RICHARD MOSSE: NUOVE STRADE DEL FOTO REPORTAGE
La domanda è: “Ha ancora senso, oggi, andare nei paesi in guerra, oppure in quelli
che subiscono eventi naturali estremi determinati dalle variazioni climatiche, o
seguire il cammino dei migranti per documentare l’evoluzione storica globale? In un
universo in cui ogni giorno viaggiano virtualmente miliardi di immagini, può un
fotografo farci soffermare, pensare, magari indurci a un’azione nei confronti di una
situazione rappresentata?” La risposta, secondo me, è: “No, se si continuano a usare
le forme della foto di reportage tradizionale, quella gloriosamente esercitata da
grandi maestri come Don McCullin o Steve McCurry o Sebastiao Salgado.” Occorre
adeguarsi ai tempi correnti se si vuole che la fotografia, o il film, riescano ad avere
un impatto positivo su chi li vede, inducano una riflessione e anche una reazione. Su
questo tema si interroga Richard Mosse, fotografo irlandese, nato nel 1980, il cui
lavoro è innanzitutto una meditazione sul senso e la forza della visione. La
benemerita Fondazione Mast, Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia, ne
ospita una grande e splendida mostra nei propri bellissimi spazi alla periferia
bolognese. Mosse si pone sul crinale tra fotografia e arte contemporanea, cercando
di ridefinire i canoni del linguaggio fotografico documentario. Inizia recandosi nei
luoghi canonici del dramma contemporaneo, i Balcani, l’Iraq, la Palestina, il confine
tra Messico e Stati Uniti, ma non si concentra su immagini di morte, a forte impatto
emotivo. Fotografa i miseri oggetti abbandonati dai migranti, frammenti di vite in
sospeso, i soldati americani nelle ville di Saddam, semidistrutte, figure incongrue,
artefici inconsapevoli della storia. Le sue immagini inducono alla sosta e alla
meditazione, con un approccio che, legato anche ai suoi studi artistici, si può
definire concettuale. Continuando a interrogarsi sui limiti della fotografia
documentaria, arriva a ritenere che occorra non solo rivedere l’oggetto della visione
ma anche i meccanismi. Non si tratta solo di mostrare la guerra, le mutazioni
ambientali, le grandi migrazioni da un’angolatura diversa, ma anche di mutare gli
strumenti della visione standardizzata. Inizia nel 2010 nella Repubblica Democratica
del Congo, dove, in territori ricchissimi di risorse minerali indispensabili per i nostri
apparati tecnologici, è in corso, ancora oggi, una guerra tra governo e diversi gruppi
guerriglieri. Per documentare questo territorio e la situazione di violenza che lo
impregna, Mosse decide di utilizzare la pellicola Kodak Aerochrome che, a scopi
militari, per localizzare persone e insediamenti nella foresta, traduce la clorofilla
delle piante nei toni del rosa e del rosso. Ne scaturiscono immagini innaturali, di
grande bellezza, accentuata dalle notevoli dimensioni, in cui la violenza e l’orrore
sono latenti ma, sappiamo, non assenti. Per documentare i fenomeni migratori
utilizza telecamere termografiche, che possono individuare le persone a grandi
distanze. Così, appare una visione straniante dei campi profughi, dove gli individui
perdono la propria individualità e umanità e risultano figure fantasmatiche, come
insetti che si muovono senza scopo. Nell’ultima parte della mostra Mosse si occupa
di ambiente e cambiamenti climatici, partendo dalla foresta pluviale, prima in
Ecuador e poi nell’Amazzonia brasiliana, nel Pantanal, la più grande zona umida del
mondo, soggetta agli attacchi speculativi sostenuti dal governo di Bolsonaro. In
questa zona Mosse utilizza la macro fotografia per mostrare piante, muschi, licheni
che formano il sottobosco, in una convivenza anche crudele ma funzionale alla
sopravvivenza dell’ambiente. Illuminando questi elementi con lampade a
fluorescenza ultravioletta, l’artista ci mostra un sistema di vita e di autodifesa
naturale che l’uomo mette a rischio. In un altro progetto, “Tristes Tropiques”,
utilizza droni, abbinati a tecniche di telerivelamento multispettrale, per mostrare le
distruzioni poste in essere su questo ambiente in larga scala, con incendi e altre
modalità , così che, ancora una volta, la bellezza delle immagini non può allontanarci
dal considerare la situazione di pericolo e precarietà che questo nostro mondo, così
interconnesso, sta correndo a causa dell’uomo.
Il grande impatto della mostra è causato dal mescolarsi dell’aspetto estetico a quello
etico (riflessione sulla violenza sull’uomo, sfruttamento delle risorse naturali,
distruzione del pianeta). Credo che siamo di fronte a un modo nuovo, più efficace,
per pensare temi che sono alla base del nostro futuro. Ci sono anche delle splendide
video installazioni e filmati (anche quello con cui Mosse rappresentò l’Irlanda alla
Biennale Arte di Venezia nel 2013) che, ancora una volta, mostrano come egli non
sia solo un fotografo ma un artista a tutto tondo, che usa magistralmente diversi
materiali (anche sonori) per sviluppare un discorso forte e coerente.
SASSI SAURO
RICHARD MOSSE
DISPLACED – MIGRAZIONE CONFLITTO CAMBIAMENTO CLIMATICO
FINO AL 19/09/2021, DAL MARTEDI ALLA DOMENICA DALLE 10 ALLE 20
MAST BOLOGNA VIA SPERANZA, 42
MOSTRA AD INGRESSO GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA E GREEN
PASS. PER ACCESSO E INFORMAZIONI www.mast.org
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