Toccata e fuga di José Lezama Lima (completo)

 José Lezama Lima poeta adolescente
Inicio y escape (1927 – 1932)

José Lezama Lima

Inicio y escape (1927) sono le liriche di un poeta adolescente, che José Lezama Lima (L’Avana, 1910 - 1976) non ha mai pubblicato in vita, ma che il ricercatore Emilio De Armas, curando l’edizione completa delle opere del poeta, ha reperito e incluso nel corpus integrale. Inicio y escape si trova soltanto nell’edizione definitiva (Editoriale Letras Cubanas, 1985), pubblicata dieci anni dopo la morte del poeta, preceduta da una prefazione firmata De Armas e da un armamentario di note a margine che servono a spiegare la genesi dei testi.

“La copiosa collezione di carte lasciata da Lima basta a soddisfare ogni appetito dei ricercatori”, dice De Armas. Sono stati ritrovati i manoscritti originali di Paradiso e di Oppiano Licario (incompiuto), le poesie di Fragmentos a su Imán, copiati su un quadernetto lungo e stretto, le minute dei saggi, appunti sorprendenti, molte lettere ricevute da grandi intellettuali del Novecento. Tra queste carte troviamo la storia della letteratura cubana del Novecento e straordinari inediti firmati José Lezama Lima - a volte José Andrés Lima, come amava fare -, soprattutto ci sono poesie mai lette e pubblicate. Le liriche di un Lima adolescente sono importanti per capire la formazione intellettuale di un grande scrittore e sono state ritrovate in un quadernetto con la copertina di colore rosso scuro. Nella prima pagina appare la data 1927, mentre nell’ultima cartella notiamo l’anno 1932. Tutto il lavoro compiuto da Lima da 17 a 22 anni sta in un gruppo di acerbe carte - intitolato Compositions - che contengono in nuce elementi di futura grandezza. I testi più interessanti sono 21 poesie trascritte sotto il titolo Inicio y escape, oltre a minute, tentativi di prosa, frammenti di poesie e di racconti meno interessanti. Inicio y escape ci avvicina all’adolescenza del poeta, che non volle mai pubblicare i testi, dal momento che aveva un critico dentro di sé - come amava dire - che metteva da parte le cose meno riuscite. Sono testi classici, meno originali e complessi di quel che il poeta sarà capace di comporre in età matura, influenzati da Garcia Lorca e dagli studi classici, ebbri di intimismo, avanguardismo e di poesia pura. Hanno il pregio della comprensibilità e dell’immediatezza, arrivano a ogni lettore, cosa che Lima perderà nelle sue opere più celebrate. Molti lavori di Lima non sarebbero conosciuti se Emilio De Armas non avesse avuto libero accesso ai cassetti dello scritto. Per questo dobbiamo soltanto essergli grati, perché a nostro giudizio certe liriche di Fragmentos a su Imán e di Poemas no publicados en libros sono tra le cose migliori che Lima ci ha lasciato. Vediamo alcune liriche adolescenziali, tratte da Inicio y escape.

(Gordiano Lupi

Quando se ne va,

io la guardo.

Quando viene

allora scompare.

 

Juan Ramón Jiménez


La stella

 

I

 

La stella

si sta bagnando nel fiume, punta dopo punta,

si uniscono le sue punte, si fondono i suoi ori.

 

Nel suo ondeggiare

l’ombra che si scioglie nella spugna sottomarina,

possiede un raccolto clamore.

 

Acqua e autunno,

chiarore inutile che macchia il cielo;

la supplica dell’acqua, l’albero senza virgulto.

 

La trasparenza

affrettata della brezza nascosta - oro di tre lune -

scivola via su fedeli finestre.

 

La foglia

fugge via nel fazzoletto del vento;

nel fastidio del sole sbadiglia una foglia.

 

Stella, acqua, autunno e foglia;

meditazione,

unzione serena.

 

II

 

Braccio a braccio, amore e clamore

non hai visto mai, Signore.

 

La traiettoria del silenzio

è compiuta; aumento di silenzio,

(gran clamore di realtà).

Il vento raccolse il pulviscolo

e si perse il clamore

l’anima si gonfiò di silenzio

e si fuse nell’Anima.

Mistero della negritudine?

Spavento del silenzio.

 

Lo sperone si fissò nella brezza,

gonfia di aromi freschi;

e la brezza fu più lenta,

furto d’ansie, tra gemiti e pianto.

