Come in ogni cosmogonia che si rispetti, Gugulandia è uno specchio di tutti gli universi possibili. La
sillaba gu rappresenta il primo
tentativo umano di comunicare con i propri simili, quindi questo è il paese di
chi dialoga, pone domande e tenta di dare risposte, dove non mancano innocenza,
ambizione, paura, superbia e gli infiniti problemi che provoca in ogni tempo la
convivenza tra le persone.
Hernán Henríquez (L’Avana, 1941) ha avuto bisogno soltanto di sette
personaggi per creare questo mitico e remoto luogo della storia umana: il re,
lo stregone, l’artista, il cacciatore, la donna e un bambino, soprannominato
“il piranha” per il suo appetito vorace. Non dimentichiamo “i placatanes”, enormi animali che in certi
casi perseguitano e in altri alimentano la tribù. Tutto questo è stato
raccontato nelle pagine della stampa ufficiale cubana dal 1964 al 1980, gli
anni di maggior intolleranza del processo rivoluzionario.
Nel 1966 il fumetto venne portato sul grande schermo, tra le altre cose perché il suo autore aveva
cominciato a lavorare nel 1959 come disegnatore di cartoni animati preso
l’Istituto del Cinema. Nei primi mesi del 1977, gli eroi di questa fiction ante litteram comparvero in venticinque fumetti, alti undici metri
l’uno, in una spettacolare esposizione intitolata “Il lavoro creò l’uomo”,
organizzata per salutare il diciottesimo anniversario del trionfo della
rivoluzione, e visitata in tre mesi da oltre centocinquantamila persone
all’interno del Padiglione Cuba, il più importante centro espositivo del paese.
Come molte altre cose i gugus
abbandonarono il paese nel 1980. Per la mia generazione che è riuscita a vedere
quei fumetti soltanto nella fanciullezza, Gugulandia
era un argomento di conversazione delle persone più anziane, che affrontavano
il tema con aria di superiorità, come se a noi giovani mancasse qualcosa di
fondamentale per aver perso le vignette di quando la furia dei placatanes regnava sulla faccia della
terra.
In compenso Gugulandia risorse
a nuova vita. Prima non lo avevamo mai visto con colori così nitidi e con la
libertà che permette di esporre le idee alla luce del sole. Visto che non era
più necessario essere sottili, il fumetto corse il rischio di diventare,
secondo i critici attuali “troppo evidente”. Ma non ha mai potuto perdere la
sua arguzia, dovuta all’idea originale di presentare un mondo in cui si
racconta come sono state inventate le cose che oggi conosciamo, senza far
mancare gli anacronismi umoristici, le false interpretazioni e la sorpresa
inalterabile davanti alle scoperte. Un mondo dove gli uomini primitivi scoprono
le loro verità grazie all’errore e alla critica, dove la comunicazione, nata
dal primitivo gu, è la cosa più
importante. (Yoani Sanchez, 2010)
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