FOTOGRAFIA EUROPEA A REGGIO EMILIA. L'OCCASIONE PER UN WEEK END
Non c’è mai stata tanta fotografia
come ai nostri tempi. La diffusione capillare degli smartphone ci ha
trasformati tutti in fotografi; ormai sembra che qualsiasi forma di rapporto
umano debba essere mediata dall’immagine riprodotta. Questo riguarda sia i
luoghi che abitiamo, che attraversiamo, che visitiamo ma ancor più le relazioni
tra persone. Tutti i nostri rapporti con famigliari, amici, tutti i nostri
amori devono essere fissati in immagini e queste immagini devono essere
disponibili non solo a noi ma a tutti, anche agli sconosciuti. Sembra che la
nostra vita non esisterebbe se non fosse fissata e diffusa allo sguardo altrui.
Molto opportuno, quindi, che la storica manifestazione “Fotografia Europea” di Reggio
Emilia, giunta alla quattordicesima
edizione, sia stata intitolata “Legami,
intimità, relazioni, nuovi mondi”. Attraverso l’immagine si creano
relazioni di tipo sentimentale, amicale ma ci si confronta anche con la realtà
politica e sociale, si affrontano le realtà urbane ma anche le guerre, le
grandi tragedie epocali, e si guarda al futuro, quando, magari, la relazione
sarà tra umani e macchine intelligenti. Se la fotografia è diventata una
pratica diffusa, un linguaggio universale, è chiaro però che, se tutti sanno
scrivere, pochi sono scrittori; se tutti sanno disegnare, pochi sono artisti.
Quindi servono ancora i fotografi, che non solo conoscono le basi del
linguaggio ma sanno usare gli strumenti tecnici e linguistici per creare mondi
e aiutarci, come gli artisti di tutti i campi espressivi, a confrontarci con la
realtà ma anche con i sentimenti individuali, a coltivare l’intelligenza razionale
e quella emozionale. Si può compiere un piacevole giro per Reggio Emilia, a scoprire gli undici
spazi che ospitano le mostre
ufficiali e le centinaia di sedi del
circuito off: negozi, bar, ristoranti, appartamenti, studi e tante altre
tipologie, sparsi in tutta la città, quasi ad ogni passo. Il luogo principale
sono i Chiostri Benedettini di San
Pietro; realizzati nel sedicesimo secolo, restaurati, offrono, al
pianterreno e al primo piano, dodici
mostre, tra cui alcune in omaggio alla nazione ospite, il Giappone. Kenta Cobayashi mette in discussione l’oggettività della
fotografia, riprendendo uno stesso soggetto e manipolando l’immagine per
produrne diverse del tutto differenti l’una dall’altra; Ryuichi Ishikawa compie un reportage sull’isola di Okinawa, indagando, in particolare, la
vita di un uomo che, omosessuale, se ne era allontanato per l’ostilità
dell’ambiente, per tornarvi, dopo molti anni, a curare i genitori, riscontrando
sempre un ambiente chiuso e conformista. La cinese Pixy Liao ha un fidanzato giapponese, di cinque anni più
giovane. Ciò la porta a documentare una relazione in cui la donna svolge un
ruolo dominante, di madre o amante, con autoscatti di forte resa plastica, non
scevri di una dose di ironia. Motoyuki
Daifu concentra il suo lavoro sul suo rapporto con la madre, che viene
ripresa in una variegata serie di situazioni. Qui, molto semplicemente, la
rappresenta in venti foto delle
stesse dimensioni mentre sbuccia una cipolla: tra divertimento e una certa
morbosità. Si occupa di Giappone anche Vittorio
Mortarotti e, nel suo caso, la relazione è col fratello morto. Il fotografo si reca a cercare la sua fidanzata giapponese e compie un viaggio nei luoghi delle grandi tragedie nucleari di quel
paese: nelle case dei sopravvissuti dal disastro di Fukushima del 2011, in
una cittadina che, nel 1945, fu
risparmiata dalla bomba atomica per le avverse condizioni meteorologiche, a Hiroshima, fino a raggiungere la
ragazza, che aveva continuato a scrivere lettere al fratello, perito in Italia in un incidente stradale, per mesi dopo
la sua morte. Ancora uno sguardo
italiano sul Giappone da parte
di Pierfrancesco Celada, che esplora
un enorme agglomerato urbano di milioni di abitanti dove, però, le relazioni personali sembrano diradarsi
e in molti individui emerge la tendenza all’isolamento. Ancora al
primo piano del chiostro, ritorna l’attenzione verso l’attualità politica e
sociale col francese Samuel Gratacap, che ha esplorato la Libia tra il 2014 e il 2016 per
mostrare la violenza diffusa e la vita intollerabile nei campi profughi, quelli
in cui i governanti italiani ed europei vogliono siano relegati i migranti. Non
c’è niente da dire, basta guardare le immagini e leggere le testimonianze.
