FOTOGRAFIA ETICA IN UN MONDO SEMPRE PIU’ DISTOPICO A LODI

 

FOTOGRAFIA ETICA IN UN MONDO SEMPRE PIU’ DISTOPICO A LODI



Può la fotografia essere etica? A valle ci sono i diversi modi in cui, oggi, si

declina il suo linguaggio. C’è una fotografia che si confronta direttamente con

le arti visive, che appare nelle grandi mostre internazionali: penso, ad

esempio, a Gregory Crewdson, Jeff Wall. Per questa sarebbe difficile

richiedere contenuti morali o, peggio, moralistici. Nella sua natura originaria,

però, essa si poneva lo scopo di rappresentare la realtà, virando presto da un

atteggiamento puramente oggettivo a uno soggettivo, diventando racconto,

indagine sociologica e, infine, reportage. Il quale, necessariamente, implica

anche un elemento etico, sia che si documenti una guerra che le svariate

vicende della vita attuale. Così a Lodi, nel 2010, su iniziativa del gruppo

Progetto Immagine, è nato il Festival della Fotografia Etica, dove le immagini

ci interrogano su temi a cui non possiamo accostarci con distaccata

indifferenza perché riguardano il nostro presente e il nostro futuro come

genere umano. La rassegna è cresciuta e quella attuale occupa undici spazi

espositivi, compresi antichi palazzi, chiese, giardini; che si possono tutti

raggiungere a piedi, con passeggiate che permettono anche di scoprire una

città estremamente piacevole, ricca di arte e storia. Inoltre c’è anche una

sezione off, che investe palazzi, musei, luoghi di incontro, ristoranti, bar,

negozi. Il tutto integrato da visite guidate, workshop, letture di portfolio,

presentazioni di libri, progetti per studenti. Il fulcro della manifestazione è il

settecentesco Palazzo Barni, che ospita, nelle sue sale affrescate, i vincitori

del concorso “World Report Award: Documenting Humanity”. Suddiviso in

varie sezioni, chiede a fotografi professionisti, e anche amatori, lavori che

documentino aspetti del presente. Il premio principale, Master Award, è stato

assegnato a Giles Clarke con un impressionante reportage da Haiti dove, dal

2021, l’autorità statale non esiste più, sostituita di fatto da oltre ottanta bande

criminali che si sono impadronite del paese, a partire dalla capitale Port au

Prince. Il paese è in una situazione disastrosa, accresciuta dagli effetti di un

devastante terremoto del 2010. La menzione speciale è andata a Biorn

Nolting, che si occupa degli effetti del caos climatico in un paese

teoricamente all’avanguardia come la Germania, dove la crisi economica,

dovuta anche alla guerra in Ucraina e alla fine del rapporto con la Russia per

l’approvvigionamento energetico, mette in crisi i progetti di transizione verso

la neutralità climatica e scatena tensioni politiche e sociali. Il premio Spotlight

Award è andato alla polacca Kasia Strek, che ha indagato su come la

criminalizzazione dell’aborto in vari paesi del mondo, a partire dal suo, causi

gravissime conseguenze sulle donne. Il premio Short Story Award è andato a

Francesco Comello che ci porta in un viaggio nella Russia profonda, in un

villaggio della regione di Arkahngelsk, che lui frequenta dal 2008. In questo

caso è interessante vedere come il tempo scorra in modo molto diverso.

Mentre noi siamo sopraffatti dalla velocità dei cambiamenti e siamo sempre

all’inseguimento di qualcosa che non riusciamo pienamente a raggiungere, lì

tutto sembra essersi fermato a un’era arcaica, e i modi della vita, il lavoro, i

rapporti sociali appaiono immutabili. La menzione speciale di questa sezione

va a Laetitia Vançon che documenta di come la guerra abbia mutato la vita

dei ragazzi ucraini, mentre Camilla Richetti ha vinto la sezione Student Award

con un reportage su una popolazione del Congo, i Bayaka, che, a causa della

deforestazione e delle attività industriali, vedono messa in pericolo la

sopravvivenza loro e delle loro tradizioni. Questo per dire la varietà di temi

che vengono affrontati, senza trascurare la sola mostra con taglio storico,

dedicata a Vittorio Sella (1859-1943), maestro della fotografia in alta

montagna. Non solo montagna alta ma anche “altra”, senza orde di turisti,

strumenti tecnologici, social. Da Palazzo Barni si può raggiungere in pochi

minuti la Fondazione Banca Popolare di Lodi, un bel complesso vicino alla

stazione, progettato da Renzo Piano, che ospita, nella sala Bipielle Arte, la

mostra più importante di foto reportage a livello globale, World Press Photo:

oltre 140 immagini, ovviamente da tutto il mondo, con particolare attenzione

ai conflitti: Palestina, Ucraina, Etiopia; i disastri del caos climatico: Brasile,

