ANISH KAPOOR A FIRENZE: IL GIOCO DI VERITA’ E REALTA’
Anish Kapoor è un artista nato in India (Mumbai, 1954), che vive in Inghilterra e
anche a Venezia, dove ha acquistato il settecentesco Palazzo Manfrin nel sestiere di
Cannaregio che, ristrutturato, ospiterà importanti esposizioni d’arte
contemporanea. Due anni fa questo palazzo e le Gallerie dell’Accademia di Venezia
gli hanno dedicato un grande omaggio, consacrandolo come uno dei più prestigiosi
artisti viventi. Basti ricordare, tra le sue opere monumentali, “Taratantara”,
gigantesca scultura rossa installata nel dicembre del 2000 in piazza Plebiscito a
Napoli; “Marsyas”, altra enorme scultura rossa presentata nel 2002 nella Turbine
Hall della Tate Modern a Londra; “Cloud Gate” (detta il fagiolo), scultura in acciaio
lucidato collocata nel 2004 presso il Millenium Park di Chicago; “Leviathan”, nel
2011 al Grand Palais di Parigi; “Orbit”, torre alta 115 metri installata a Londra, nel
Queen Elizabeth Olympic Park nel 2012, in occasione delle Olimpiadi; due stazioni
della linea 7 della metro di Napoli, in corso di ultimazione. Ora Kapoor è approdato
nello storico Palazzo Strozzi di Firenze, capolavoro rinascimentale, che da anni ospita
grandi mostre dedicate sia all’arte antica che al contemporaneo (ricordo, per dare
idea della varietà, Donatello e Jeff Koons). La personale si intitola “Untrue Unreal” e
l’artista vi dispiega tutti gli elementi, anche apparentemente antitetici, che nel
tempo hanno concorso alla sua produzione, a partire dalla cultura indiana che
mescola intensa spiritualità: meditazione, silenzio, vuoto a fisicità estrema: sangue
carne, organi sessuali. Non mancano riferimenti all’arte e al pensiero occidentali,
come un esplicito omaggio alla “Colonna senza fine” del romeno parigino Brancusi. I
suoi lavori non si si integrano negli spazi razionali del palazzo rinascimentale ma
creano un conflitto, introducono elementi che mettono in discussione la centralità
dell’uomo ordinatore dell’universo attraverso l’architettura (Brunelleschi, Leon
Battista Alberti). Lo fa con tre tipologie di opere: quelle che richiamano la carne e il
sangue, come “Svayambhu”, parola sanscrita che definisce ciò che si genera
autonomamente, sorto da sé, non di mano umana (come le figure che l’arte
orientale dice Acheropite). Un gigantesco blocco di cera rossa scorre su un binario,
attraversando in un’ora due stanze, in un moto perpetuo di andata e ritorno. La cera
si stacca, finisce sul pavimento, contro le pareti, in un processo di continua
mutazione. Ancora sangue e carne in quadri materici in silicone, che appaiono come
grandi carcasse appese alle pareti di una macelleria, richiamando lavori di Annibale
Carracci, Rembrandt, Soutine. Una seconda tipologia è quella dell’uso del colore
puro, attraverso pigmenti rossi, blu, gialli che rivestono gli oggetti come una pelle,
alterandone la percezione volumetrica. Ad esempio, grandi pietre di ardesia rivestite
di pigmento blu di Prussia sembrano perdere il peso e divenire, come dice il titolo
“Angeli”. Anche il non colore, il nero modifica la percezione delle cose: superfici
concave, rivestite di un materiale ad alta tecnologia (Vantablack) , in grado di
assorbire quasi interamente la luce visibile, viste di fronte perdono il volume,
appaiono piatte, invitandoci a una meditazione sul senso del reale, sui confini tra
esistenza e il vuoto prima e dopo di noi. Il terzo tipo di lavori sono gli specchi coi
quali, ancora una volta, Kapoor altera la nostra percezione della realtà circostante e
di noi stessi nell’ambiente. Sono specchi sferici, concavi, convessi che ci immergono
in una dimensione di instabilità, perdita di equilibrio e del senso dello spazio, ancora
più straniante nelle stanze rigorose del palazzo rinascimentale. La mostra inizia e
termina nel cortile del palazzo, con un grande parallelepipedo al cui interno,
accedendo da una stretta apertura, tre forme rettangolari di colore nero non sono,
come potrebbe sembrare, tele o muro dipinto ma aperture invisibili che paiono
risucchiarci nell’abisso, invitandoci a una pausa di meditazione. L’opera si intitola
“Vuoto”. Kapoor ci destabilizza emotivamente, ci fa riflettere su realtà e apparenza,
fisicità e astrazione, sulla perenne trasformazione della materia. Ancora una volta un
artista contemporaneo si confronta con la macchina rinascimentale di Palazzo
Strozzi e ci trasporta in un viaggio dove passato, presente si mescolano nel segno di
un futuro di desiderio e paura.
Sauro Sassi
ANISH KAPOOR – UNTRUE UNREAL
FIRENZE – PALAZZO STROZZI
FINO AL 4 FEBBRAIO 2024
TUTTI I GIORNI DALLE 10 ALLE 20. GIOVEDI’ FINO ALLE 23
BIGLIETTO INTERO EUR 15 – RIDOTTO EUR 12 (UNDER 30, ACI, ARCI, COOP, FAI,
CARTAEFFE, CLIENTI INTESA SANPAOLO CON BANCOMAT O CARTA DI CREDITO)
2X1 PER POSSESSORI DI BIGLIETTO CARTA FRECCIA DESTINAZIONE FIRENZE CON
DATA VIAGGIO ANTECEDENTE AL MASSIMO DI 5 GIORNI.
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