ANDAR PER MOSTRE A BOLOGNA AL TEMPO DEL COVID

                             ANDAR PER MOSTRE A BOLOGNA AL TEMPO DEL COVID




Si può fare i turisti nella propria città, si possono scoprire mostre, magari piccole e
poco pubblicizzate, che sono molto interessanti, e offrono più stimoli delle mega
mostre con impressionisti o nomi eclatanti decontestualizzati. Tra l’altro, c’è anche
meno gente, per cui si fa tutto con più calma e senza sentirsi il fiato addosso.
Bologna è stata una città molto importante per la sua posizione geografica e, quindi,
crocevia economico e culturale, dal tempo dei romani. Poco dopo il 1000, la nascita
dello Studio Universitario le dette fama in tutta Europa e da allora furono molti gli
studenti e gli studiosi che qui convennero. Il fervore economico e culturale non
poteva non interessare anche l’arte, anche perché i principali ordini monastici del
tempo, francescani e domenicani, vi costruirono grandi chiese. San Francesco venne
due volte a predicare in città e San Domenico vi risiedette e vi morì. Le chiese erano
allora i maggiori committenti degli artisti, e la città conserva alcuni capolavori
assoluti della nascente nuova pittura, a partire dal Duecento, con la commovente
Maestà di Cimabue in Santa Maria dei Servi, la Crocifissione di Giunta Pisano in San
Domenico e, nella stessa chiesa, l’Arca del Santo di Nicola Pisano. Nel Duecento si
realizzavano grandi sculture lignee della Crocifissione, che si ponevano nel
tramezzo delle chiese, l’area che divideva la sezione riservata al clero da quella dei
fedeli, una impostazione di derivazione bizantina che fu definitivamente superata
col Concilio di Trento. Questi crocifissi erano anche colorati e, solitamente,
mostravano l’immagine del Cristo trionfante sulla morte, già rivolto verso la vita
eterna. Presso il Museo Civico Medievale ne sono in mostra tre, tra i pochi rimasti,
che i curatori attribuiscono alla stessa bottega del nord Italia. La mostra si intitola:
“Imago Splendida, capolavori di scultura lignea a Bologna dal Romanico al
Duecento”. I Crocifissi provengono dalla Fondazione Cini di Venezia, dal Museo
Comunale di Bologna (allestito nel 1300 su una croce dipinta dal celebre Simone dei
Crocifissi) e dalla chiesa di Santa Maria Maggiore, in via Galliera. Quest’ultimo era il
meno conosciuto e risulta, dopo il restauro, di grandissima qualità. Al termine della
mostra tornerà nella chiesa, che aveva subito gravi danni dal terremoto ed è stata
interamente sottoposta a restauro e recentemente riaperta, e rappresenta una
grande e poco conosciuta bellezza della nostra città. La Sala dei Crocifissi è
introdotta da una raccolta di oggetti di arte sacra, codici miniati e una bellissima
vetrata francese, che mostrano i rapporti con i nuovi fermenti artistici che si
sviluppavano in altre regioni italiane e anche oltralpe, verso un naturalismo che
avvicinasse la rappresentazione sacra al reale. Per concludere la visione di queste
opere d’arte del Duecento, bisogna andare alla Cattedrale di San Pietro dove,
sull’altar maggiore, è ancora presente un grande crocifisso ligneo con, ai lati, due

figure di dolenti, che, il più delle volte, sono state separate dalla rappresentazione e
disperse.
IMAGO SPLENDIDA. CAPOLAVORI DI SCULTURA LIGNEA A BOLOGNA DAL
ROMANICO AL DUECENTO.
MUSEO CIVICO MEDIEVALE, VIA MANZONI 4 BOLOGNA
FINO AL 6 SETTEMBRE – DA MARTEDI’ A DOMENICA 10 – 18,30
INGRESSO EUR 6 COMPRESO MUSEO (MOLTO INTERESSANTE) – RIDOTTO EUR 3 –
GRATUITO CON CARD CULTURA
                                                          

