ARTE CONTEMPORANEA ARGENTINA. IL BUIO E LA LUCE
Il PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) di Milano ha sempre prestato
grande attenzione alle produzioni da paesi non occidentali, dall’Africa alla
Cina, e in particolare dell’America Latina, dal Brasile al Messico a Cuba. Non
poteva quindi non puntare lo sguardo su un paese che molto ha dato all’arte
contemporanea, per non parlare della letteratura, del teatro, del cinema, del
fumetto. Un paese, l’Argentina, che però ha attraversato vicende storiche
controverse, sperimentando il populismo dei coniugi Peron, la guerriglia, una
sanguinosa dittatura militare, la crisi economica fino alla recente elezione a
presidente di un personaggio a dir poco sconcertante, che lascia immaginare
un futuro quanto mai incerto. I curatori hanno scelto per la mostra un titolo
suggestivo, “Quel che la notte racconta al giorno”, tratto da un romanzo dello
scrittore di origine italiana Héctor Bianciotti. La notte racconta al giorno una
storia che il giorno non conosce, in un incrocio di luce e oscurità, dove però
predominano il dramma, l’inquietudine. Gli artisti in scena sono 20, le
modalità le più diverse, dall’installazione alla performance, al video. Inizia
all’esterno, sulla via Palestro, dove Leandro Erlich ha affisso un gigantesco
manifesto in cui si offre in vendita questo storico edificio (progettato negli anni
’50 da Ignazio Gardella, distrutto nel ’93 dall’attentato mafioso e poi
ricostruito). Erlich, di cui è da poco terminata una mostra di grande successo,
(“Oltre la soglia”) a Palazzo Reale, cerca sempre di spiazzare, ponendo in
discussione la normale percezione delle cose. In questo caso invita a
considerare la possibilità che la speculazione immobiliare possa investire
anche uno storico edificio museale, in un mondo in cui la scala di valori ha ai
vertici l’economia e non certo la cultura. All’interno, la mostra inizia con
un’opera molto famosa e discussa di Leon Ferrari (1920-2013), “La
civilizacion occidental y cristiana”, con la statua di un Cristo crocifisso a un
bombardiere statunitense. Ferrari, che dovette abbandonare l’Argentina nel
1976 per la sua avversione alla dittatura militare, e che ebbe suo figlio
sequestrato e ucciso, poneva in quest’opera sotto accusa sia l’imperialismo
statunitense che l’atteggiamento di appoggio da parte della chiesa in nome
dell’anticomunismo. L’opera fu in seguito presentata anche alla Biennale di
Venezia del 2007, dove Ferrari ottenne il Leone d’oro come miglior artista.
Vengono poi presentati tre disegni e un quadro di Lucio Fontana, che si pone
a cavallo tra Argentina e Italia. Nato a Rosario nel 1899, tornò nel paese
sudamericano tra il 1940 e il 1947, partecipando a quella scena artistica e
redigendo il “Manifiesto Blanco”, in cui teorizzava un superamento della
normale concezione di pittura e scultura verso un’arte che utilizzasse lo
spazio, per realizzare una nuova fase del proprio sviluppo. Fontana ha
lasciato un segno profondo in entrambe le nazioni e la sua presenza è
doverosa. Si incontra poi un grande plastico intitolato “La Barrendera” (la
spazzina) di Liliana Porter (1941): su una vasta superficie piana sono
distribuiti in gran quantità soldatini, strumenti musicali, ingranaggi, cocci di
stoviglie, un lampadario, rottami; all’inizio, la piccola figura di una spazzina
inizia a ripulire il tutto, in un compito immane, senza apparente possibilità di
riuscita. L’installazione però è ironica e lascia il dubbio che la signora
paziente, alla fine, possa sistemare tutto: metafora della situazione argentina
odierna? Oggi, però, a promettere una soluzione ai problemi del paese è un
energumeno che brandisce una motosega. L’installazione video di Adriana
Bustos, “Ceremonia Nacional” rimanda a un confronto tra l’inaugurazione
delle olimpiadi berlinesi del 1936, in pieno delirio nazional socialista, e i
mondiali del 1978, in un’Argentina sotto dittatura militare, col generale Videla
a far discorsi sulla pace mondiale mentre a pochi chilometri si torturavano e
uccidevano gli oppositori. Nella totale indifferenza di tutti i governi delle
