Positività tossica

 Francine Arioza


Che cos'è la positività tossica? C’è chi sta peggio di te!

 


Mai sentito parlare di positività tossica?
Questo è quando qualcuno cerca di sopprimere le emozioni negative di un'altra persona attraverso frasi come: "Poteva andare peggio", “C’è chi sta peggio di te”, “Lamentarsi fa male”
 
Questa è la richiesta contemporanea piu' diffusa, in quanto le persone si concentrano sempre sulle cose buone, piuttosto che prendere in considerazione i problemi. C'è una mentalità secondo cui se ti concentri sugli aspetti negativi, sarà peggio e si potrebbe peggiorare ancora di più. Ci potrebbe essere del vero in questo, ma è inammissibile pretendere e predicare che non si possa essere scossi dai problemi e dai fatti negativi.
C'è chi dice che non possiamo chiamare le situazioni difficili “problemi”, ma sfide, opportunità per imparare ed evolvere. Ma parliamoci chiaro, a volte un problema è solo un problema ed è giusto preoccuparci e starci male.
 
Vorrei fare degli esempi: supponiamo che hai una famiglia e da un giorno all’altro perdi il lavoro, ritrovandoti senza una stabilità, senza soldi, senza dignità e devi provvedere al mantenimento dei tuoi cari, come potresti non essere preoccupato e triste? Facciamo un altro esempio, ancora più crudo: Supponiamo che un parente tuo, prossimo e caro decede, come fai a non soffrire? Come fai a non sentirti angosciato e perduto?
 
L'Idea di successo
Essere sempre positivi è in linea con la domanda di produttività tipica della società capitalista e neo-liberista contemporanea. Positivo è un segno di successo e, secondo questa logica, attirerebbe anche il successo. L'atteggiamento sempre positivo sarebbe quindi quello dei vincitori. Questa idea comprende non solo i privilegi e le condizioni materiali di base, ma anche gli sforzi e i sacrifici fatti in nome di quella stessa prosperità.
 
Si può anche pensare a una sorta di fantasioso pensiero magico: "Pensa positivo e tutto andrà bene"; "Devo solo sembrare felice e in salute e sarò così". Un tale atteggiamento positivo, in linea di principio, non fa male, ma non sostituisce nemmeno la cura di sé necessaria per preservare, aumentare o ripristinare la salute.
 

Perché la positività tossica è dannosa per la società?
Oltre a danneggiare il modo in cui noi stessi affrontiamo i nostri sentimenti, la positività tossica è dannosa a un livello più sociale, cioè la società nel suo complesso finisce per soffrire di questo fenomeno. Viviamo in un mondo in cui accadono situazioni spiacevoli e non è possibile essere felici e pensare sempre positivo. Tutte le persone nel mondo sono già state male per qualcosa: delusione in amore, ingiustizie sul lavoro, un brutto voto a scuola, un tradimento, un litigio e così via, proprio per queste ragioni tutti almeno una volta hanno sofferto e sono stati male.
I professionisti della salute mentale sostengono che va bene così: gli esseri umani sono dotati di emozioni complesse, va bene "non stare bene" tutto il tempo, non siamo macchine ma siamo umani…
Reprimendo le emozioni andiamo contro la nostra natura, teniamo infatti dentro di noi delle vere e proprie "bombe a orologeria" che possono esplodere da un momento all’altro. Quando reprimiamo le emozioni troppo a lungo, possono manifestarsi in altri modi, possono diventare malattie fisiche perché finiamo per somatizzare (passando nel corpo) ciò che non abbiamo rilasciato dalla mente. Tutte le emozioni hanno una funzione. Siamo umani e abbiamo un ampio spettro di emozioni che vanno da quelle più positive come l'amore, la pace, la gioia a quelle più negative come la rabbia, la vergogna e la paura.
Essere ottimisti e pensare positivo, concentrarsi sulle cose positive e buone della vita è diverso dal cercare di "soffocare" o reprimere o non voler provare emozioni negative/spiacevoli.
Piangi! Arrabbiati! Lamentati! Ma non reprimere le tue emozioni solo perché sono negative.
La positività diventa tossica quando è in eccesso e quando scegliamo di ignorare le emozioni negative perché pensiamo di non doverle provare o perché terzi dicono di non lamentarti e di non stare male perché “c’è chi sta peggio di te”.
 

