ALBERTO BURRI AD ALBA: ARTE E POESIA
Alba è la principale città delle Langhe. E’ molto bella e, percorrendo le sue strade,
ritorna il ricordo di Beppe Fenoglio e della sua epopea partigiana. In questo periodo,
in verità , le strade di Alba portano anche il profumo del tartufo bianco, di cui è in
corso la fiera; e, a volte, anche profumo di cioccolato, dal vicino stabilimento della
Ferrero. Anche se l’economia di questo territorio deve tanto ai prodotti alimentari,
il tartufo, il vino, il formaggio, le nocciole, e a un forte turismo enogastronomico,
alimentato anche dal conferimento, da parte dell’Unesco, a Langhe, Roero e
Monferrato della qualifica di patrimonio paesaggistico dell’Umanità , resta
fondamentale il ruolo della fabbrica della Nutella, che dà lavoro a migliaia di
persone. La Ferrero, a partire dal fondatore dell’azienda, ha instaurato un rapporto
molto stretto coi suoi lavoratori e col territorio e sostiene varie attività , anche
culturali. Dal 2010, attraverso la Fondazione, a partire da una mostra di Morandi,
ospita esposizioni d’arte di ottimo livello, che vengono proposte con accesso
gratuito. Attualmente è in corso una mostra dedicata ad Alberto Burri, curata da
Bruno Corà , Presidente della Fondazione Palazzo Albizzini, Collezione Burri di Città di
Castello. Scelta molto azzeccata, perché ci ricorda uno dei principali artisti del
dopoguerra, non solo italiani ma internazionali. Fosse nato negli USA, avrebbe la
considerazione di Pollock, Rothko, De Kooning. Ha aperto strade a Rauschenberg e
molti altri. Corà ha intitolato la mostra: “Burri la poesia della materia”, evidenziando
il rapporto dell’artista umbro con la poesia, a partire da una frase di grande
apprezzamento di Ungaretti e ricordando che la sua prima mostra romana fu
presentata da due poeti, De Libero e Sinisgalli. Certamente quella di Burri è poesia
aspra, com’era il suo carattere; la materia, soprattutto all’inizio, è tormentata,
straziata, ferita ma anche curata. Lui non era nato con la vocazione artistica, si era
laureato in medicina. Poi la guerra in Africa e la prigionia da parte americana, prima
in Tunisia e dopo in Texas. Fu in Texas che, rifiutando di svolgere la sua attivitÃ
medica, iniziò a dipingere, a 30 anni, e la mostra ci consente di vedere quella che è
considerata la sua prima opera, un paesaggio ancora figurativo, dove già appare la
tendenza all’essenzialità , all’uso di pochi colori che caratterizzerà in gran parte il suo
lavoro. La sua formazione scientifica lo porta a un approccio sperimentale all’arte;
l’esperienza della guerra a una visione drammatica e pessimistica; la mancanza di
una cultura artistica specifica lo libera dalle pastoie della tradizione; l’assenza di fede
politica fa sì che non pensi che l’arte possa intervenire nella lotta ideologica e sociale
per cambiare il mondo. Il suo è un approccio esistenziale e riguarda il rapporto
dell’artista con la materia, che diventa non il supporto, lo strumento del fare
artistico ma la sua stessa essenza. Comincia applicando la materia su tela o cellotex:
pietra pomice, catrame, vinavil, spago, muffe. I colori sono tre: bianco, nero, cioè
non colori, rosso, colore del sangue. I titoli non sono evocativi, designano lo status
dell’opera: “Nero”, “Catrame”, “Muffa”, “Ferri”. Poi appare: “Gobbo”, cioè Burri
comincia a lottare con la materia, estroflette la tela con legni, ferri, prima diCastellani, degli americani. Poi, anni ’50, uno dei materiali diventa l’opera: “Sacco”.
