ELISABETTA SIRANI, PITTRICE
La storia dell’arte ci consegna poche figure di donne artiste nei secoli passati, non
solo in Italia. La più famosa è Artemisia Gentileschi (1593-1653), anche a causa della
vicenda dello stupro che subì da parte di un assistente del padre, il pittore Orazio, e
del processo in cui, per verificare la veridicità delle sue accuse dovette subire la
tortura. Si possono ritrovare Sofonisba Anguissola (1535-1625), ammirata ritrattista;
Fede Galizia (1578-1630) di cui è ancora in corso una bella mostra a Trento (“Fede
Galizia. Mirabile pittoressa”) autrice di nature morte, ritratti, pale d’altare,
realizzatrice di diverse versioni di “Giuditta e Oloferne” che, a differenza di quelle
drammatiche e violente di Artemisia, evidenziano principalmente la grande eleganza
delle vesti della donna giustiziera; Rosalba Carriera (1675-1757) celebre ritrattista a
pastello. Bisogna però andare a Bologna per trovare una bella serie di artiste di
valore e una che, se fosse vissuta di più, avrebbe assunto una grande importanza
non solo come pittrice ma come sostenitrice del diritto delle donne ad accedere al
fare arte. Si inizia con Properzia de’ Rossi (1490-1530), scultrice, o, come dice Vasari,
“femmina scultora”. Una delle poche sue opere è un bassorilievo conservato al
Museo di San Petronio, “Giuseppe e la moglie di Putifarre” in cui la donna, a seno
nudo sul letto, attira con decisione verso di sé il povero Giuseppe che, terrorizzato
da tanta audacia, cerca in tutti i modi di ritrarsi (pare l’opera si riferisca a una
vicenda di amore non corrisposto della stessa Properzia). Abbiamo poi Lavinia
Fontana (1552-1614), figlia del pittore Prospero, grazie al quale conobbe i Carracci e
ricevette una forte educazione artistica. Quando si sposò pose la condizione che il
marito avrebbe dovuto assisterla nella sua attività professionale. Realizzò numerosi
ritratti, soprattutto di donne, con grande attenzione alle vesti e alle acconciature,
ma non disdegnò soggetti sacri e mitologici. Riuscì anche ad avere undici figli, quasi
tutti morti precocemente e, trasferitasi a Roma a inizio ‘600, ricevette commissioni
da nobili ed ecclesiastici, compreso il papa. Il cardinale Scipione Borghese, il grande
collezionista di Caravaggio, Bernini e altri eccelsi artisti, le commissionò una
“Minerva in atto di abbigliarsi” che si dice sia il primo nudo femminile dipinto da una
donna. L’opera è affascinante, Minerva ha una grande grazia e naturalezza, secondo
me anche una grande, femminile, malizia. Arriviamo alla protagonista della mostra
di Modena, artista di grande valore, purtroppo morta molto presto, e donna
emancipata e in anticipo sui tempi: Elisabetta Sirani (1638-1665). Figlia di Giovanni
Andrea, pittore, allievo di Guido Reni, dimostrò prestissimo il suo talento e si avviò
sulla strada paterna. Dotata di grande cultura, formata sulla nutrita biblioteca
famigliare, amante della musica, fu ammirata per la grande abilità con cui, in poco
tempo, sapeva imbastire l’opera sulla tela, con leggerezza e spontanea sapienza. Il
padre teneva uno Studio molto avviato e qui lei apprese la tecnica pittorica (anche
se, come donna, non poteva seguire le lezioni di disegno dal vero di nudo, riservate
solo agli studenti maschi). Tale era la sua bravura che, a diciannove anni, ricevette la
commissione per una grande tela, il “Battesimo di Cristo” per la chiesa di San
Girolamo alla Certosa. Realizzò numerosi piccoli quadri di devozione, derivando dal
padre e da Guido Reni la tecnica e i modi, che si conciliavano con la sua condizione
di giovane confinata per lo più in casa, impregnata di spirito religioso. A una certa
freddezza della produzione paterna ella opponeva una rappresentazione più intima,
intrisa di tenerezza, con uno sguardo addolcito sugli affetti famigliari, anche nei
soggetti sacri. Acquisì subito fama e ricevette visite e commissioni da molti
rappresentanti della buona società , non solo bolognese ma italiana e internazionale.