La luce sul lato oscuro delle cose
La filosofia “New Age” ci invita a cambiare la nostra percezione per navigare nella realtà, ma questo percorso guida può, a volte, allontanarci dalle esperienze che viviamo e farci disconnettere dai nostri sentimenti, istinti e, in ultima analisi, anche da noi stessi.
“Per funzionare bene, dobbiamo imparare a navigare nelle tempeste. Pensare positivo in modo radicale non ci permette di allenarci nella gestione del disagio, cosa essenziale per riuscire a gestire i problemi che la vita inevitabilmente ci porta. Non si tratta di torturarci con loro, né di girare e girare nella stessa direzione, ma dobbiamo affrontare i problemi. Altrimenti finiscono per complicarsi. I messaggi positivi sembrano grandiosi e generano follower sui social media, ma il loro effetto è molto breve”, afferma la neuroscienziata Ana Ibáñez.
 
Infatti, uno dei maggiori rappresentanti della positività tossica è il movimento "Good Vibes Only", molto popolare sui social network, che mette in evidenza solo le cose belle della vita nascondendo o addirittura negando l'esistenza di problemi e disgrazie. La positività tossica fa sentire le persone sotto pressione mettendo a tacere le loro emozioni.
 
Sembrare felice è un problema? 
Non è sbagliato cercare la felicità o fare bella figura sui social. Il problema notato dagli esperti è la necessità che alcuni vedono nel mostrare "felicità" ad ogni costo, o addirittura pretendere che gli altri stiano bene in ogni momento.  
Whitney Goodman con il suo libro "Toxic Positivity" invita il lettore a riflettere che quando dice ad una persona cara che ha appena perso il lavoro, quest'ultima riceve una risposta tanto divertente quanto dannosa: "Almeno ora hai tutto il tempo libero del mondo! Poteva andare peggio. Pensa a quanto imparerai da questo". Questa è una positività tossica.
Per denunciare questa epidemia di positività forzata, lo psicologo danese Svend Brinkmann si è concentrato sull'argomento nel libro “Toxic Positivity – How to Resist the Society of Compulsive Optimism”.
Questo comportamento ha radici nella psicologia positiva, fondata tra la fine degli anni '90 e l'inizio degli anni 2000 da Martin Seligman, allora presidente dell'American Psychological Association. Nel suo manifesto Positive Psychology: An Introduction, Seligman sosteneva di avere la missione di creare una scienza della felicità, che avrebbe indagato le chiavi del successo umano. Nel libro "Happycracy: Fabricating Happy Citizens" questa mentalità alimenta un mercato redditizio. La felicità è diventata una merce. Coaching, mindfulness, libri di auto-aiuto, psicoterapia positiva e app per smartphone sono solo alcuni esempi.
 
 
Etica Nicomachea
Anche in una parte della storia della filosofia, la tendenza è stata quella di credere che la vita dovrebbe essere buona e che la sofferenza dovrebbe essere evitata sopra ogni altra cosa, dal momento che figure come Aristotele formularono teorie della “buona vita” per ottenere il meglio, indicando la salute, la libertà e le finanze come prerequisiti per la vera felicità. Tuttavia l'esasperazione di questo fenomeno nel sentirsi chiedere di essere sempre positivi può anche portare a gravi problemi psicologici, come ansia o depressione, avverte Brinkmann
 
Capovolgere il copione sulla positività tossica, allora, ma come? abituandoci al valore delle parole che rappresentano i nostri pensieri, e dunque articolando la comunicazione in modi differenti puo' avere senso: "I tuoi sentimenti hanno un senso. Cosa posso fare per sostenerti? ed ancora "È normale sentirsi sopraffatti/stanchi/arrabbiati, ecc. Ascolta te stesso e i tuoi sentimenti. Conosci meglio te stesso." ed ancora  "So che le cose sono difficili per te in questo momento. Mi dispiace che tu stia attraversando questo”
 
 
 

Post a Comment

Nuova Vecchia