VEDERE IL 1968. UNA MOSTRA ALLO CSAC DI PARMA
Il CSAC (Centro Studi e Archivio della Comunicazione) nasce a Parma nel 1968 per iniziativa di Arturo Carlo Quintavalle, docente
universitario di Storia dell’Arte, grande esperto di Arte Medievale ma con curiositÃ
ad ampio raggio, che vanno dalla fotografia (ha tenuto per anni una rubrica su
Panorama), al design, alla moda, alla grafica. Quintavalle ha iniziato a curare mostre e a raccogliere opere e
documenti, soprattutto attraverso donazioni, che hanno fatto del suo Centro
(collegato all’Università di Parma) il più importante collettore di archivi e
opere sul mondo della comunicazione in Italia. Il Centro è diventato il
principale luogo per documentarsi sulla storia
della moda, l’architettura, l’urbanistica, la pubblicità , ma raccoglie anche grafica, design, arti figurative. Il problema è la
conservazione e la gestione di questa enorme mole di materiali (circa 1.200.000 pezzi). Nel 2007 è stato individuato nell’antico monastero cistercense di Valserena, subito fuori città , il luogo
per la conservazione, che, ristrutturato, è dal 2015 anche sede espositiva
di mostre incentrate soprattutto sui materiali di proprietà . Lo spazio
suggestivo della chiesa abbaziale ospita ora una mostra che ripensa il 1968. Questa data rappresenta,
nonostante i tentativi di rimozione o sottostima, uno snodo storico
fondamentale, che chiude, in Italia, l’epoca di un boom economico basato su un
consumismo sregolato, portatore di speculazione edilizia, guasti urbanistici,
forte aumento della produzione industriale fondato anche sullo sfruttamento
operaio, sviluppo e rinascita di grandi insediamenti di industria pesante (a
Marghera, Bagnoli, Taranto, Gioia Tauro, in Sicilia) che avrebbero portato
lavoro ma creato enormi guasti al paesaggio e all’ambiente. Se poi le esigenze
del consumo provocavano un allentamento delle convenzioni su cui era fondata la
morale cattolica, ma anche comunista, all’interno della famiglia il controllo
sui figli era ancora forte, così come scuola, chiesa, esercito mantenevano una
struttura oppressiva (doppiamente oppressiva per le donne). Il 1968 mise in discussione questa
organizzazione sociale. Portò la condizione operaia al centro dell’attenzione,
modificò i costumi e intaccò le gerarchie sociali. La mostra si compone di un
grande asse rialzato che percorre il centro della chiesa, che mostra, in
sequenza, oggetti e immagini in un percorso temporale lungo le date più
significative di quell’anno. Si tratta di oggetti di design, come le famose
radio e televisori Brionvega, abiti,
riviste e fumetti, progetti urbanistici e architettonici (ad esempio uno dei
plastici presentati al concorso per la costruzione del ponte sullo stretto di
Messina). Nelle cappelle laterali, approfondimenti tematici si occupano di
temi specifici, dall’esplosione del sistema delle immagini (attraverso
manifesti, design, grafica, fumetto, cinema, televisione), al corpo e la
sessualità (la moda, i gioielli, i comportamenti), agli spazi dell’abitare (con
l’ingresso massiccio degli elettrodomestici), alla riconformazione degli spazi
pubblici (le città , le autostrade, i grandi progetti). I grandi fotografi (Lucas, Lotti, Cresci) ci
presentano immagini di manifestazioni, paesaggi urbani, la guerra in Vietnam;
nasce un nuovo fumetto con Calligaro e
Perini; i manifesti diventano anche
veicoli di messaggi di lotta e critici, con Munari, Mari, Illiprandi, guardando al linguaggio
pop. La pubblicità accoglie il genio di Armando
Testa (dal pianeta Papalla alla
deliziosa famiglia dei piumati della
cera Glo cò); nasce l’architettura
radicale dei fratelli Castiglioni e
di Archizoom; muta l’immagine
femminile con la nuova moda; si impongono giovani pittori come Mario Schifano; i giovani adottano l’immagine e lo stile di cantanti come
Caterina Caselli e Patty Pravo; la contestazione investe
anche l’arte e il cinema alla Biennale
di Venezia (nelle foto di Ugo Mulas).
Il territorio subisce disastri, come le alluvioni
del ’66 e il terremoto del Belice
nel ’68 e gli architetti progettano nuovi insediamenti ma anche grattacieli
(Gardella, Giò Ponti) e si inizia una riflessione (purtroppo ancora non
risolta) sula fragilità di Venezia.
Nasce l’ambientalismo, in campo artistico l’Arte
Povera mette in discussione i canoni
dell’arte tradizionale attraverso l’impiego di materiali grezzi e naturali.
Anche un fotografo di grande spirito sperimentale come Nino Migliori lavora sulla degradazione dell’immagine, così come
dell’ambiente, con la materia che realizza l’opera distruggendo l’immagine
stessa. Nel 1967 Franco Basaglia apre
le porte dell’ospedale psichiatrico di Gorizia e nel 1968 pubblica “L’istituzione
negata” che mette radicalmente in
discussione il ruolo dei manicomi. Nel 1969
i fotografi Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin pubblicano il
libro “Morire di classe”, in cui documentano la tragica condizione degli ospedali
psichiatrici. Nasce la cultura underground nel fumetto, in riviste come “Pianeta Fresco”, diretta da Fernanda Pivano e Allen Ginsberg
e impaginata da Ettore Sottsass jr.
Queste sono solo alcune suggestioni sviluppate in questa mostra ampia e piena
di oggetti e immagini, relative anche al cinema. Nell’attigua sala delle Colonne è ospitato anche un
approfondimento sul teatro che,
pure, fu investito pienamente dal nuovo clima. Una mostra caleidoscopio per
entrare in una antica abbazia e pensare alla nostra storia recente.
SAURO
SASSI
1968. UN ANNO
CSAC Centro Studi e Archivio della
Comunicazione Università di Parma
Abbazia di Valserena – Strada Viazza di
Paradigna 1
Orario: lun. e mar. chiuso. Mer-gio-ven:
ore 15-19 sab-dom: ore 10-19
La mostra termina il 4 agosto 2019.
Biglietto 10 euro. Ridotto gruppi e convenzioni (over 65, FAI, Touring,
Feltrinelli): 8 euro. Giovani fino a 18 anni, studenti universitari, docenti: 5
euro. Ogni sabato e domenica alle 16 visite guidate
Per arrivare: autostrada a1 uscita
Parma. Prendere la direzione per Colorno e vedere le indicazioni per lo CSAC (a
pochi chilometri dall’uscita autostradale).
Allo CSAC si può anche alloggiare nella
locanda Abbazia, con camere ricavate nelle antiche celle monastiche.
Dispone inoltre di un bistrò, ricavato
nella vecchia stalla, dove poter assaggiare la cucina locale.
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