TRE MOSTRE A VENEZIA



TRE MOSTRE A VENEZIA

La Fondazione Prada, che organizza mostre d’arte, oltre alla sede di Milano, che occupa un vasto spazio presso una ex distilleria, ampiamente ristrutturata e ampliata dallo Studio architettonico Oma guidato da Rem Kolhaas, ha una base a Venezia, nello splendido, settecentesco Ca’ Corner della Regina, sul Canal Grande, nel Sestiere di Santa Croce, che affianca l’altrettanto bella Ca’ Pesaro, progettata dal Longhena, sede della Galleria d’Arte Moderna. La politica espositiva di Ca’ Corner prevede mostre che si differenziano dalle solite sequenze di opere d’arte visiva, e tendono a una complessità che investe e mescola arte, musica, architettura, letteratura e pensiero. Così, attualmente, in corrispondenza con la Biennale di Architettura, viene presentata una esposizione dal titolo “Machines à penser” che ci invita a riflettere su come e quanto una dimora possa determinare il pensiero per eccellenza, quello filosofico. Quando poi si parli di tre dei massimi filosofi del Novecento, di area germanica, l’argomento diviene ancora più intrigante. I filosofi sono Heidegger (nato nel 1889), Wittgenstein (nato anch’egli nel 1889) e Adorno (nato nel 1903). Nel caso dei primi due il luogo della produzione del pensiero si configura come un rifugio, un ritiro dal mondo: Heidegger in una baita nella Foresta Nera, Wittgenstein addirittura presso uno sperduto fiordo in Norvegia. In questi luoghi nacquero “Sein und Zeit” (“Essere e Tempo”) nel 1927 e il “Tractatus Logico-Philosophicus” nel 1921. Adorno non cercò invece un rifugio isolato: fu costretto a lasciare la Germania a causa del Nazismo e riparò negli Stati Uniti, dove scrisse i “Minima Moralia”. Sicuramente egli non cercava luoghi isolati e l’idea di quest’opera nata in una capanna nasce dalla fantasia di un artista-filosofo britannico, Ian Hamilton Finlay. La mostra ricostruisce, al piano nobile del Palazzo, in scala 88/100, la baita di Heidegger e il         rifugio di Wittgenstein. In particolare nella baita si può entrare, vederne gli ambienti, i decori, e immaginare quanto questa abitazione e lo stato di isolamento nella natura abbiano influito sul pensiero del filosofo. Dell’abitazione di Wittgenstein si possono valutare dall’esterno le ridottissime dimensioni. L’idea di luogo isolato come fucina del pensiero viene poi ricollegata a San Girolamo, che visse in solitudine nel deserto siriano, dove tradusse la Bibbia in latino. All’immagine del santo spoglio nel deserto, pensiamo ad esempio ai quadri di Caravaggio, si affiancano le raffigurazioni rinascimentali, come per esempio di Durer, che lo rappresentano in uno studio ben ordinato, con l’immancabile teschio e il leone, a dire che un pensiero così nobile non può nascere in un contesto misero. La mostra presenta anche opere di artisti che in vario modo hanno affrontato il tema del pensiero e dell’ambiente in cui nasce, da Anselm Kiefer a Giulio Paolini. Inoltre in tutto il percorso si incontrano lampade in vetro (ovviamente di Murano) di Leonor Antunes ispirate all’opera di Anni Albers, moglie del famoso pittore, col quale fuggì negli Stati Uniti al tempo del Nazismo. La Albers realizzava straordinarie opere tessili, con grandi variazioni di colori e disegni, così come queste lampade sono state fatte a mano e sono tutte diverse. Al piano basso ci accompagna anche un bel lavoro sonoro di Susan Philipsz, che riprende l’opera di Hanns Eisler “Fourteen Ways to Describe Rain”. Eisler, ebreo, fuggì negli Stati Uniti e lavorò anche con Adorno. Dopo la guerra, accusato di comunismo, fu perseguitato anche in questo paese e dovette riparare in Germania Est. Incontriamo nella mostra anche tanti lavori fotografici, che ci mostrano filosofi inseriti in ambienti che in qualche modo possono aver influito sul formarsi del loro pensiero. La casa come macchina del pensiero è un tema affascinante e apre anche interrogativi inquietanti: perché un grande filosofo come Heidegger aderì al Nazismo e non si pentì mai di questa scelta? Un’opera in mostra ci parla di un incontro col grande poeta ebreo Paul Celan, che era stato in campo di concentramento e che dopo la guerra lo andò a trovare nella sua baita. Celan, ossessionato dalla sua esperienza e dal fantasma del male, tanto da concludere la sua vita col suicidio, voleva capire perché un uomo capace di un pensiero così profondo poteva aver giustificato tutto questo. Non ottenne risposta.