con un ramo del Rio delle Amazzoni completamente seccato, isole Fiji, con

l’innalzamento delle acque che sommerge il territorio; catastrofi naturali come

il terremoto in Turchia; distruzioni ambientali con gli incendi in Australia e

Canada e i danni dallo sfruttamento di petrolio e carbone in Venezuela e

Germania; povertà assoluta in Afghanistan; il tentativo di salvare

dall’estinzione le splendide farfalle migranti Monarca; storie personali, come

la documentazione di un uomo caduto nella demenza in Giappone o la

creazione di una fittizia agenzia spaziale gay, avendo riscontrato l’esclusione

delle persone LGBTQI+ dal programma spaziale della Nasa. La foto dell’anno

è del palestinese Mohammed Salem e rappresenta una donna di Gaza che

abbraccia il corpo della nipote, uccisa assieme alla sua famiglia da una

bomba israeliana (e la forza di questa immagine dà consapevolezza

dell’orrore per quanto sta accadendo in quella terra). Una breve passeggiata

può poi condurre ai Giardini di Viale IV novembre, che ospitano i pannelli

della fotografa americana Robin Schwartz, che documentano un centro, in

Minnesota, chiamato Save a Fox, che ospita volpi che, fortunatamente per

loro, sono state escluse dalla mattanza per ricavare la pelle a causa di difetti

fisici. Il rifugio ospita anche altri animali selvatici che forniscono un esempio di

pacifica convivenza tra loro e con gli umani che li accudiscono. Si può poi

raggiungere lo spazio Banca Centropadana, dove si visita l’ultima sezione di

opere del concorso World Report Award (le altre a Palazzo Barni), dedicata

agli scatti singoli particolarmente significativi. Premiato Patryk Jaracz con una

immagine di bambine ucraine che imparano ad andare in bicicletta sullo

sfondo del fumo di un deposito in fiamme. Vengono presentate anche le altre

29 foto finaliste, tra le quali una misteriosa parrucchiera afgana, una enorme

morìa di pesci in Amazzonia, una mucca che, in una regione arida della

Turchia, non riesce a uscire da una crepa del terreno e altri effetti del caos

climatico, i migranti e chi cerca di aiutarli, la morte nei territori palestinesi

occupati e in altre guerre. Si passa poi a Palazzo Modignani, che ospita la

sezione Le Vite Degli Altri. Qui incontriamo quattro storie: Markus Nolte

documenta la ricerca e restituzione delle spoglie di contadini peruviani rimasti

intrappolati negli anni tra 1980 e 2000 nella guerra tra il governo e i

guerriglieri maoisti di Sendero Luminoso; Terra Fondriest descrive la vita in

un piccolo sperduto paese dell’Arkansas, in una sospensione temporale che

richiama un po’ Il lavoro sull’ancor più sperduto villaggio russo visto a

Palazzo Barni; Andrea Agostini ci conduce in Mozambico, un paese

fortemente colpito dal caos climatico, mostrandoci il rapporto spirituale con

l’acqua che rappresenta per la popolazione elemento di vita e di morte;

Eszter Halazi racconta la storia degli Ultimi Nomadi in Gran Bretagna. Non

solo Rom ma anche altre comunità, compresi i cosiddetti ”Cultural Travellers”:

circensi, animatori di fiere ed eventi popolari, abitatori di barche che navigano

per lavoro, persone influenzate dai movimenti controculturali degli anni ’60 e

‘70. Avversati da tutti i governi britannici, cercano di preservare il loro stile di

vita e la loro dignità. Si passa poi al Chiostro dell’Ospedale Vecchio, che

ospita lo spazio che descrive le attività di alcune ONG, in Africa, Argentina, in

Italia, dove, nel milanese, c’è una pizzeria (“Pizzaut”) in cui è data a ragazzi

autistici la possibilità di lavorare contribuendo al loro inserimento sociale. Si

passa alle ultime tre mostre ufficiali, tutte sulla centrale via Fanfulla. Alla

Cavallerizza, dove l’organizzazione no profit “Vital Impact” ci restituisce un

po’ di speranza con immagini del mondo naturale. Ispirandosi al lavoro

dell’antropologa ed etologa Jane Goodall, che ha studiato in particolare i

grandi scimpanzé, allargando la sua attività al sostegno della tutela

dell’ambiente naturale. Ammiriamo, attraverso il lavoro di numerosi fotografi,

animali e paesaggi che resistono ai disastri provocati dagli umani opponendo

la propria grazia naturale. Passando al Palazzo della Provincia, si torna a

precipitare nella tragedia, la più grande tragedia del presente, quella che

peserà come una vergogna perenne su Israele e su tutto il mondo, a partire

da quello occidentale: il genocidio a Gaza. Attraverso le immagini e le parole

dei fotogiornalisti palestinesi, uccisi a centinaia ma che continuano a

raccontare e documentare, si dispiega questa tragedia di morte, corpi

straziati, distruzione. Si esce col cuore pesante per immergersi nell’ultimo

spazio, l’ex Chiesa dell’Angelo, dove scorrono, sulle pareti e su uno schermo,

foto delle precedenti quindici edizioni del festival. Nelle vicinanze, consiglierei

la visita di uno dei tanti spazi off, il Museo della Stampa, al n. 4 di via della

Costa. A parte le numerose mostre, è di per sé un luogo affascinante.

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