Torna invece a sviluppare un progetto dell’edizione precedente Francesco Jodice, con un video che
monta e manipola immagini da film del passato, con personaggi iconici come Frankenstein e Louise Brooks che mandano, dai bordi di un buco nero nello spazio,
un ultimo messaggio riflessione sul destino umano, la circolarità della storia,
la fine del futuro. Al piano terreno
Jacopo Benassi si occupa della relazione
dell’uomo col proprio corpo: corpi fragili, spezzati, che si confrontano con
statue antiche altrettanto fragili e spezzate. La francese Justine Emard si occupa invece di un altro tipo di relazione,
quello con la tecnologia e in
particolare con i robot: Immagini e
filmati che oscillano tra l’inquietante e la speranza di una possibile
interazione con questi nuovi corpi che occuperanno sempre più la nostra realtà.
Infine, una mostra collettiva intitolata “Master
of photography”, che presenta lavori derivati da una selezione su Sky Arte sul genere dei talent show, e,
più interessante, una sezione intitolata “Diciottoventicinque”,
dove giovani fotografi hanno partecipato a un progetto formativo che ha portato
alla realizzazione di lavori collettivi, sempre sul tema della relazione con
l’altro, partendo anche dallo scambio e dalla collaborazione tra gli stessi artisti.
Allo Spazio Gerra, in centro, si
fanno sempre mostre legate ai mezzi di
comunicazione popolare. Se l’anno scorso era stato il fotoromanzo,
quest’anno è la canzone femminile
italiana negli anni ’70. La mostra è partita da un diario sentimentale
ritrovato di una ragazza di quegli anni, dove ricorrono riferimenti e citazioni
da queste canzoni. Nel percorso sono riprodotte parti del diario e fotografie
delle cantanti, nonché punti di ascolto dove è possibile ascoltare brani di una
decina di esse, da Mina a Patty Pravo, Mia Martini, fino a Carmen
Villani. Non posso parlare delle mostre in tutti gli altri spazi, che sono
di grande interesse, sia quelle di giovani che di fotografi storicizzati.
Vorrei però ricordare almeno due grandi maestri: Horst P. Horst a Palazzo
Magnani e Larry Fink al Palazzo da Mosto. Horst (1906 – 1999), tedesco, omosessuale (ebbe anche una relazione
con Luchino Visconti) si era
trasferito da giovane a Parigi dove
lavorò per Le Corbusier ed entrò in
contatto con quel ricchissimo ambiente artistico e culturale, a partire dai surrealisti. Riparò negli Stati Uniti
prima della seconda guerra mondiale e assunse la nazionalità americana. Fu
soprattutto fotografo di moda, e lo si può affiancare ai maggiori, da Cecil Beaton, a Richard Avedon, a Irving
Penn, al connazionale Helmut Newton,
ma anche a Man Ray, che non
disdegnava incursioni in quel campo. Lavorò in particolare per Vogue e, nelle sue foto, emergono non
solo la perfezione tecnica ma una cultura visiva, un gusto, un senso della
composizione che non possono non dirsi europei. Bellissimi anche i suoi ritratti di artisti, da Warhol a Lichtenstein e, soprattutto, gli scatti nell’appartamento romano
dell’artista americano Cy Twombly.
Un fotografo al servizio della bellezza ma anche del buon gusto e dell’arte.
L’americano Larry Fink (1941, ancora
molto attivo) è un uomo innamorato della vita e delle persone che ritrae.
L’artista, che si definisce “marxista di
Long Island”, cerca sempre un rapporto empatico con i soggetti che
fotografa, sia che si tratti di giovani contestatori che di membri del jet set.
