LE FOTO DI SUSAN MEISELAS A REGGIO EMILIA:
LA STORIA SOCIALE E QUELLA POLITICA. LA CONDIZIONE FEMMINILE
Si è aperta il 26 aprile, fino al 9 giugno, la storica rassegna “Fotografia Europea” di
Reggio Emilia, che dal 2006 propone, distribuite in molti spazi cittadini e anche della
provincia, rassegne tematiche di qualità su questo strumento espressivo, che è
molto cambiato nel corso del tempo, così come sta mutando profondamente il
contesto della comunicazione. Quest’anno il titolo è “La natura ama nascondersi”,
da un frammento di Eraclito, che vuol farci considerare il nostro rapporto con una
natura che a volte si cela, a volte si rivela in modo drammatico, a volte ci interroga e
ci sfida. Il fulcro della rassegna sono i Chiostri di San Pietro, grande spazio
recuperato che ospita diverse mostre, conferenze, le bancarelle dei libri. L’altro
spazio principale è Palazzo Magnani, che ci permette di scoprire una fotografa che
non è europea e che non si occupa principalmente della natura. E’ una fotoreporter
della mitica agenzia Magnum, che ci riporta alla dimensione della fotografia classica,
di documentazione, indagine sociale e politica; che, come il fondatore dell’agenzia
Robert Capa, ci mostra anche la violenza della guerra, rischiando la vita in luoghi di
grande pericolo. Si chiama Susan Meiselas, (Usa, 1948) e occupa l’intero palazzo con
la documentazione più completa del suo lavoro proposta in Italia. Le foto illustrano
cronologicamente alcuni dei suoi più importanti progetti, a partire da “44 Irving
Street”, realizzato quando ancora studiava fotografia: coinvolse i vicini della
pensione in cui viveva, chiedendo loro di scegliere, nel proprio appartamento, il
luogo e il modo di essere ritratti e di commentare poi su un foglio la propria
impressione dell’immagine, rendendola così più significativa. Poi il lavoro che la rese
famosa, “Carnival strippers”, in cui tra il 1972 e il 1975 seguì i cosiddetti carnevali in
alcune cittadine, che culminavano con l’esibizione di ragazze che si spogliavano
davanti a un pubblico eminentemente maschile. Il lavoro, integrato con interviste
alle ragazze e ai partecipanti, costituì un libro che fu lodato, anche se si disse che
offriva un’immagine deprimente della provincia americana. Anche la serie
successiva, “Prince Street Girls”, evidenzia l’interesse sociale e la particolare
attenzione alla condizione femminile della Meiselas, che ha cominciato a fare
amicizia e ritrarre ragazzine del quartiere dove viveva, Little Italy, seguendole negli
anni nella loro evoluzione fisica e di vita. Nel 1978 andò in Nicaragua, al tempo della
rivolta sandinista contro il dittatore Somoza, sempre con l’idea di non documentare
solo la guerra ma anche la condizione delle persone, ciò che ne determinava le
scelte. Dovette anche riflettere, da cittadina statunitense, sulle interferenze che il
suo governo compiva sulle popolazioni del Centro e Sud America, appoggiando per
scopi politici regimi dispotici. Le sue foto sono spesso divenute manifesti della
rivoluzione sandinista, a partire da quella del guerrigliero che lancia una bottiglia
molotov contro i militari, che è diventata un’icona mondiale. Il suo occhio
documentario passò poi a El Salvador, altro scenario di violenza, con un colpo di
stato di destra, l’uccisione, nel 1980, del vescovo Romero e la guerriglia
rivoluzionaria, a cui si contrapposero gli squadroni della morte finanziati e addestrati
dagli Stati Uniti. Le foto di Meiselas sono forti, drammatiche, a volte autentici pugni
nello stomaco, e forniscono una documentazione del farsi della storia in tempi in cui
ancora i fotografi potevano muoversi in autonomia sui territori in cui si svolgevano i
conflitti. Con una attenzione che, ancora una volta, non si limitava a rappresentare
la violenza ma anche la vita e la condizione della popolazione, che la distingue da
altri colleghi che, invece, si concentravano essenzialmente sui fatti della guerra. Il
