AI WEIWEI A BOLOGNA: ARTE, SOCIALE, INTELLIGENZA ARTIFICIALE, DISTRUZIONI

 AI WEIWEI A BOLOGNA: 

ARTE, SOCIALE,INTELLIGENZA ARTIFICIALE, DISTRUZIONI




Venti settembre 2024: si inaugura a Bologna, a Palazzo Fava, la mostra

dell’artista cinese Ai Weiwei, intitolata “Who am I?”. Entrando attraverso il bar

collegato alla biglietteria un signore, di origine ceca, butta per terra,

distruggendola, un’opera intitolata “Porcelain Cube”, valutata 280.000 euro. Il

signore è un artista, ha fatto delle mostre in Toscana, ma ha scarso

riconoscimento. Si considera un genio incompreso e già in passato si era

distinto per azioni come rompere un quadro sulla testa di Marina Abramovic,

imbrattare con vernice un’opera di Francesco Vezzoli, arrampicarsi nudo su

statue, porre ai visitatori di mostre l’interrogativo pressante: “Geni si nasce o

si diventa?”. Ha anche estimatori: critici, come lui sconosciuti, che lo

sostengono, dicendo che il suo operare è un “grido disperato del capitalismo

nel sistema dell’arte” (???). Diciamo una mente disturbata, ossessionata dal

fatto che altri, che lui ritiene al di sotto del suo valore, si affermino, mentre

non si riconosca il suo essere artista. E’ anche un segno di tempi dominati

dall’idea del successo, ma forse, ancor più, dell’apparire: perché se non ti si

riconosce non esisti. Si potrebbe rispolverare la frase attribuita a Andy

Warhol sul quarto d’ora di celebrità che ognuno avrà. Comunque, l’azione del

(mancato) artista può far pensare a una sorta di eterogenesi dei fini: salendo

al piano nobile incontriamo, nella sala con gli affreschi su Giasone e Medea

dei giovani Carracci, un’opera costituita da un grande tappeto di frammenti di

manufatti in porcellana, distrutti dalle autorità cinesi, insieme al suo studio di

Shangai, nel 2011; e, poco dopo, la famosa documentazione, con tre grandi

foto, dell’azione che Ai Weiwei compì lasciando cadere, e quindi

distruggendo, un vaso Han antico di duemila anni. Chissà che queste opere

non abbiano ispirato il distruttore della sua e chissà se Ai Weiwei, che su

frammenti e macerie ha realizzato diversi lavori, non userà quelli del

“Porcelain Cube” per realizzarne uno nuovo. Comunque non si può negare

che l’atto abbia avuto molta eco anche in campo internazionale e quindi abbia

fornito una forte spinta pubblicitaria a una mostra con la quale i gestori del

Palazzo (Fondazione Carisbo) intendono rilanciarne la funzione di polo

dell’arte, rifacendosi anche all’esperienza del fiorentino Palazzo Strozzi, che

peraltro, anni fa, aveva già ospitato una esposizione dell’artista cinese. Anzi,

ci si è rivolti proprio ad Arturo Galansino, storico dell’arte che dirige il palazzo

fiorentino, per la cura della presente mostra. Dunque, chi è Ai Weiwei? In

attesa della risposta dell’IA che, vedremo, non pervenuta, si può dire sia uno

degli artisti più celebri e, come si dice, influenti a livello mondiale. Appartiene

alla sempre più vasta categoria di quelli a cui, accanto alla denominazione di

artista, si affianca quella di attivista (mentre quella di dissidente risulta un po’

demodé). In effetti lui ha avuto grossi problemi con le autorità cinesi, che

hanno portato dal 1993, in cui rientrò in Cina dopo undici anni negli USA (e

nonostante la sua attività, dal 2002, di consulente artistico degli architetti

svizzeri Herzog & de Meuron per la progettazione dello stadio olimpico di

Pechino, il famoso “Nido d’uccello”) a uno stato di opprimente sorveglianza,

alla censura dei suoi siti social, violenze fisiche che lo hanno costretto a un

intervento chirurgico urgente, distruzione del suo studio e, infine, arresto e

detenzione in luogo segreto per ottantun giorni (da lui documentata in

intriganti diorami). Gli si imputavano le sue battaglie per la libertà, il sostegno

