ARTE E NATURA. DIFENDERE LA FORESTA PER SALVARCI

  

ARTE E NATURA. DIFENDERE LA FORESTA PER  SALVARCI




Un famoso artista francese, Fabrice Hyber, ha piantato una foresta intorno alla fattoria dei suoi genitori, nella regione della Vandea. Questa azione riflette la sensibilità che diversi artisti e pensatori occidentali hanno sviluppato sul tema, sempre più drammatico, del rapporto del genere umano con l’ambiente, che cerca di mutare la concezione antropocentrica, che domina il nostro presente e pregiudica il futuro, con una visione in cui si pone una corrispondenza orizzontale tra noi e la Natura (vegetali e animali, dai più grandi a quelli microscopici). 

Pensiamo al paesaggista Gilles Clément, con le sue tesi su giardino planetario e “Terzo paesaggio”, ai saggi di Stefano Mancuso sull’intelligenza delle piante, al “Terzo Paradiso” di Michelangelo Pistoletto e a tanti altri. Hyber ha invitato nella sua foresta un nativo Yanomami del Venezuela, Sheronawe Hakihiiwe, che rappresenta, con disegni e dipinti, il suo universo amazzonico. Dal confronto tra i due, l’indigeno calato in un mondo così diverso dal suo ma ugualmente dominato dalla natura, e il raffinato pittore occidentale, sono nati lavori a quattro mani in cui si mescolano immagini di piante, animali,fisionomie umane senza sesso e senza una precisa identità. Da qui è nata la mostra “Siamo Foresta”, alla Triennale di Milano, in cui 27 artisti indigeni, dal Nuovo Messico al Chaco paraguaiano, all’Amazzonia tra Brasile, Perù, Venezuela, portano la loro rappresentazione del proprio habitat: animali, piante ma anche visioni fantastiche degli sciamani, confrontandosi e interagendo anche con artisti di diversissima origine, come il cinese Cai Guo-Kiang. Gli artisti indigeni portano un’idea del tutto diversa di rapporto con la natura, intesa come universo che tutti abbraccia e contiene, che a tutti offre vita e armonia. Emerge la meraviglia nella rappresentazione, che il bellissimo allestimento della mostra rende con la ricostruzione di un percorso tra vegetali illuminati da luci fantastiche, da cui pendono rappresentazioni di visioni sciamaniche, e che sembrano dialogare, attraverso le finestre, con le piante del parco della Triennale. Le immagini degli indigeni, per la vivacità dei colori e la forza della visione, ricordano a volte i quadri di Ligabue o del Doganiere Rousseau, con la differenza di provenire dall’interno di quell’universo che per i nostri era solo una rappresentazione fantastica. Spesso gli animali e le piante appaiono grandi e coloratissimi, protagonisti assoluti della scena, mentre gli umani sono marginali o assenti. Tanto è vero che il simbolo della concezione antropocentrica, l’uomo vitruviano, che è centro e misura dell’universo, viene riprodotto a testa in giù. Le rappresentazioni degli artisti indigeni vogliono riaffermare la bellezza del loro ambiente, la varietà della natura, i saperi tramandati dalle generazioni. La loro arte è anche una protesta contro la distruzione, ad esempio, della regione del Gran Chaco, a nord del Paraguay, al confine con Argentina, Bolivia, Brasile: le terre che abitano sono quelle a più alto tasso di deforestazione al mondo e le popolazioni native, Guaraní e Niwaklè, ridotte in miseria e a rischio di estinzione. Come gli Yanomami della foresta amazzonica in Brasile e Venezuela, ridotti a poche decine di migliaia, attaccati dai cercatori d’oro ( i garimpeiros, che erano sostenuti e incoraggiati dal presidente brasiliano Bolsonaro) che cercano di salvare la loro cultura e il loro habitat, una foresta fondamentale per la sopravvivenza del genere umano. L’arte oggi deve uscire dagli schemi che la visione colonialista occidentale le ha assegnato. Bisogna che coinvolga tutto il genere umano, tutte le culture. Deve cercare un nuovo rapporto con l’ambiente, con una natura che non va sottomessa ma difesa, perché tutti noi siamo natura. O, come dice il titolo della mostra, foresta. La mostra inizia con una citazione dell’attivista e sciamano Yanomami Davi Kopenawa: “La foresta è viva. Può morire solo se i bianchi si ostinano a distruggerla. Se ci riescono, i fiumi scompariranno sotto terra, il suolo diventerà friabile, gli alberi rinsecchiranno e le pietre si spaccheranno per il calore. La terra inaridita diventerà vuota e silenziosa”. Termina con una frase del grande antropologo Claude Levi Strauss: “Si è cominciato col separare l’uomo dalla Natura, e con il costituirlo a regno sovrano. Si è così creduto di cancellare il suo carattere più inconfutabile, ovverossia che egli è in primo luogo un essere vivente. E rimanendo ciechi a questa proprietà comune, si è dato campo libero a tutti gli abusi”.

SAURO SASSI 




SIAMO FORESTA

TRIENNALE DI MILANO

VIALE ALEMAGNA 6, PRESSO PARCO SEMPIONE

Metro linee 1 e 2 con fermata Cadorna-Triennale poi 5 minuti a piedi

Fino al 29/10/2023

Orari: 11-20 da martedì a domenica

Biglietto intero eur 15 ridotto eur 11

La Triennale ospita anche altre mostre temporanee e permanenti, bar e

ristorante. Vedi il sito. 




Post a Comment

أحدث أقدم