 

Braccio a braccio, amore e clamore

non hai visto mai, Signore.

 

1927

 

 

 

Rotta incerta

 

Sprofondato nella sera che mi guida;

abbandonato alle voci ebbre

di grazia. Mi feci più sottile,

perdendomi nel vento lieve;

che mi portò lontano, lontano.

 

Cancellate le prospettive praticabili,

fuggite nell’ansia irrefrenabile;

immateriali ansie, dimentiche

dei richiami della terra.

 

Continuai la mia rotta, inalterabile,

madide le pupille di sole,

di astri, di stelle.

 

Ubriaco, albeggiai, di stelle;

tendevo la mano insicuro,

lungo percorsi inesplorati.

Voci amiche indagavano la rotta.

Lontano, lontano…

 

1927

 

 

  

La tua voce

 

Allegria dei silenzi penetranti,

che consacrano l’anima di domande inquietanti!

 

La voce divenne impenetrabili pieghe,

fosca al guscio dell’anima;

 

che si diffuse setosa,

nel guscio gigante della notte.

Tornò rapida verso il centro,

quasi invisibile punto;

evocando le divine

domande del povero.

Chiaro, chiaro, come frammento del giorno,

fissato in una pupilla desta,

il silenzio fatto catena,

s’incatenò con l’infinito aperto.

 

Allegria dei silenzi penetranti,

che consacrano l’anima di domande inquietanti!

 

1927

 

 

 

Io già  lo sapevo

 

Come un’ala perduta

- era la notte intensa da mille voci ferita -

apparisti (io già lo sapevo che una notte

si sarebbe rotta l’ala sulla fronte ferita).

 

Nella mattina

- identico risplendere in oro teso -,

la tua chioma era puro mattino,

nel profondo tremore delle luci.

Esiste specchio che copi la chioma

tinta d’oro splendente, raggio del mattino?

 

M’immersi in te,

avvolto nel cerchio

del tuo oro duttile

- oro e bracciale -. Tutto

era oro nel puro mattino.

 

Io già lo sapevo che una notte

si sarebbe rotta l’ala sulla fronte ferita.

 

1928

 

 

 

Al silenzio dell’acqua

 

Canzoni dell’acqua salata,

inerpicata; sopra la roccia allungata.

Acqua fredda, silenziosa.

 

Taciturna si va stiracchiando

(un filo di tre colori

si vede nell’aria specchiando).

 

Acqua dal volto di luna

malata e tiepida. Scorreva cancellando

le lettere dalla rena.

 

Impadronirsi del filo dei tuoi colori

dei solchi dell’acqua.
Luce tesa l’acqua

nel filo; si sta asciugando

 

al Sole. In questo l’acqua

è molto simile al fazzoletto

e alla calza di qualche piccoletto.

 

Canto dell’acqua condotta

a morire. (Uno si sente come

acqua appesa al filo

di tre colori per morire).

 

Acqua che solo sa morire.

Discrezione, chiarezza.

 

Morte del galoppo.

Acqua che solo perfora se stessa.

È il grido che cade

spezzato da un fischio?

 

Non è la piega dell’astrazione

acqua del silenzio

dal solco d’un filo biondo?

 

Acqua;

filo di tre colori:

discrezione, chiarezza, astrazione. (1928)

 

 

 

Chiedo semplicità

 

Si esaspera il galoppo folle,

del vento trasfigurato, tutto immerso in te?

 

La caravella. Tutte le vele aggredite

da schiuma. Naufragai, diretto al sole,

un poco di sole e un mucchio di terra, con le mie ansie sfuggite.

Sul fiume dipinto di colori opachi

- occhio color oltremare - vola e ruota

una pioggia di cenere soggettiva, tutta rubata

all’ultimo inganno intimo, fuga d’intimità.

Non vedi nell’oro brunito, pescatore di colori,

ponti di salvezza, balzo dopo balzo il tuo sole

che s’inarca e spezza con sguardi di saetta?

 

Nel ruotare d’una visione cinegetica,

condotto - quanti Km all’ora? - verso la tua dolcezza;

devo - per fortuna o per dolore ? - sfuggire

il paesaggio - falso e splendente, da romantico;

e come dono tu brindi all’incauto: cielo, mare, nube.

 

Giorno e chiarezza rapida, giorno e chiarezza

invoco. Telegrafica semplicità

di poeta estremista. Non chiedo girasoli.

desidero solo la gran semplicità del rivolo d’acqua fresca.