Uscendo dal Museo Civico Medievale, in pochi passi si giunge all’entrata di Palazzo
Fava, che fa parte del circuito museale di Genius Bononiae e, con un balzo di due
secoli, ci porta nella quattrocentesca Bologna dominata dalla famiglia Bentivoglio.
Durante questo periodo accadde che a dominare l’altare delle chiese non fu più il
Crocifisso ligneo ma il Polittico, una grande struttura, che poteva essere anche
scolpita, come quello dei fratelli Dalle Masegne in San Francesco, ma era per lo più
costituita da una elaborata cornice lignea in cui erano inserite le figure dipinte di
santi o della Madonna o del Cristo in posizione centrale e varie altre di dimensioni
inferiori lateralmente o nella parte superiore, detta cimasa, mentre, inferiormente,
si completava con la predella che conteneva altre scene sacre (a sua volta questa
costruzione complessa venne poi sostituita dalla Pala d’Altare). Le famiglie più
potenti della città realizzavano la propria cappella nell’imponente chiesa di San
Petronio, gareggiando a renderle splendide di arredi e opere d’arte. Così i Griffoni
chiamarono Francesco Del Cossa, che aveva concorso agli affreschi di Palazzo
Schifanoia a Ferrara, perché realizzasse una grande pala ispirata all’opera del Santo
protettore di famiglia, il domenicano Vincenzo Ferrer. A partire dal 1470 Del Cossa
realizzò il polittico, col ritratto del Santo al centro, altri Santi ai lati, nella parte
superiore due tondi di una Annunciazione, una Crocifissione sopra san Vincenzo.
Altri piccoli ritratti di santi agli estremi della cornice e una predella in basso, con
storie di San Vincenzo furono opera del più giovane assistente Ercole De Roberti.
Intorno al 1725 un cardinale folle, Pompeo Aldrovandi, tolse il polittico dalla
cappella, distrusse la cornice e smembrò i vari dipinti portandoli in una sua
residenza di campagna. Da lì le tavole furono disperse e oggi si trovano in una gran
quantità di prestigiosi musei di tutto il mondo. E’ quindi unica l’occasione di vedere
quasi tutte le componenti dell’opera riunite, oltretutto in un contesto eccezionale, la
Sala di Giasone affrescata dai Carracci. Inoltre, la società Factum, che si occupa di
restauro, conservazione e studio del patrimonio artistico, avvalendosi di sofisticate
tecnologie informatiche, ha ricostruito un facsimile dell’opera, per permetterci di
immaginarla come era disposta nella cornice originale. La sala introduttiva ci mostra
anche foto che documentano altri polittici presenti a Bologna, come quello di

marmoreo di San Francesco e quello, purtroppo difficilmente visibile, del pittore
centese, ma di cultura veneta, Marco Zoppo che si trova nel Collegio di Spagna e
conserva ancora la cornice originale. C’è anche un documento settecentesco che
racconta lo smembramento del polittico e disegni che lo descrivono, compresi quelli
di Roberto Longhi, che contribuì in modo fondamentale a rivalorizzare la grande
scuola pittorica ferrarese del Quattrocento e cercò di ricostruire la struttura
originale dell’opera. Le componenti provengono da musei come il Louvre, la
National Gallery di Londra e quella di Washington, Brera, e appaiono ottimamente
conservate. Il fatto di poterle osservare a distanza ravvicinata è bellissimo perché
permette di cogliere l’abilità rappresentativa dei pittori, (con influenze da Piero
della Francesca, Niccolò dell’Arca, Mantegna, i toscani), ma anche la loro incredibile
fantasia nella rappresentazione di sfondi con nature fantastiche e scene di vita
quotidiana. Camminando lungo la predella di Ercole De Roberti, che descrive fatti
della vita del santo, sembra di vedere svolgersi una pellicola cinematografica.
Affascinante anche la differenza tra le rappresentazioni superiori, ancora su fondi
oro, e il naturalismo di quelle centrali e inferiori. Insomma, c’è da passare molto
tempo, mantenendo ovviamente le distanze, a farsi rapire da questo capolavoro,
magari immaginando un dialogo, di notte, nelle stanze vuote, di questi santi che
sono vissuti insieme per due secoli, si sono separati per altri e, a breve, si
separeranno nuovamente per sempre.
Non è da mancare una visita al secondo piano, dove la Factum Foundation esibisce
esempi affascinanti di come utilizza la tecnologia digitale per lo studio e
valorizzazione del patrimonio artistico, compresa una analisi molto bella del
Compianto di Niccolò dell’Arca
LA RISCOPERTA DI UN CAPOLAVORO
PALAZZO FAVA, VIA MANZONI 2 BOLOGNA
FINO AL 10/01/2021 – APERTO TUTTI I GIORNI DALLE 10 ALLE 20,30
IL BIGLIETTO E’ ACQUISTABILE ONLINE MA SPESSO SI PUO’ ENTRARE SENZA
PRENOTAZIONE PERCHE’ I VISITATORI NON SONO TANTI
IL BIGLIETTO INTERO COSTA 15 EUR, RIDOTTO 12. EUR 10 CON CARD CULTURA
A due passi da Palazzo Fava si arriva alla cattedrale di San Pietro per ammirare il
crocifisso ligneo sull’Altare Maggiore e, uscendo, ci si può soffermare sul Compianto
sul Cristo morto di Alfonso Lombardi, realizzato nel 1524. L’opera, in terracotta,
materiale che l’artista predilesse, ha perso la coloritura, come quella di Niccolò
dell’Arca in Santa Maria della Vita, e ci introduce alla terza mostra, che possiamo
visitare in Pinacoteca: “Un dialogo tra le arti a Bologna nel segno di Raffaello”, divisa
in due sezioni: “La fortuna visiva di Raffaello nella grafica del XVI secolo” e “Alfonso
Lombardi, il colore e il rilievo”. Rispetto all’epoca del Polittico Griffoni andiamo
avanti di mezzo secolo, la città era entrata nella lotta tra la famiglia Bentivoglio e il