lavoro della Meisalas ha continuato a svilupparsi tra la documentazione della
difficile situazione politica in America Latina (non solo le guerre ma anche il
referendum che nel 1988 portò alla caduta del regime di Pinochet in Cile), l’indagine
sociale, con un’attenzione particolare alla condizione femminile. Per quanto
riguarda le donne, si presenta un progetto, che poi è diventato un libro, intitolato
“Una stanza tutta per sé”, realizzata in un rifugio per donne nel Regno Unito,
documentando le storie delle ospiti e il loro desiderio, a partire da queste stanze
sicure, di costruirsi una nuova vita. Nel lavoro “Archivio degli abusi”, la Meiselas
affianca la polizia di San Francisco per documentare gli interventi nei casi di violenza
domestica. Anche in questo caso immagini forti, che mostrano donne uccise,
picchiate, abusate. Queste fotografie sono sconvolgenti, in un tempo in cui la
violenza contro le donne è al centro dell’attenzione. Ho visto una ragazza che,
davanti a queste immagini, piangeva. La parte di mostra al piano nobile termina,
come è iniziata, con un altro lavoro sociologico. Si intitola “Pandora’s box” ed è
realizzato in un club sadomaso di Manhattan. Qui si pratica una violenza controllata,
che diventa un gioco. Le donne assumono un ruolo dominante e, contrariamente
alle spogliarelliste fotografate negli anni ’70, hanno un completo controllo dei
maschi in un contesto di grande organizzazione, quasi asettico, con regole precise
che fissano anche i limiti, permettendo sempre una interruzione delle pratiche.
Anche in questo caso le immagini sono corredate da documenti scritti in cui i clienti
spiegano il loro interesse per questo tipo di pratiche. Tutto il contrario delle
immagini sconvolgenti che sono giunte, dieci anni dopo, da Abu Ghraib di corpi
umiliati, devastati al di fuori di ogni regola e legge. I fotografi lavorano sempre più
con gli archivi, non solo con le loro foto originali. Così, al piano terreno, troviamo un
lavoro molto importante svolto dalla Meiselas sul Kurdistan. Nel 1991, a seguito
della prima guerra del golfo, andò in Iraq, passando dal confine con l’Iran, seguendo
le tracce dello sterminio della popolazione curda da parte degli uomini di Saddam
Hussein. La fotografa ha iniziato a recuperare immagini scattate dagli abitanti: foto
dei loro documenti, delle feste e cerimonie, della vita quotidiana, unendole alle sue
che documentano la violenza subita, le fosse comuni, costituendo un grande
archivio per conservare la memoria di questo popolo, distribuito tra Iraq, Iran,
Turchia, Siria, ex Unione Sovietica: il più grande popolo senza uno stato, sottoposto
ad un tentativo di genocidio da parte di Saddam Hussein e anche oggi, dopo aver
contribuito alla sconfitta dell’Isis, sotto le bombe della Turchia di Erdogan. Il suo
lavoro è anche confluito in un libro: “Kurdistan, in the shadow of history”. Nelle
mostre in cui presenta questo progetto, Meiselas realizza workshops con persone
curde, per raccogliere immagini, informazioni, storie della diaspora, così conferendo
al suo lavoro un respiro più vasto, che va oltre la semplice realizzazione di proprie
fotografie e contribuisce al dibattito quanto mai attuale sulla natura delle immagini,
sul loro uso e anche su come conferire loro uno spessore politico e sociale. In tempi
in cui una diffusione senza precedenti rischia di renderle irrilevanti.
Sauro Sassi
SUSAN MEISELAS - MEDIATIONS
REGGIO EMILIA – PALAZZO MAGNANI – CORSO GARIBALDI 31
FINO AL 9 GIUGNO 2024
ORARI: MER-GIO: 10/13 – 15/19
VE/SA/DO E FESTIVI: 10/20
IL BIGLIETTO E’ COMPRENSIVO DI TUTTE LE MOSTRE DELLA RASSEGNA
FOTOGRAFIA EUROPEA, 21 IN 9 SEDI, DI CUI LA PRINCIPALE SONO I CHIOSTRI DI
SAN PIETRO, E COSTA 18 EURO, RIDOTTO A 15 PER OVER 65, PERSONE DISABILI,
ARCI, COOP ALLEANZA 3.0, CARD CULTURA BOLOGNA. 13 EURO STUDENTI DA 11 A
26 ANNI.
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