 

1928

 

 

 

Ragioni del tedio

 

I

 

Lunghe foglie di tedio concentrato,

ago e quarto di luna; danza la trottola d’acqua e seta.

Un sigaro dopo l’altro,

senza sosta.

 

II

 

Dolcezza tenera dell’acqua calda;

dolcezza aspra e curva della fredda, fredda;

nell’acqua fredda, accaldata si gettava;

dopo si mostrava fredda, calda.

 

III

 

Erano una scusa lo zampillo e il pianeta,

- tutti pensavamo di sfuggire -.

Lacrime di porcellana, fianchi lunari;

finì per assopirsi lo zampillo, rimase immobile il pianeta.

 

IV

 

Tutto era, ma non cinema;

e l’acqua saltava, saltava.

Bianco e verde, nero verde.

Tutto era, ma non acqua.

 

V

 

Percosso forte ai fianchi

virava con forte entusiasmo;

pura unità algebrica.

Ritornava senza pena né entusiasmo.

 

VI

 

Le mani raccolte, dopo la danza;

profondo pianto di cultura.

L’unità s’impose tiepida:

mani incoscienti lanciano dal cielo.

 

VII

 

Mi sentii polline, incompleto;

senza medaglia, senza moneta;

custodivo, rotonda e colorata in tasca,

Nostra Signora d’Ecumene.

 

VIII

 

Mi congiunsi a te, senza te;

solo soletto, sentii e tornai.

La mia etichetta:

chicchirichì.

 

IX

 

Immersi nella passione i santi riposano,

e subito dopo gli altri.

Piangeva la terra e il mare s’arenava;

santo profondo: la passione riposa.

 

X

 

Cerino inutile,

tutto sfuggito in un lamento.

Nuova torcia nelle labbra.

Cerino inutile!

 

1929

 

 

Ombra ferita. Pellicola

 

Disfatti fili senz’ombra

spezzano le loro acque senza suoni;

tagliano i suoni dorati,

fili condotti senza braccio e sogno.

 

Il flauto è ormai privo d’ombra,

i suoi verdi bracci si estinguono,

inseguendo occhi pulsanti,

traboccando in fiumi di pioggia.

 

La nebbia e gli scacchi

non intendo ricordare.

(Bambini d’azzurro e mito

portano indaco marino).

 

Ombra, flauto, pettine,

bambini, bambini e tamburo.

 

L’ombra ormai sbiadita

raddoppia le sue risa argentine.

Si muove già l’avellana,

ferita da lumache bambine.

Si stan portando furtive

verdi ire di lampadine,

e la mela versata

retrodata il pensiero.

 

Bambini ormai privi d’ombra,

dedicano tre lacrime.

Tesori. Ormai la sorpresa

è morte. Tesori, senza teoria;

sorpresa di rami bruciati.

 

Sotto il braccio bambino,

vassoi che portano sogni;

sotto, ormai privi di vassoio.

Adesso è tutto un getto di pianto.

 

Si conficcano sette pugnali;

si mordono sette sorprese;

restano tali solo le spiagge,

spiagge di vita senza bambini.

 

Vattene ombra di doppiezza,

dammi i pettini dorati;

becca il tuo filo senza verde,

inchioda l’ombra alla tua porta,

porta l’ombra senza balzo.

Sette pugnali affumicati,

allegri di voce concentrica,

portano grigi tesori.

 

Sette principesse piegate;

sette pugnali bruciati.

 

 

Mano e nichel

 

I

 

Come nella tua voce nichelata

il tuo messaggio, oro e luna;

come tutte, quale nessuna,

va la tua diana inerpicata

sopra l’aereo di tre lune.

 

II

 

La tua mano e il tuo fiume lento;

gli arpioni bruciati.

E sul teso cemento

i persei trafitti

con gli scacchi, al vento.

 

III

 

Con pioggia umile la spiaggia;

pesci dal pugnale sopraffino

foglie d’argento nel pino.

Il vento non s’incaglia

né passa per la gola il vino.

 

IV

 

E la schiuma senza timone.

Andare freddo senza curve;

albe in camicione,

folle di grigie ricurve

perde la sua perdizione.

 

V

 

Senza conchiglia, pioggia, nichel;

senza spiaggia dai forti denti.

Lei nella sua statua di lui.

Sibilo d’angeli battenti

inchiodano fette di gelo.

