ANISH KAPOOR A VENEZIA: DRAMMA E TRIONFO DELLA MATERIA
In questo periodo Venezia ospita una enorme quantità di mostre d’arte
contemporanea. Se la Biennale ci offre una vasta panoramica, a mio avviso non del
tutto compiuta ed esaustiva, della scena attuale, diverse altre sedi propongono
grandi individualità che sono ormai storicizzate. Mi riferisco allo statunitense Bruce
Nauman (che alcuni considerano il maggior artista vivente) a Punta della Dogana,
alla sudafricana olandese Marlene Dumas a Palazzo Grassi, al tedesco Anselm Kiefer
a Palazzo Ducale. Se però dovessi indicare quello che ha allestito la mostra più bella,
quella sicuramente di maggior impatto, direi l’indiano inglese Anish Kapoor. Di
fronte a un’arte che tende sempre più a concettualizzarsi, dove le opere diventano
spesso dei documentari o dei trattati di sociologia o psicologia e per essere
comprese occorre leggere le didascalie o i cataloghi, Kapoor rimette al centro la
materialità, la fisicità del lavoro, l’impatto emotivo immediato che questo provoca.
Nella sua opera non troviamo l’equilibrio dell’arte rinascimentale italiana, nemmeno
una linea uniforme. A volte sembra evocare una spiritualità orientale, con lavori
quasi immateriali, per presentarne altri in cui, invece, la materia deborda, la
rappresentazione diventa pornografica, le proporzioni vengono stravolte. Passa da
sculture rese immateriali con l’uso di un nero assoluto a grumi enormi di silicone
rosso che si accumulano in terra o si rapprendono alle pareti. Stravolge la
percezione con l’uso di specchi che disorientano, fanno girar la testa a chi li guardi e
quasi lo trascinano in una dimensione onirica. Non è incoerenza ma una
interrogazione sulla materia che si espande e il suo opposto, il vuoto, su ciò che
appare disordinatamente e ciò che si nasconde, il reale e l’illusorio, i riferimenti alla
nostra cultura occidentale, a quella orientale e a quella ebraica. I tre colori di Kapoor
sono il rosso, che si richiama all’India, colore del sangue e del sole; il nero, la
negazione della luce, l'abisso; il blu, la spiritualità. La mostra si articola in due spazi:
le Gallerie dell’Accademia, che ospitano la grande pittura veneta antica, da
Carpaccio a Giorgione, da Tintoretto a Veronese e Tiziano; Palazzo Manfrin a
Cannaregio, vicino alla Stazione Ferroviaria, ai margini del Ghetto, dimora nobiliare
modificata nei secoli, che nel Settecento raggiunse il massimo splendore, ospitando
opere d'arte come la “Tempesta” e “Ritratto di Vecchia” di Giorgione, che poi
andarono all'Accademia. Palazzo Manfrin ha poi subito un lungo periodo di
abbandono che ha portato un notevole degrado ed è ora stato acquisito dallo stesso
Kapoor, che, dopo questa mostra, lo trasformerà nella sede veneziana della sua
Fondazione dedicata all'arte contemporanea. Il curatore suggerisce di iniziare la
visita dalle Gallerie dell’Accademia ma secondo me non fa molta differenza perché,
in entrambe le sedi, opere storiche si accompagnano ad altre recenti o inedite. E’
chiaro che all’Accademia si possono confrontare con la grande arte veneta del
passato, per verificarne soprattutto la sensualità, l’impatto drammatico del colore o
per vedere come, al contrario, in altri lavori Kapoor usi un colore nero realizzato con
una nuova tecnologia ad altissimo assorbimento della luce per annullare la
tridimensionalità degli oggetti e offrircene una visione ambigua, così come in lavori
più vecchi, con arenaria e pigmento scuro, che suggeriscono un senso di mistero,
simile a quello che possiamo provare davanti alla “Tempesta” di Giorgione. In
entrambi gli spazi esiste un’opera centrale che, per dimensioni e impatto, funge da
catalizzatrice. All’Accademia si tratta di “Shooting into the corner”: un cannone che
spara sulle pareti pesanti proiettili di silicone rosso, creando un ambiente
inquietante, che suggerisce violenza e sangue. L’opera risale al 2008/2009 ma non
può non turbarci per la sua attualità. Se vogliamo c’è un contraltare a questo lavoro
drammatico dove il rosso domina, in uno intitolato “Pregnant White Within Me”, in
cui una stanza bianca dell’Accademia varia le sue dimensioni e la sua conformazione
come se essa stessa maturasse una nascita. Palazzo Manfrin è un edificio
settecentesco, con una bella facciata in bianca pietra d’Istria, che si trova sul canale
di Cannaregio, vicino alla sua confluenza nel Canal Grande. Il Palazzo, come tanti a
Venezia, subì una fase di abbandono e ora necessita di importanti lavori di ripristino.
