BRUCE NAUMAN A MILANO: IL CORPO COME MISURA DELL’ESPERIENZA, IL LINGUAGGIO COME VEICOLO DEL DISAGIO

BRUCE NAUMAN A MILANO: IL CORPO COME MISURA DELL’ESPERIENZA, 

IL LINGUAGGIO COME VEICOLO DEL DISAGIO



Lo statunitense Bruce Nauman (1941, vive nel deserto del New Mexico) è uno dei

grandi vecchi dell’arte contemporanea, forse il più seguito dai giovani artisti. Ha

iniziato il suo lavoro a metà anni ’60, in un periodo estremamente creativo e di

grandi mutamenti nel mondo dell’arte. Se la Pop Art si rivolgeva all’universo dei

consumi di massa, ponendo al centro dell’attenzione le immagini iconiche del

consumismo, col progetto di riportare l’arte all’attenzione e comprensione della

gente comune, altri movimenti si interrogavano sullo statuto dell’arte, sul ruolo

dell’artista, le tecniche, i materiali, ma anche la ricerca di nuove basi teoriche,

interrogando filosofia, letteratura, scienza, linguistica, cercando rapporti con le

nuove ricerche della danza (Merce Cunningham), della musica (John Cage). Nauman

racconta che, trovandosi nel suo studio e con assai scarse disponibilità economiche,

prese a interrogarsi sul senso del suo essere artista e decise che il materiale che

avrebbe utilizzato sarebbe stato il suo stesso corpo, col quale misurare lo spazio che

abitava, rendendolo ancora più limitato, facendo che il suo movimento incontrasse

costrizioni, limitazioni fisiche che si traducessero anche in una reazione psicologica.

Le sue azioni venivano filmate e questa registrazione portava l’opera agli spettatori.

Un lavoro importante fu “Walk with Contrapposto” (1968), in cui viene ripreso nello

studio a percorrere un corridoio che aveva fatto installare, largo 50 centimetri,

muovendo le natiche secondo le pose delle sculture classiche. Da questo primo

intervento, documentato in mostra, nasce l’intento di accentrare l’attenzione sui

corridoi, luoghi di passaggio, non connotati da arredi o elementi personali, e quindi

anonimi, e di coinvolgere lo spettatore. Non più lo spazio vissuto dall’artista ma

attraversato dal visitatore che si troverà a ricevere sollecitazioni di diverso tipo:

luminose, sonore, anche spaziali perché il corridoio può chiudersi, restringersi; la

presenza di specchi può creare disorientamento, telecamere a circuito chiuso

suggeriscono la sensazione di essere sotto controllo. Questi attraversamenti non

hanno nulla di ludico ma tendono a indurre disagio, insicurezza, perdita della

percezione del corpo. Proporre una grande quantità di questi corridoi e altri grandi

lavori dell’artista, come stanze e neon, richiede uno spazio vasto e, ancora una volta,

l’Hangar Bicocca di Milano si rivela ideale. Questa ex fabbrica di locomotive,

trasformata in sito espositivo, si trova in una di quelle che erano le grandi aree

industriali milanesi, prossima all’altro polo di Sesto San Giovanni. Oggi quel tipo di

industrie non esiste più e la Fondazione Pirelli Hangar Bicocca ha riqualificato questo


enorme spazio trasformandolo nel sito ideale per ospitare grandi mostre di arte

contemporanea, legate anche a varie attività divulgative. L’ingresso alle mostre è

gratuito e questo ne ha fatto un luogo frequentato anche da famiglie e persone che

non erano abituate ad osservare opere e autori che spesso in Italia sono del tutto

sconosciuti. Gli stabilimenti, sviluppati nel corso del tempo, comprendono tre grandi

aree: lo Shed, dove si assemblavano le locomotive, poi le Navate, spazio gigantesco

dove si fabbricavano trasformatori, e infine il Cubo, dove si testavano le turbine,

altissimo e unico illuminato da luce naturale. Attualmente lo Shed ospita una mostra

molto bella dell’artista sudafricana Dineo Seshee Bopape mentre le Navate e il Cubo

sono occupate dai lavori di Nauman. Bisogna però aggiungere che le Navate sono tre

e una ospita l’installazione permanente “I Sette Palazzi Celesti” del tedesco Anselm

Kiefer, una delle opere più importanti dell’arte contemporanea, la cui sola visione

vale la visita all’Hangar Bicocca. La mostra di Nauman si intitola “Neons Corridors

Rooms” ed è quindi incentrata su queste tre modalità del suo fare artistico, che non

sono le uniche che ha utilizzato nella sua ormai lunghissima attività. Inizia con

“Dream Passage with Four Corridors” (1984), che rappresenta un concentrato di

molti elementi legati al tema del corridoio. Si tratta di una struttura a croce, con

quattro percorsi, di cui solo due accessibili. Tutti convergono in una stanza dove si

trovano due tavoli con due sedute, in parte disposti in modo normale mentre in

altra parte rovesciati e fissati al soffitto. I corridoi sono inoltre attraversati da tubi di

luce fluorescente gialla o rossa. La sensazione, percorrendoli, è di trovarsi in uno

spazio al di fuori della nostra ordinaria percezione del reale, lo stesso Nauman dice

di aver voluto dare forma a un sogno in cui si trovava ad attraversare un luogo da un

lato sconfinato ma dall’altro senza via di uscita. Vicina a questa prima opera ne

troviamo una che illustra l’utilizzo molto ricorrente del neon nel lavoro dell’artista.

