BERLINDA DE BRUYCKERE A VENEZIA: ARCANGELI UMANI E CITTA' DEL RIFUGIO
In questo periodo storico l’arte ha perso ogni connotazione estetica. Nessuno
crede più all’affermazione del principe Miskin in “L’Idiota” di Dostoevskij
(peraltro più dubitativa e più complessa) che la bellezza salverà il mondo. In
particolare, ci sono artisti che riprendono in vari modi la figurazione, su una
linea che si riallaccia alla produzione di un Bacon, di Lucien Freud, caricando
la rappresentazione di un contenuto fortemente drammatico, usando gli
strumenti tradizionali di pittura e scultura per suggerire l’idea di un peso
opprimente, fisico e psichico. Penso alla britannica Jenny Saville, all’olandese
Marlene Dumas, alla belga Berlinda di Bruyckere. E magari questa
prevalenza femminile dovrebbe far riflettere: forse le donne sentono più
fortemente questa fase nichilistica, proprio perché sembra una guerra contro
la vita, che loro generano, in nome di quello che, diceva Pasolini, è uno
sviluppo senza progresso, all’inseguimento di un consumismo insensato e
suicida. La de Bruyckere (1964) è una scultrice che ha partecipato per la
prima volta alla Biennale Arte nel 1999, La sua produzione, sempre più
monumentale, si fonda sulla rappresentazione di corpi sofferenti, animali e
vegetali. Prevale un senso di morte anche se, in qualche modo, l’artista
sembra a volte indicare una speranza: laica, come nella “Ginestra”
leopardiana, che invoca la solidarietà “dell’umana compagnia” di fronte alla
nemica natura; o religiosa, come in una delle opere attualmente esposte nella
mostra all’Abbazia di San Giorgio Maggiore a Venezia. I monaci benedettini,
che abitano questo splendido luogo palladiano, da anni hanno costituito la
Benedicti Claustra Onlus, con lo scopo di ospitare nella chiesa e negli spazi
conventuali mostre di artisti contemporanei che si interroghino sulla
spiritualità e cerchino, nella loro autonomia, relazione tra divino e umano.
Sono venuti, negli anni passati, artisti importanti come Ai Weiwei,
Michelangelo Pistoletto, Anish Kapoor, Jaume Plensa. Bisogna avere grandi
qualità ed anche umiltà ed empatia per confrontarsi con gli spazi di Palladio e
i capolavori di Tintoretto e di altri grandi pittori e in effetti, a volte, i risultati
sono un po’ dubbi. Non è il caso della de Bruyckere, che coglie il desiderio
profondo dei monaci di offrire questi spazi stupendi per una profonda
riflessione sulla condizione umana, il bisogno di reciproco aiuto, di solidarietà,
alla ricerca di un equilibrio in questo universo dissociato. Il titolo della
complessa esposizione, che si articola con lavori differenti nei diversi spazi, è
“City of Refuge III” e deriva da una canzone di Nick Cave. E’ la terza di una
serie in cui, come nel testo di Cave, si invoca un luogo protettivo, un rifugio in
un mondo violento e ingiusto. Così nella chiesa sono dislocate grandi statue
che si chiamano “Arcangeli”. Sono figure complesse, fatte di metallo, resina,
peli animali, cera, silicone. Poggiano su un alto piedistallo irregolare e hanno
davanti uno specchio inclinato che ne replica l’immagine. Hanno il volto
coperto, appaiono precari, né trionfanti né combattenti, come in molta sacra
iconografia. Né ribelli, come nelle opere di Kiefer. Sono umani, sofferenti.
Sembrano invitare a unirsi, in una sorta di processione dietro un grande
stendardo che non ha segni di riconoscimento e che quindi può
rappresentare l’intera umanità. L’artista ha detto che l’idea degli arcangeli le è
venuta pensando agli infermieri che soccorrevano le persone al tempo del
Covid e dall’immagine di un quadro di Giorgione, “Cristo morto sorretto da un
angelo”: in primo piano il corpo esangue e, dietro di lui, l’angelo che lo copre
con le braccia. Nella sacrestia la de Bruyckere ha inserito tronchi d’albero fusi
in cera su vecchi tavoli per saldatura. L’opera suggerisce un’idea di morte
della natura, un paesaggio desolato. La speranza è nel quadro in fondo, la
“Presentazione di Gesù al Tempio” del Salviati, che suggerisce l’idea della
resurrezione e quindi della rivincita della vita. Proseguendo il percorso si
giunge davanti al bellissimo coro, di intagliatore fiammingo. Sul grande leggio
l’artista ha posto un libro le cui pagine sono state cucite con sottili fili dorati,
negandone la funzionalità, racchiudendone il mistero. Nel corridoio delle
gallerie del monastero la De Bruyckere ha realizzato una serie di vetrine
murali con sculture che si riferiscono agli intagli del coro sulla narrazione di
un episodio della vita di San Benedetto, narrata da Gregorio Magno: di come
il santo si rotolò a lungo in un roveto irto di spine per vincere la tentazione
carnale. Le vetrine contengono rami, pelli scorticate, parti del corpo ferite,
fuse in cera: riferimento al dolore fisico che impregna l’umanità (e non si può
non pensare a Gaza). Un’altra sala contiene calchi di pelli di animali
accatastate, ricordo dell’esperienza sconvolgente della visita a un mattatoio
in Belgio. A parete, un gruppo di collage rossi della serie “It almost seemed a
lily”, ispirate alle metamorfosi di Ovidio, libro fondativo, per la de Bruyckere,
nella narrazione dei passaggi da vita a morte, da umano a animale, vegetale,
minerale. Apollo si innamorò di Giacinto ma un giorno, mentre giocavano al
lancio del disco, il bellissimo giovane fu colpito al capo e morì e Apollo lo
trasformò in fiore, rosso come il suo sangue. Nell’ultima sala un arcangelo,
disteso su un grande piedistallo che potrebbe essere una bara. E’ morto lui
oppure vuole ancora proteggere un essere umano chiuso nella bara?
SAURO SASSI
BERLINDE DE BRUYCKERE – CITY OF REFUGE III
EVENTO COLLATERALE 60° BIENNALE ARTE VENEZIA
FINO AL 24/11/2024
VENEZIA ABBAZIA DI SAN GIORGIO MAGGIORE ISOLA DI SAN GIORGIO
MARTEDI’ DOMENICA 10 - 18ENTRATA GRATUITA.
VAPORETTO LINEA 2 DA STAZIONE CENTRALE O DA SAN MARCO/SAN ZACCARIA
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