D’altra parte, proprio questo suo essere un cantiere, l’alternarsi di muri sbrecciati,
infissi cadenti e preziosi affreschi, grandi sale con balaustre lo rende particolarmente
suggestivo per accogliere opere dal forte impatto visivo. Con la prima opera,
“Mounth Moriah at the Gate of the Ghetto”, Kapoor vuole proprio aprire il palazzo
all’esterno. Il monte, dove sarebbe avvenuto il sacrificio di Isacco, si identifica con
quello che ospita oggi la Spianata delle Moschee, già sede di basiliche bizantine.
Luogo sacro per le tre religioni, Kapoor lo rappresenta come una gigantesca
escrescenza rossa e nera, un enorme grumo che sembra voler uscire dal Palazzo e
invadere il ghetto. Sempre al piano terreno l’installazione “Destierro” mostra
tonnellate di pigmento rosso spostate da una scavatrice di colore blu. Dato che la
parola spagnola significa “esilio”, si può associare il lavoro all’idea dei grandi
spostamenti a cui oggi tante persone sono costrette e anche al sangue di tante
vittime della violenza. Le stanze del primo piano alternano lavori recenti, in cui
ancora una volta la materia rossa richiama il sangue, la carne, in un dialogo con
artisti come Bacon e Soutine, ad altre quasi immateriali, come le superfici concave
rivestite di pigmento scuro o quelle di alabastro che dialogano con la luce veneziana
e alle superfici specchianti che stravolgono la nostra percezione spaziale. Tutto
converge nel salone nobile che ospita una enorme installazione intitolata
“Symphony for a Beloved Sun”: un grande disco solare rosso e una materia di cera
rossa che nastri trasportatori trascinano senza meta lasciandola cadere a
rapprendersi sul pavimento, a immaginare un’alba di speranza o forse un tramonto
di sangue.
SAURO SASSI
ANISH KAPOOR
GALLERIE DELL’ACCADEMIA VENEZIA E PALAZZO MANFRIN
VAPORETTO LINEA 1 FERMATA ACCADEMIA
FINO AL 9 OTTOBRE 2022
ORARI: LU 8.15-14 MA DO 8.15-19.15
PALAZZO MANFRIN – FONDAMENTA VENIER CANNAREGIO. RAGGIUNGIBILE A
PIEDI DALLA STAZIONE FERROVIARIA
ORARI: LU 10-14 MA DO 10-19.15
BIGLIETTO UNICO PER LA MOSTRA ALL’ACCADEMIA, COMPRENSIVO DI VISITA
MUSEO E PALAZZO MANFRIN: EUR 12. SI CONSIGLIA DI PRENOTARE
ALL’ACCADEMIA: WWW.GALLERIEACCADEMIA.IT. PALAZZO MANFRIN PUO’
ESSERE VISITATO IL GIORNO DELLA VISITA ALL’ACCADEMIA O I DUE SUCCESSIVI. SE
SI VA PRIMA A PALAZZO MANFRIN IL BIGLIETTO SI PUO’ PAGARE SOLO
ELETTRONICAMENTE E OCCORRE CONTESTUALMENTE PRENOTARE LA VISITA
ALL’ACCADEMIA.
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