squadre partecipanti. Il tema della violenza, del pericolo è declinato nei lavori
di numerosi artisti, dalla serigrafia in vetro di una banconota realizzata con
sangue bovino da Cristina Piffer al cibo che si decompone in un frigo aperto
di Adrian Villar Rojas che allude al consumismo e allo spreco. Presenti lavori
che indagano la condizione femminile mentre tutto il lungo corridoio che
attraversa il piano terreno e che, con grandi vetrate, comunica con il giardino
esterno e le statue dei “Sette Savi” di Fausto Melotti, è attraversato da una
lunga installazione di Eduardo Basualdo in cui una grande massa nera,
attraversata da fili e cavità, sembra voler dialogare, come da titolo della
mostra, con la luce del giorno che la circonda. Nel corridoio superiore, una
grande e inquietante installazione di Graciela Sacco, “Bocanada”, foto di
grandi dimensioni di bocche spalancate che possono rappresentare il
bisogno d’aria, la fame, un grido, un segno che interrompe la sequenza di
manifesti propagandistici e pubblicitari che invadono le città. Sempre al piano
superiore, nell’opera di Juan Sorrentino “Ashes to Ashes”, pezzi di legno
carbonizzati scorrono sulle pareti lasciando tracce di polvere nera. Ancora
una volta predomina un senso di oscurità e di effimero. La mostra si chiude
con uno degli artisti argentini più famosi, Tomas Saraceno, architetto e
visionario, che nel 2013 aveva realizzato all’Hangar Bicocca una spettacolare
installazione in cui i visitatori si muovevano a decine di metri di altezza su una
struttura trasparente, che voleva invitare gli umani a cercare nuovi spazi per
nuovi rapporti, liberandosi dal legame con la crosta terrestre. Saraceno
continua il suo percorso immaginifico, da un lato indagando il mondo dei
ragni e delle ragnatele come nuove possibilità di connessione nello spazio,
dall’altro guardando ancora il cielo. In mostra al Pac, un video documenta la
performance “Fly with Aerocene Pacha”, il volo di una donna su un pallone
aerostatico riempito solo d’aria, senza idrogeno, senza elio, senza pannelli
solari, senza supporti elettrici, con la sola energia fornita direttamente dal
sole. La performance si è svolta in una zona chiamata Salinas Grandes, in
Argentina, in una zona abitata da numerose comunità indigene. In questo
paesaggio lunare, una enorme distesa bianca di sale, sono contenute
grandissime quantità di litio, minerale indispensabile per realizzare auto
elettriche, telefonini e vari dispositivi elettronici. Ovviamente l’industria
estrattiva ha messo le mani su questa riserva di cosiddetto oro bianco, e
intende sfruttarla a fondo, a scapito del territorio, delle sue risorse di acqua
(per ottenere una tonnellata di litio occorrono due milioni di litri d’acqua). Le
comunità indigene di Argentina, Bolivia, Cile, dove si trova l’80% del litio
mondiale, si battono per tutelare il loro territorio. Il progetto “Fly with
Aerocene Pacha” invita a pensare a un futuro in cui tutte le emissioni siano
eliminate, i territori siano rispettati, così come le popolazioni che da sempre li
abitano. Sul pallone che una donna ha fatto volare nel 2020 a Salinas
Grandes è stato scritto “El agua y la vida valen mas que el litio”. Il progetto di
Saraceno di ottenere energia senza alcuna emissione, di immaginare di
abitare il cielo (non di voler colonizzare altri pianeti) prosegue. Utopistico? Ma
forse il compito dell’arte, soprattutto ora, è immaginare altri mondi, un diverso
sviluppo che contrasti le tendenze nichiliste verso cui stiamo precipitando, in
nome di ricchezza e profitto. Quindi la mostra si chiude con un invito alla
speranza: forse è anche questo che la notte racconta al giorno.
Sauro Sassi
ARGENTINA. QUEL CHE LA NOTTE RACCONTA AL GIORNO
MILANO. PAC (PADIGLIONE D’ARTE CONTEMPORANEA). VIA PALESTRO 14
FINO ALL’11/02/2024
ORARI 10-19.30 GIOVEDI’ 10-22.30. LUNEDI’ CHIUSO
TUTTI I GIORNI DALLE 10 ALLE 20. GIOVEDI’ FINO ALLE 22
BIGLIETTO INTERO 8 EUR RIDOTTO 6,50E CONTEMPORANEA ARGENTINA. IL BUIO E LA LUCE
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