al dissidente Liu Xiaobo (che ricevette in carcere il Nobel per la Pace), la

denuncia delle responsabilità pubbliche per le vittime del terremoto del 2008

nella regione del Sichuan, in particolare per i 5000 studenti morti in scuole

costruite con materiali scadenti. Nel 2015 gli fu reso il passaporto e lui poté

lasciare la Cina, prima verso la Germania (che ha anche rappresentato nella

biennale di Venezia del 2013) e ora, con uno studio, anche in Portogallo.

Come attivista Ai Weiwei sostiene soprattutto i diritti dei migranti, attirando

l’attenzione sulla loro condizione, sulle pratiche disumane a cui sono spesso

sottoposti: a Palazzo Strozzi rivestì le finestre esterne dell’edificio

rinascimentale con una serie di ventidue grandi gommoni di salvataggio (cosa

che, ovviamente, suscitò polemiche tra i benpensanti); alla Biennale Cinema

del 2017 presentò il film “Human Flow”, in cui documentava, da tutto il

mondo, la condizione tragica di rifugiati e richiedenti asilo (e vorrei che si

rivedessero le scene girate a Gaza per capire cosa voleva dire, allora, vivere

in quella prigione e pensare a cosa voglia dire oggi). Il suo approdo a Palazzo

Fava a Bologna rappresenta il nuovo corso espositivo di questo antico

edificio, nobilitato dalla splendida sequenza di affreschi dei giovani Carracci

sulle storie di Giasone e Medea, con mostre d’arte di respiro internazionale.

Ai Weiwei ha voluto intitolare la mostra “Who Am I?”, domanda che egli ha

rivolto a un apparato di intelligenza artificiale e che è consona a un artista

complesso, che ha posto in modo preminente sé stesso, il proprio corpo, al

centro del suo operare, che include anche film, regie teatrali e d’opera

(notevole un allestimento di “Turandot” al Teatro dell’Opera di Roma di cui ha

curato regia, scene, costumi, video), testi letterari, poesie, interventi politici.

Col curatore Arturo Galansino, profondo conoscitore del suo lavoro, ha

allestito personalmente la mostra, a partire dal piano terreno, che ospita la

biglietteria e il bookshop, le cui pareti sono rivestite di pannelli con una

decorazione che appare allegra, molto colorata; a guardar meglio, però, si

tratta di disegni di telecamere di sorveglianza, quelle che ormai controllano le

nostre vite e che hanno controllato in particolare la sua quando era in Cina,

segregato nel suo studio. Fin dal corridoio di accesso alla biglietteria

troviamo, sospese in aria, creature fantastiche di seta e bambù ispirate

all’antico testo “Shanhaijing” (Il classico delle montagne e dei mari), che

occupano tutti gli spazi di passaggio. Inizia così il viaggio tra antico e

moderno, tra cultura cinese e quella occidentale, che Ai Weiwei conosce

molto bene, avendo vissuto undici anni negli Stati Uniti. Dal piano terreno,

dove si trovava anche l’opera distrutta, si prosegue al piano nobile e al

secondo piano del palazzo. Molto utilizzati i Lego, con cui Ai Weiwei aveva

iniziato a comporre immagini di importanti dissidenti e che qui impiega in un

confronto con la storia dell’arte occidentale. Sicuramente questa pratica

richiama le serigrafie di Andy Warhol e inizia con un omaggio a Giorgio

Morandi, molto amato in Cina, con la piccola riproduzione di una natura morta

che, nel corridoio di accesso, quasi sfugge all’attenzione. La prima sala

ospita quattro grandi composizioni dell’arte antica italiana: “Atalanta e

Ippomene” di Guido Reni; “Venere Dormiente” di Giorgione; “L’estasi di Santa

Cecilia” di Raffaello (l’originale alla Pinacoteca di Bologna) e, tema con cui si