papa guerriero Giulio II, che prima la conquistò, poi la riperse, e i cittadini
pensarono bene di distruggere la grande statua bronzea che il papa aveva fatto a
fare a Michelangelo per metterla, in posizione tra il benedicente e il minaccioso,
sull’entrata della principale basilica cittadina, San Petronio. La statua fu fatta a pezzi
e venduta al duca d’Este, che ne ricavò un grande cannone detto Giulia. Poi la
situazione si normalizzò e Bologna entrò nei domini papali. Anche l’ambiente
artistico tese a uniformarsi a quello romano e l’arrivo in città del dipinto di Raffaello
“L’estasi di Santa Cecilia”, eseguito intorno al 1514 e posto nella chiesa di San
Giovanni in Monte, causò una enorme sensazione sugli artisti locali, che in gran
parte vollero aderire al nuovo canone del maestro di Urbino. Raffaello era non solo
un artista geniale ma anche estremamente moderno. Aveva una bottega con
assistenti di grande valore, basti pensare a Giulio Romano, e il suo lavoro avveniva
in un ambiente gioioso, tra dotte conversazioni e visite di amici, mentre
Michelangelo, incarognito, sporco, si confrontava, solo, con l’enorme Cappella
Sistina, impedendo a chiunque di avvicinarsi anche solo per vedere la creazione
dell’opera. Raffaello, invece, ragionava da imprenditore, voleva che la sua fama si
diffondesse nel mondo e pensò che niente più delle stampe avrebbe potuto
contribuire a farlo conoscere. Incontrò, intorno al 1510, un famoso incisore
bolognese, Marcantonio Raimondi, il quale cominciò a realizzare stampe da suoi
disegni, stampe che si diffondevano ovunque, imponendo il nome e lo stile
dell’urbinate. Uno degli esempi più importanti è “La strage degli innocenti” dove,
come al solito, Raffaello recepisce stimoli dal clima culturale e artistico del suo
tempo, a partire da Michelangelo, per realizzare una sintesi con uno stile del tutto
personale e che sarà modello per molti artisti a venire (basti guardare la tela con
soggetto analogo di Guido Reni). Altri incisori lavorarono su disegni di Raffaello,
riproducendo sue opere, ad esempio “L’Estasi di Santa Cecilia” o, soprattutto dopo
la sua morte, realizzando stampe “nello stile di Raffaello”, come la serie con la
“Storia di Amore e Psiche”. Lo stile di Raffaello, diffuso attraverso le sue opere e le
stampe, influenzò tutto il mondo dell’arte del tempo. L’urbinate divenne, come
capita a pochi maestri, artista degli artisti, cioè riferimento anche per gli altri maestri
(basti pensare all’ammirazione di Durer) e la sua influenza riguardò anche le arti
plastiche, come dimostra la seconda mostra in Pinacoteca, dedicata al ferrarese, ma
bolognese d’elezione, Alfonso Lombardi. Erede di una tradizione di scultori in
terracotta che parte dal grande Niccolò dell’Arca e passa per Guido Mazzoni,
Lombardi esordì giovanissimo vincendo il concorso per “Ercole e l’Idra” da collocare
nel Palazzo d’Accursio (nella sala detta ancora oggi “Sala d’Ercole”. I riferimenti allo
stile e alle idee di Raffaello nella produzione di Lombardi avvengono in primo luogo
attraverso l’osservazione delle stampe (e qui è il collegamento con la prima parte
della mostra) e poi osservando il lavoro dei tanti pittori locali che ne subirono
l’influenza, dal Garofalo a Innocenzo da Imola, e si osservano nella sua opera più
grandiosa, “Il transito della Vergine”, nell’Oratorio di Santa Maria della Vita, a poca

distanza dal “Compianto” di Niccolò. Anche Lombardi realizzò un “Compianto”,
nella Cattedrale di San Pietro, assai diverso da quello di dell’Arca, più
classicheggiante e vicino ai modi raffaelleschi. La sua abilità nella lavorazione delle
terracotta era tale da guadagnarsi gli elogi di Michelangelo e la stima di Vasari. Si
narra che Carlo V, che già era stato a Bologna per l’incoronazione in San Petronio
nel 1530, tornò in città nel 1533 e venne Tiziano per realizzare un suo ritratto.
Lombardi si aggregò al maestro di Cadore e realizzò un ritratto dell’Imperatore, in
stucco, che piacque talmente a Carlo V che gli elargì un lauto compenso e gli chiese
di tradurre l’opera in marmo. Le opere esposte in Pinacoteca stupiscono per la
bellezza e l’abilità di esecuzione, dove emergono sempre l’umanità delle figure e lo
splendore del colore, che molto spesso, nelle terrecotte dell’epoca è andato perso.
UN DIALOGO TRA LE ARTI A BOLOGNA NEL SEGNO DI RAFFAELLO:
LA FORTUNA VISIVA DI RAFFAELLO NELLA GRAFICA DEL XVI SECOLO
ALFONSO LOMBARDI IL COLORE E IL RILIEVO
PINACOTECA NAZIONALE DI BOLOGNA – APERTO SOLO IL MERCOLEDI' E IL SABATO
DALLE 10 ALLE 19
BIGLIETTO INTERO 8 EURO – RIDUZIONI DI LEGGE – CARD CULTURA GRATUITO
FINO AL 31/8/2020

SAURO SASSI

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