MACHINES A’ PENSER
FONDAZIONE PRADA VENEZIA. CA’ CORNER DELLA REGINA, CALLE DE CA’ CORNER, SANTA CROCE 2215. SI RAGGIUNGE A PIEDI DALLA STAZIONE ATTRAVERSANDO IL PONTE DEGLI SCALZI E SEGUENDO LE INDICAZIONI PER RIALTO, OLTRE IL MUSEO DI STORIA NATURALE E SUBITO DOPO CA’ PESARO, MUSEO DI ARTE MODERNA. OPPURE DALLA STAZIONE VAPORETTO LINEA 1 FERMATA S. STAE, CHE SCONSIGLIO VISTI I COSTI DEI TRASPORTI E LA DISTANZA BREVE. ORARI GIORNALIERI: 10/18, CHIUSO IL MARTEDI’. BIGLIETTO EUR 10, RIDOTTO 8. ENTRATA GRATUITA DAI 65 ANNI. FINO AL 25/11/2018



Presso la sede dell’Università Ca’ Foscari è invece possibile vedere una mostra, collaterale alla Biennale Architettura, organizzata dall’IREN, Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili. In realtà la mostra si vede, grazie a numerose proiezioni e video installazioni, ma soprattutto si sente, perché l’artista statunitense che la ha realizzata, Bill Fontana, si dedica soprattutto a usare il suono come materia scultorea. Ancora prima di entrare nella prima sala ascoltiamo i rumori della laguna, registrati e ritrasmessi, mentre al piano terreno e al primo piano i suoni, associati alle immagini, provengono da impianti che forniscono energie rinnovabili derivandole da vento, acqua, sole, e anche dalla terra (geotermia), realizzate in diverse località del mondo. Si è costantemente immersi in questo impasto sonoro mentre scorrono immagini suggestive di pale, turbine eoliche, piscine geotermiche. Una bella esperienza sensoriale, ovviamente da fruire anche criticamente, come quando Fontana ci parla del suo progetto di realizzare un lavoro multimediale sul MOSE.

BILL FONTANA. PRIMAL SONIC VISIONS
CA’ FOSCARI ESPOSIZIONI, UNIVERSITA’ CA’ FOSCARI VENEZIA. DORSODURO 3246. APERTO DALLE 10 ALLE 18 ECCETTO IL LUNEDI’. ENTRATA GRATUITA. VAPORETTO LINEA 1 DALLA STAZIONE, FERMATA CA’ REZZONICO

Infine segnalo uno spazio di recente apertura e poco conosciuto ma che offre mostre di alto livello. Si trova al Palazzo delle Zattere, subito a ridosso dell’omonima fermata del vaporetto lungo il canale della Giudecca, di fronte al Molino Stucky. Una fondazione russa, denominata V-A-C Foundation, ha acquisito il Palazzo nel 2017 e lo ha sottoposto a un lavoro di ristrutturazione interna che ne ha fatto una sede molto attrezzata per ospitare mostre d’arte, a partire dalle ricche collezioni della fondazione stessa. E’ stato chiesto a due giovani artisti britannici, Lynette Yiadom-Boakye e James Richards, di allestire un’esposizione sul tema, un po’ generico, della natura e del suo rapporto con l’uomo. A ognuno è stato riservato un piano per realizzare il proprio progetto, coinvolgendo altri artisti, mentre la curatrice della fondazione, Iwona Blazwick, ha integrato le opere scelte con altre dalle proprie collezioni. La Boakye, che è pittrice figurativa, ha installato al primo piano opere pittoriche, da artisti della prima metà del Novecento come Natalia Goncharova e Aristarich Lentulov a pittori recenti come Andy Warhol, David Hockney, Peter Doig, che indagano la natura rappresentandola con tecniche pittoriche e figurative tradizionali, con accenti che vanno dalla notazione malinconica a una visione fredda. Interessante un doppio lavoro sul tema della Sagra della Primavera di Stravinsky. Enrico David dipinge una sequenza di ballerini che procedono nella stessa direzione, senza profondità, i cui corpi richiamano steli di grano non ancora maturo: una fusione tra uomo e natura. Viene poi proiettata una rappresentazione del balletto, con la musica di Stravinsky e la coreografia originale di Vaslav Nijinsky per i Balletti Russi di Sergej Djagilev, che nel 1913 scandalizzò il pubblico parigino. Mai si era udita musica più brutale, mai il rapporto uomo natura era stato mostrato nella forma di un rito orgiastico e sanguinoso, di morte e rigenerazione. Ancora oggi il filmato coinvolge ed emoziona.
Al secondo piano James Richards ha incentrato il suo allestimento su un significato completamente diverso del termine natura: non l’ambiente che ci circonda e col quale l’uomo interagisce, spesso conflittualmente, ma la natura stessa dell’animo umano. Ha scelto un quadro su cui indirizzare l’attenzione, “Studio di un ritratto”, dipinto da Francis Bacon nel 1953. Intorno a quest’opera ha creato un ambiente sinfonico, usando suoni che richiamano la forte drammaticità di questo ritratto di uomo anziano seduto su una specie di trono, vestito di scuro e con un abito altrettanto scuro, per cui tutta l’attenzione si concentra sul volto, grigio biancastro, che suscita angoscia; la stessa che emana da un altro ritratto di uomo di Alberto Giacometti, che in pittura ha sicuramente molto in comune con Bacon, nella ricerca di esprimere la condizione di solitudine e di vuoto esistenziale dell’uomo moderno. Rimanendo sui grandi del Novecento, non si può non rimanere colpiti dal livido nudo di spalle di Egon Schiele, mentre questa condizione di disagio promana anche dai lavori di Karel Appel, Marisa Merz e Cindy Sherman che, fotografandosi in infiniti travestimenti, mette in discussione il concetto di identità.

THE ESPLORERS PART ONE.
PALAZZO DELLE ZATTERE. DORSODURO 1401. FERMATA VAPORETTO (LINEA 5.1 DALLA STAZIONE FERROVIARIA): ZATTERE. DA GIOVEDI’ A MARTEDI’: 11/19 – VENERDI’ 11/21. CHIUSO MERCOLEDI’. ENTRATA GRATUITA. FINO AL 22/10/2018

SAURO SASSI


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