 

 

VI

 

Proteggi la barca e il tritone,

circondato di pesci serpente;

e che d’estate sia presente

la scacchiera di cartone.

Curo tu non sia concorrente!

 

VII

 

La conchiglia centra le frecce,

punto dorato senza miele;

piume di note già fatte

ritagliano ferite senza fiele

e nenie contraffatte.

 

VIII

 

Morettina, dammi un contorno;

dividi la tua aranciata e le tue lune.

Non dividere, no, il tuo ritorno;

che sopra un bilione di lagune

volano insetti qui attorno.

 

IX

 

Il parasole, parola di lumaca,

madre di tutte le tartarughe.

Sulla tisi dello zampillo,

le lucciole espurga

lo sciocco arciere.

 

X

 

La smorfia piena d’alga;

lo zampillo portatile.

Voglia l’angelo che tu salga.

Sul tendine vibratile

senza piedi gli ori salti?

 

  

 

Polare

 

Punta di lungo guanto e lungo gelo

trattengono orbite in ricurvo allarme

e punte d’infime strie grigie di cielo,

dove il mare vegetale i suoi freddi riversa.

 

Nego fiumi di sughero senza pressione d’ali,

bussola d’onde con cravatta lenta;

prigione dorata per il bimbo cieco,

che aggira angoli e naviga la menta.

 

Arpionato, accigliato, morto,

- pugnale d’acqua con risa e penna -

vaso di neve di color aperto,

 

che, doppia risa porta esito grave,

in alto, spaccato, tenue più che luna.

Non t’inquietare, fidanzata d’ogni porto!

 

Dicembre 1930

 

 

 

Madrigale

 

Lo specchio, così silente, mi dice, che ora posso partire.

Uno sguardo ancora e mi porto via l’immagine fissa;

per questo cammino con cautela.

Una volta a settimana, durante le vacanze,

mi avvicino, mi porto via specchio e luna.

Adesso arriva quel che attendi:

chiaro, 40 anni o molta ipocrisia.

Il rametto di fiori, accaparrato un bianco biglietto,

di quelli salutari, che conservano la saliva.

Ora vado. 20 minuti, in attesa, e sudore.

La scatola di cioccolatini, o i fazzoletti di seta,

che coprono il Coty. Che vecchio! Che tonto!

Una scatola di sigarette turche o uno scelto bastone:

leggermi bene sul giornale i giochi di ieri,

per sussurrarteli; l’attenzione è solo un pretesto

e tu guarda bene prezzo, marca e profumo;

sapere il tuo prezzo. Tutto è uno ed è lo stesso.

Ero così turbato che sbagliai tram.

 

Gennaio 1931

 

 

Lezione

 

Specchio sdoppiato e vassoi feriti.

(Tre momenti e la sua frangia di luna).

                     Lunghe risa, violetto e bandiera,

                     nella brezza lieve, corrono e vanno,

                     risa, risa lunari,

                     porterà tra le sue braccia di fornaio lunare.

Uno spadone con alghe, fisso e delineato,

accarezzava la sera di limone e ipocrisia.

                     Ripassa la lezione.

                     E la voce si accentuò nella sua voce.

                     Era il momento immenso:

                     tre dolori, due dolori, un dolore.

Un fiume vegetale, infossato e scavato,

per svago bagnava i suoi pesci e pompelmi.

                     Colpi di ronda spiata,

                     perdevano acqua e sale.

                     Olive gitane,

                     metà corallo, metà lunari.

Stelle di brina con cappuccio violetto,

alzavano un teorema, una chiocciola, un Carlomagno.

 

1931

 

 

Lunghi uccelli bianchi nella sua mano  guantata

 

Lunghi uccelli bianchi nella sua mano guantata,

con la sua poca ombra, di filo, di miele;

la sua parrucca d’alga, la sua cintura cornuta,

conservano la presenza d’un candore di carta.

 

Se n’è andata; la sua presenza, un sibilo,

l’annuncia tra gli aridi venti;

percuote l’ombra il suo battito,

decifrando le sue cosce ingabbiate.

 

Oh, che ronzio si posa nelle mie orecchie cotonate

quando ci colpiscono le loro nevi invitate

in un’alta marea rigonfia di pesci ingrassati.

 

La spezzarono senza freddo, due ampie sculacciate

tra Preziosa lenta e il suo levriero; stanchi

si apprestano ad aggredire fanciulle disprezzate.