era confrontato anche Andy Warhol, “L’Ultima Cena” di Leonardo. Bisogna

osservare con attenzione questi lavori per trovare (diventa quasi un gioco) le

varianti che Ai Weiwei ha introdotto rispetto agli originali (oggetti, frutta…),

che possono richiamare, tornando a Leonardo, l’intervento dell’altro suo faro

di riferimento artistico, Marcel Duchamp, che disegnò i baffi alla Gioconda.

L’artista cinese inserisce la sua immagine nell’opera, al posto di quella di

Giuda (anche lui traditore?). Il viaggio prosegue nelle sale successive con

altri Lego, dedicati anche a protagonisti dell’arte moderna come Mondrian,

Pollock, Balthus; e opere preziose, in vetro e ceramica, in cui ha utilizzato

grandi sapienze artigianali (ricordo che ormai l’artista contemporaneo non

compone l’opera ma la pensa e la affida a persone qualificate per la

realizzazione). Una sala è riservata alla documentazione, attraverso tre foto,

della distruzione del vaso Han, antico di duemila anni (a ricordare le

moltissime opere cancellate durante la rivoluzione culturale), mentre su un

altro è stato dipinto il logo della Coca Cola (altro omaggio a Warhol e critica

del consumismo). Un’altra sala ospita una grande installazione di biciclette

private di pedali e impilate. Ai Weiwei ne ha realizzate diverse, pensando a

quello che era l’unico mezzo di locomozione nella Cina maoista e, ancora, a

Duchamp. Queste a Palazzo Fava sono dorate e dialogano in modo

affascinante con la bellezza degli affreschi. Se il piano nobile è caratterizzato

da una certa leggerezza e risulta esteticamente accattivante, il secondo

contiene lavori di maggior impatto politico sociale. Ci sono le grandi foto,

intitolate “Study of Perspective”, in cui Ai Weiwei si riprende mentre alza il

dito medio, in primo piano, davanti a simboli del potere politico o culturale

come il Reichstag, il Colosseo o la torre Eiffel. Queste azioni rispondono al

coté provocatorio dell’artista, allergico a ogni forma di potere. La sala è

tappezzata di disegni che rappresentano immagini di guerra, violenza,

profughi, barriere di filo spinato, guardie armate ai confini. Anche i dipinti in

blu sui vasi in porcellana contraddicono l’apparente bellezza con immagini di

dolore, di un’umanità calpestata. Il viaggio dell’artista termina con la

rappresentazione di questo flusso di esseri umani, che Ai Weiwei aveva già

documentato nel suo film del 2017. Resta il quesito che ha posto

all’intelligenza artificiale: “Chi sono io?”. La risposta è che non c’è risposta

perché nessuna intelligenza, tanto meno artificiale, può penetrare la

soggettività umana. Possiamo forse rispondere noi. Per approssimazione, per

semplificazione, per sensibilità. Potremmo dire che Ai Weiwei è un artista che

si interroga e ci interroga sul tempo così terribile in cui ci è dato vivere e sulla

possibilità dell’arte di essere strumento di lotta e consolazione.

SAURO SASSI


AI WEIWEI – WHO AM I?

BOLOGNA PALAZZO FAVA

FINO AL 4 MAGGIO 2025

DA MARTEDI’ A DOMENICA ORE 10.00 – 19.00

BIGLIETTO INTERO EUR 14.00

RIDOTTO EUR 10.00 (75 ANNI COMPIUTI, TESSERA FAI,

ABBONAMENTO ANNUALE TPER, CARD CULTURA, STUDENTI

UNIVERSITARI FINO A 26 ANNI) GIOVANI DA 6 A 18 ANNI,

GRATUITO BAMBINI FINO A 5 ANNI




Post a Comment

أحدث أقدم