Nauman non è stato il primo a usare questo elemento, basti ricordare le splendide

installazioni spaziali di Lucio Fontana, ma nel suo caso lo associa a una riflessione

linguistica: di solito usa associazioni di parole che concretizzano il linguaggio,

usandolo come materia, non cercando tanto un esito narrativo ma di incidere nella

psiche dello spettatore. Così la composizione luminosa a spirale “The True Artist

Helps the World by Revealing Mystic Truths” rimane ambigua: difficile pensare che

rappresenti seriamente una enunciazione di poetica. La trascrizione, sempre con luci

al neon, del suo nome deformato, come se fosse scritto sulla superficie della luna

indica un discorso sull’identità che dal corpo si trasferisce a ciò che lo denomina.

L’uso del linguaggio deriva a Nauman dalla lettura di Wittgenstein, dove però la

parola esce dal libro e viene concretizzata, diventa materiale ma anche perturbante,

come nella composizione “One Hundred Live and Die”, dove un grande

assemblaggio di coppie di verbi, scritti con neon colorati, che si accendono ad

intermittenza, terminano sempre con: “vivi” o “muori”, come se questo tabellone

luminoso volesse sintetizzare il percorso di una esistenza. Se i corridoi mettono al

centro il corpo, la sua percezione, il suo stare nello spazio e nel tempo, e i neon


concretizzano il linguaggio, nell’opera “Get Out of My Mind, Get Out of This Room”

è la voce che assume fisicità e diventa urlo, esortazione, manifestazione di disagio

psichico, nel momento che, dentro una stanza spoglia, con solo una lampadina al

soffitto, viene reiterata questa frase con toni che vanno dall’angoscia alla minaccia.

L’idea dell’isolamento si esplicita nell’opera “Kassel Corridor: Elliptical Space”: si

tratta di un corridoio ellittico, talmente stretto da non poter essere percorso, tranne

la parte centrale, a cui si accede da una porta che permette l’entrata di una sola

persona per la durata massima di un’ora. Si realizzano una condizione di solitudine,

un senso di costrizione, una diversa percezione del tempo. In “Double Steel Cage

Piece” la presenza di due gabbie metalliche poste una dentro all’altra, con la più

interna inaccessibile e la più esterna percorribile con molta fatica, pone ancora una

volta il visitatore in una condizione di costrizione e disagio per la difficoltà di

movimento e per sentirsi sottoposto allo sguardo degli altri. In fondo alle Navate

anche progetti di tunnel che, ovviamente, non conducono da nessuna parte, mentre

nello spazio finale del Cubo è presente un lavoro che nasce dalla ripresa notturna,

per ore, delle telecamere di sorveglianza nello studio dell’artista. Apparentemente

non accade nulla ma in realtà piccoli eventi si manifestano in un’atmosfera rarefatta

e sospesa, che rimanda anche a certo cinema sperimentale americano. La mostra si

sposta lungo una parete esterna delle Navate, con un lavoro presentato nel 2004

alla Tate Modern, “Raw Materials”: camminando si ricevono messaggi sonori emessi

da diversi altoparlanti posti lungo il percorso. Ancora una volta non c’è una

narrazione ma frasi e parole nude, usate per il loro impatto psicologico e materiale.

Infine nella Sala Lettura l’installazione Anthro/Socio (Rinde Spinning) vede, in sei

video e tre proiezioni a parete, la testa ruotante di un performer, anche capovolta,

che pronuncia continuamente le parole FEED ME / EAT ME / ANTHROPOLOGY /HELP

ME / HURT ME/ SOCIOLOGY / FEED ME/ HELP ME / EAT ME / HURT ME. Ancora una

volta il linguaggio non comunica, la successione ossessiva delle parole e il

movimento circolare della testa determinano uno stato di ansia e di attesa.

“Esiste lo spazio reale ed esiste l’immagine dello spazio reale … c’è un approccio

fisico e intellettuale (visuale) io cerco di collegarli.”

SAURO SASSI


BRUCE NAUMAN - NEONS CORRIDORS ROOMS

MILANO HANGAR BICOCCA, VIA CHIESE 2

FINO AL 26/02/2023

DA GIOVEDI’ A DOMENICA 10,30 – 20,30

INGRESSO GRATUITO CON POSSIBILITA’ DI PRENOTAZIONE ONLINE SUL SITO

Htpps://pirellihangarbicocca.org

Il modo più breve per raggiungere Hangar Bicocca dalla stazione di Milano

Centrale e prendere, a lato dall’uscita principale, il pullman 87 direzione Sesto

Marelli e scendere alla fermata via Chiese/Hangar Bicocca; oppure bisogna

prendere due metro, arrivando con la linea lillà alla fermata Ponale e poi fare

alcune centinaia di metri a piedi o prendere il bus.

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