Non è più un collage di una parte di tela di sacco ma il sacco stesso, con le sue
scritte, la sua sporcizia, l’unto a divenire l’opera. E nasce lo scandalo, gli ambienti più
retrivi si indignano, perfino in Parlamento, anche quelle forze politiche di destra per
le quali Burri simpatizza. L’artista continua a sperimentare e lottare con la materia:
nella tela di sacco squarci di bianco, di rosso. Scopre uno strumento nuovo al posto
di spatole e pennelli: il fuoco. E una nuova materia: la plastica. Col fuoco plasma la
plastica, la lavora, lascia il suo segno. I filmati in cui, con una bombola a gas, brucia
la plastica e con le mani e il respiro la plasma fanno pensare a un atto di creazione,
l’opera di un alchimista. Con la fiamma ossidrica piegherà i “Ferri”, li cucirà come
con ago e filo cuciva la tela di sacco: ferita e cura. Le opere si fanno più grandi, come
volesse imporle con più evidenza, come se la materia si autogenerasse ed
espandesse nello spazio. La ricerca continua: Burri, a differenza della maggior parte
degli artisti, non ha mai pensato di aver raggiunto uno stile, forme e modi da
ripetere canonicamente. Ha sempre proseguito nelle sperimentazioni. A partire dagli
anni ’60 si è raffreddato, è divenuto meno drammatico, il confronto con la materia
ha perso il carattere di lotta, di scontro fisico. Così, nei “Cretti”, il caolino steso sulla
tela, con pigmenti e vinavil, seccando si crepa naturalmente e l’artista non può
determinare il processo. Nel percorso di raffreddamento Burri incontra un materiale
che aveva già usato come supporto e che ora diventa protagonista: il cellotex, usato
in edilizia come isolante. E’ opaco, rigido. Può essere inciso, scavato e, rimuovendo
la superficie liscia, diventa scabro, irregolare. E’ un materiale sintetico, anonimo,
non ha storia. Le composizioni di Burri perdono in drammaticità , acquistano una
cura, un’attenzione all’equilibrio compositivo che le fa dialogare direttamente con la
grande arte del nostro passato, dai fondi oro a Piero della Francesca. La mostra si
conclude con alcuni neri con inserti di foglia d’oro, che testimoniano una
riappacificazione, il raggiungimento di uno statuto di classicità . Termina quella che,
in altro contesto, Marinetti aveva definita l’ossessione lirica della materia. Il
curatore ha ritenuto di non documentare la scultura e anche la grafica, che in Burri è
sempre di altissima qualità . Mancano anche le opere in cui l’artista riprende l’uso
del colore e della pittura, realizzando grandi cicli in cui sembra pervenire a una
visione acquietata che contrasta col lavoro precedente.
Non bisogna assolutamente mancare l’appendice della mostra alla Fondazione,
dedicata al “Cretto di Gibellina”, presso il palazzo della Banca d’Alba, in centro città .
Tutti sanno che nel Belice, in Sicilia, nel 1968 ci fu un terremoto devastante che
portò morte e la distruzione di vari paesi, tra cui Gibellina, che fu interamente rasa
al suolo e venne ricostruita in posizione più sicura. In meno sanno che un politico
illuminato (allora ce n’erano) sindaco della città e parlamentare del PCI, chiamò
grandi artisti e architetti a intervenire sulla nuova città e si rivolse anche a Burri, il
quale propose non un intervento per abbellirla, come farà ad esempio lo scultore
siciliano Pietro Consagra, ma un’opera grandiosa per preservare la memoria dellacittà originaria: rivestire interamente le rovine con una colata di cemento bianco,
rispettando la struttura urbanistica, le posizioni delle strade e delle case. Una sfida
enorme per uno che non si era mai cimentato con la cosiddetta arte ambientale,
un’opera colossale. La realizzazione iniziò nel 1985, dieci anni prima della morte
dell’artista, che non riuscì a vedere l’opera completata, terminata nel 2015. La
chiamò il “Cretto di Gibellina”, perché richiamava le opere che eseguiva su cellotex
versando caolino, vinavil e pigmenti. Adagiato sulla collina, in pendio, il Cretto di
Gibellina appare a distanza un segno grandioso sulla natura. Camminando tra le
crepe, alte circa un metro e sessanta, si prova l’emozione di attraversare la storia,
nella memoria della sua drammaticità . Ha ospitato opere teatrali, in un contesto di
suggestione unica. Un’opera di questa forza è un capolavoro assoluto dell’arte
contemporanea e meriterebbe visite da tutta Italia. La mostra al palazzo della Banca
d’Alba presenta una ricca documentazione fotografica del terremoto e delle fasi di
realizzazione del Cretto.
Sauro Sassi
BURRI LA POESIA DELLA MATERIA
FONDAZIONE FERRERO STRADA DI MEZZO 44 ALBA (CN)
FINO AL 30 GENNAIO 2022
INGRESSO GRATUITO. GIORNI FERIALI 11.30 – 18. SABATO DOMENICA E
FESTIVI 10 – 19. CHIUSO IL MARTEDI’
IN CORRISPONDENZA C’E’ UN GRANDE PARCHEGGIO PER I DIPENDENTI
FERRERO CHE PUO’ ESSERE FRUITO GRATUITAMENTE DAI VISITATORI
BURRI IL CRETTO DI GIBELLINA
PALAZZO BANCA D’ALBA – VIA CAVOUR 4, ALBA (CENTRO CITTA’. SI
PUO’ RAGGIUNGERE A PIEDI DALLA FONDAZIONE).
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