I suoi scatti testimoniano un grande vitalismo, un atteggiamento positivo verso
la vita e, naturalmente, la grande lezione dei fotografi americani, e anche
europei, che documentano le città e i momenti di socialità, rubando immagini di
intimità, di gioco, di scherzo, piccoli teatri della vita. Vorrei anche
segnalare alcuni luoghi del circuito off.
Via Roma, che parte dalla via Emilia San Pietro ed è una lunga strada
rettilinea, introduce in una zona molto suggestiva, un po’ con l’atmosfera di
piccolo villaggio, ed ospita mostre nei negozi, nei ristoranti, in
appartamenti. Al 34/b la Galleria d’arte 13 espone le foto
dell’inglese Michael Kenna, grande
paesaggista, che qui si confronta con il classico soggetto fotografico del
nudo, con risultati sempre di grande qualità formale. Un altro luogo molto
suggestivo, sempre in centro, è via Due
Gobbi 3. E’ proprio il nome della strada e, al civico 3, ospita, in un alto
edificio un po’ fatiscente, con terrazze a ringhiera, una grande quantità di spazi espositivi, ricavati anche nelle
cantine, negli appartamenti. Si trovano mostre fotografiche ma anche di
artigianato o d’arte, con gli abitanti che ti raccontano
il loro lavoro. Il negozio Max & Co
di piazza Prampolini ospita una
mostra del famoso fotografo britannico Martin
Parr sul tema delle spiagge. Per
concludere il week end a Reggio Emilia si può andare ai Musei Civici, un luogo veramente
affascinante che ospita reperti di storia naturale, con animali impagliati
dentro armadi vetrati o che pendono dai soffitti, esemplari di arte antica,
compresi mosaici, e arte figurativa, dall’Ottocento fino ad oggi. Attualmente è
in corso una mostra dedicata al pittore
dell’Ottocento Antonio Fontanesi,
nativo di Reggio Emilia. Penso che,
per chi non lo conosce, sarà una scoperta, perché i suoi paesaggi non hanno
nulla da invidiare a quelli di un Corot
o di un Courbet. La mostra si propone
di mostrare come la sua lezione sia stata ripresa da artisti divisionisti come Pellizza da Volpedo, Morbelli, e poi, nel Novecento, da Carrà, Casorati, fino all’Informale
naturalista teorizzato da Francesco
Arcangeli, con Morlotti, Mandelli, Moreni, giungendo a Burri.
SAURO
SASSI
FOTOGRAFIA
EUROPEA 019 REGGIO EMILIA. LEGAMI. Intimità, relazioni, nuovi mondi. Fino al
9 giugno
Dieci sedi, due
biglietterie: Chiostri di San Pietro, Via Emilia San Pietro 44/c e Palazzo
Magnani, Corso Garibaldi 29. Biglietto unico per tutte le Sedi: intero
15, ridotto 12. Riduzioni: ragazzi da 13 a 25 anni. Over 65. Soci Coop Alleanza
3.0. Soci Arci. Biglietto mostra di Antonio Fontanesi. Biglietto mostra CSAC A
Parma. 2x1 con biglietto Carta Freccia per Reggio Emilia. Gratuito bambini
sotto i 12 anni, accompagnatori persone con disabilità.
Orari:
sabato e domenica 10/19. Biblioteca Panizzi: da lu a sa 9/20. Do 10/13. Orari
particolari a Pasqua, ponti 25 aprile e 1 maggio: consultare il sito
ANTONIO
FONTANESI E LA SUA EREDITA’: DA PELLIZZA DA VOLPEDO A BURRI
REGGIO
EMILIA PALAZZO DEI MUSEI, VIA SPALLANZANI 1
FINO AL 14
LUGLIO
ORARI FINO
AL 30 GIUGNO: MA/VE 10:13 SA/DO E TUTTI I FESTIVI: 10/19
DA 1 A 14
LUGLIO: SA/DO 10/19 E 21/23
OGNI
DOMENICA ALLE 16,30 VISITA GUIDATA SENZA AUMENTO DI PREZZO
BIGLIETTO
INTERO 8 EURO, RIDOTTO 5 EURO
RIDUZIONI:
STUDENTI DA 18 A 26 ANNI, OVER 65
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