artistico che fu il più rappresentativo dell’arte italiana dell’ultimo quarto di secolo: “l’Arte Povera”. Ancora una volta nasceva come opposizione, anche alla pop art americana. Si chiedeva che l’arte tornasse alla quotidianità, rinunciasse agli orpelli e agli intenti decorativi, utilizzando materiali derivati dalla vita comune: sassi, cemento, rami, e anche elementi primari come l’acqua o il fuoco. Il significato politico era di cambiare la percezione dell’arte, portarla in luoghi nuovi, fuori dai musei, contribuire alla nascita di una nuova sensibilità sociale. La sezione che se ne occupa si chiama “Geografie possibili”, e presenta, tra gli altri, lavori di Fabro (un’Italia sospesa rovesciata, quanto mai attuale), Kounellis (una margherita metallica che emette il fuoco di una fiamma ossidrica, che rappresenta l’energia a confronto con la tecnica e la natura), Merz (che utilizza, dopo Fontana, la luce al neon come simbolo di energia). A integrazione di questa sezione, un focus su un altro centro di produzione artistica, il Gruppo N di Padova e il suo principale rappresentante, Alberto Biasi. Il fatto stesso di firmare i propri lavori come gruppo rifletteva il loro intento di andare oltre la figura dell’artista isolato ed eroico. L’arte doveva essere una produzione collettiva e rivolgersi al pubblico chiedendone la partecipazione attiva. Viene presentato un ambiente, “Eco”, in cui tele dipinte di una vernice particolare trattengono per qualche secondo l’immagine dell’ombra del visitatore: come un selfie, ma effimero e non narcisista. La mostra termina con la sezione “Immaginazione al potere”, tipico slogan del Sessantotto. Cito tre opere: una grande mappa di Alighiero Boetti, ricamata su tela da donne afgane, che ci presenta un mondo ancora diviso dai colori delle varie bandiere. Una foto di Giuseppe Penone, “Rovesciare i propri occhi”, in cui l’artista indossa un paio di lenti a contatto a specchio, come per ripiegarsi su se stesso e fuggire da una realtà che, di lì a poco, porterà ad anni di violenza. Infine, un lavoro di Gino De Dominicis, filmato mentre, muovendo le larghe braccia, cerca di far alzare in volo il suo corpo allampanato. Uno spazio all’utopia e alla poesia.
 SAURO SASSI



NASCITA DI UNA NAZIONE. TRA GUTTUSO, FONTANA, SCHIFANO
FIRENZE, PALAZZO STROZZI.  FINO AL 22 LUGLIO
TRA PIAZZA STROZZI E VIA TORNABUONI, A CINQUE MINUTI DALLA STAZIONE FERROVIARIA DI SANTA MARIA NOVELLA. A POCHI MINUTI DA PIAZZA DELLA SIGNORIA
TUTTI I GIORNI, INCLUSI I FESTIVI, 10-20. GIOVEDI’ 10-23
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ALL’INTERNO DEL CORTILE DEL PALAZZO VEDRETE UNA GRANDE INSTALLAZIONE DI TUBI CHE ARRIVANO FINO ALL’ULTIMO PIANO. SI TRATTA DI UN PROGETTO DELL’ARTISTA TEDESCO CARSTEN HOLLER E DEL NEUROBIOLOGO STEFANO MANCUSO CHE STUDIA LA COMPLESSITA’ DELLE PIANTE E DEI LORO COMPORTAMENTI. SI PUO’ SALIRE CON LE SCALE ALL’ULTIMO PIANO E UN ASSISTENTE FORNIRA’ UNA PIANTINA DI PATATA CHE VERRA’ LEGATA IN CINTURA. SI COMPIRA’ POI UNA VERTIGINOSA DISCESA ATTRAVERSO I TUBI FINO AL CORTILE E SI CONSEGNERA’ LA PIANTA NELLO SPAZIO STROZZINA AL PIANO SOTTERRANEO. LE PIANTE VERRANNO ESAMINATE PER DETERMINARE COME HANNO REAGITO ALLA DISCESA E AL CORPO E ALLE SENSAZIONI DI CHI LE HA PORTATE.
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