In particolare le signore amavano farsi raffigurare da una donna, spesso in messe in
scena classicheggianti, perché sentivano con lei maggior sintonia e complicità che
nei colleghi maschi. Con queste frequentazioni, anche se non poteva, come avrebbe
desiderato, viaggiare per meglio conoscere il mondo, la Sirani si evolve
umanamente. Non si identifica più con le ragazzine che volgono rapite gli occhi al
cielo (a Dio) e si abbandonano a un destino di vita devota destinata a realizzarsi nel
matrimonio, con esclusiva dedizione alla famiglia, o al convento. Non si sposa,
diventa una donna consapevole del proprio valore, della propria bellezza; si ritrae in
abiti eleganti, acconciature ricercate. Sostituisce il padre, malato, nella guida dello
Studio e fonda una accademia di disegno per sole donne, che possono riunirsi
lavorare, confrontarsi su quei temi alti (l’arte, la poesia) che si volevano riservati agli
uomini. Le eroine che rappresenta nei suoi quadri appaiono sempre più autonome,
determinate, forti, consapevoli della propria individualità . Comincia a firmare le sue
opere, in epoca in cui la firma delle donne non aveva alcuna valenza legale,
divertendosi anche a celarla in diverse posizioni nel quadro. Anche questa è una
affermazione della consapevolezza del proprio valore come donna artista. La sua
pittura si libera dall’eredità del Reni, guarda ad artisti più recenti, come Simone
Cantarini, diviene meno luminosa, più realista. Rifiuta decisamente di dedicarsi alla
produzione, considerata più femminile, di miniature o nature morte. Dipinge i
soggetti degli uomini ma con sguardo e sensibilità di donna. Sicuramente, se la
durata della sua vita fosse stata più lunga, e avesse potuto confrontarsi con altri
artisti, vedere più il mondo, accrescere la sua già grande cultura, la sua evoluzione
artistica e umana l’avrebbe portata ad essere ancor più presente nella storia
dell’arte e in quella dell’emancipazione delle donne. Morì a soli 27 anni e si volle
rivestire la sua fine di un alone da feuilleton, supponendo un avvelenamento da
parte di un’altra donna, gelosa di un uomo innamorato di Elisabetta. Si è invece
appurato che la sua fine fu naturale, a causa di un’ulcera perforata. A Modena, la
Galleria della BPER dedica a Elisabetta Sirani una piccola ma preziosa mostra, con
sette sue opere e anche una di Guido Reni e una del padre. Si vede anche un’opera
deliziosa (“Sibilla”) di altra pittora bolognese, Ginevra Cantofoli, che frequentava lo
studio di Sirani e il circolo di donne attorno ad Elisabetta. Occorrerebbe dedicare
maggiore attenzione alle artiste del passato, considerando anche lo sforzo che
dovettero sostenere per affermarsi in una società che vedeva la donna chiusa in
pochi ruoli determinati. Certo furono tutte eccezionali e riuscirono anche, in vario
modo, a esprimere un proprio specifico femminile anche nelle rappresentazioni più
codificate. La Sirani ebbe un grande estimatore nel conte Malvasia, che la conobbe e
scrisse un libro fondamentale sui pittori bolognesi. Peccato che egli, tra tutti gli
apprezzamenti, non colse la peculiarità del suo essere artista donna, non donna e
artista. Scrisse addirittura che ogni suo quadro pareva dipinto da uomo e non da
donna. Come se il suo sesso fosse stato un errore di natura, uno strano caso che non
metteva assolutamente in forse che l’arte fosse cosa da uomini e che una donna
artista fosse uno strano capriccio del caso. Sarebbe anche bello che Bologna
dedicasse una mostra alle sue pittoresse.
Sauro Sassi
ELISABETTA SIRANI
Donna virtuosa, pittrice eroina
BPER La Galleria. Collezione e Archivio Storico
Modena, via Scudari9 (fianco piazza Grande) tel. 059/2021598
www.lagalleriabper.it
Fino al 14 novembre, venerdì, sabato e domenica dalle 10 alle 13 dalle 14 alle 18
Ingresso libero
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