 

1931

 


Giardino

 

Tavoli d’eleganza, d’acqua senza zampillo;

corteggiatori dal manto nero e bianco;

flauto silvestre in pettini e violini;

braccio puro, lungo, giallo.

 

Un mucchio di stanchi sibili,

trombette e limoni.

Balconi altissimi e freddi,

nella stanza ebbra di fumo.

 

Vento inutile, annerisce l’occhio e l’argento,

corre sul vento verde;

sul gatto bianco, sul gatto nero,

un abbecedario lento, cenere.

 

L’acqua sobbalza tra i sugheri

distesi, con le reti e le mani negli occhi.

Funerali di reti, remi, conchiglie, alghe;

si sollevano baci e lenzuoli.

 

Mani in acqua, pesci nella mano;

sintassi e luna ritirano stremato il loro suono.

Si calmano biondi fili tiepidi,

penne e squame, due a due.

 

Non guardo una conchiglia,

un braccialetto, un colore, le labbra;

 

accompagno i suoi passi nudi,

ferite nella neve, giunchiglie e vasi.

 

Omaggio.  Colpisci a tuo modo 

la schiuma indomabile che ricrea le mani;

con muto arcangelo e schiuma di colombe,

si stagliano le brezze alzate con i loro bimbi.

 

Assopita tra noi e distesa

in un subisso di lingue pulite.

Si assottigliano le alghe sotto il sole.

Riposa tra noi.

 

1931



Arriva la definizione

 

Quale neve, fuliggine e cigno, le sue lacrime di pura alba

fa sbocciare dai mandorli avvolti da tenera luna,

per gli innamorati.

Ci sono le stelle; però l’argento annega, quotidiano, altissimo.

Dietro, lungo un fiume senza squame, venti mani d’argento.

Che pesci di miele attraversavano la sua mano,

ferita da giochi di freccia e rotondi rumori!

Giunco di cigno, in gocce, sulla pelle.

Schiume sulla santità delle pareti di calce,

stendevano la pelle fatta di suoni massacrati,

da un metallo che supera il suono.

 

Che dimensioni così tiepide sulle mie spalle!

 

Mentre partiva il rumore, chiudevo le mani.

Lo lasciai partire a sprecare l’estate.

 

In un tumulo di lire e flauti: la Definizione.

 

1931

 

  

Piccola ode a Víctor Manuel García

 

Con gli occhi protetti da assorbenti violette, un alto toro soave

offre un saluto, un gelido fiore in cerca d’un punto.

Flauti, caramelle e metalli disposti in un bosco ricurvo

di cavi. Un bicchiere d’acqua fresca e tre gocce di limone.

 

Le dame s’impadroniscono feroci dei porticati.

La cenere si gonfia e applaude, ma in realtà non esiste.

C’è un solo guanto bianchissimo nella coda della sirena gravida.

Gli alberi e il paesaggio, pulendo la sputacchiera, scagliati dal

                                                                         cameriere nel mare.

 

Laringi di ampio argento ritagliano sogni e monete.

Quattro pareti di calce ascendono senza portare gatti e niente di

                                                                                            giallo.

Un grido decade rapido ghigliottinato da sette coltelli,

restano sette sfere assorbenti per occultare forbici e ditale.

 

Miscele esplosive. Un arco sottile termina dove non ci sono

                                                                                       meteore.

Le palme e le felci si stagliano come colonne corinzie.

Cercano il cesto, dal quale fu bandito il pompelmo,

nell’alto cielo angolare quattro cembali con i loro angoli.

 

Dicono che là non ci siano monumenti, né geli, né alghe. E le

                                                                                            linee

raccolgono, distinzione ingannevole, attraenti profili.

La musica si ascolta con un orecchio, ben tiepido, tra cotone e

                                                                               piume di clarini.

I flauti sono tutti custoditi nello scrigno dell’Altissimo, dove non

                                                      albergano rumori di fallimento.

 

Le braccia non si tendono all’infinito, ma verso la prossima

                                                                 fabbrica di chincaglieria.

 

Il mare sembra catturato da una cintura, dove non troviamo

                                                                              gabbiani e mieli,

e la sola cosa che l’occhio scamosciato percepisce è un’altra

                                                                   cintura dentro una città.

Il cavallo odora un’orchidea d’alluminio e mette in fuga le api.

Gelida tuberosa, gelido mandorlo ascendono; le nubi si affrettano

                                                                                             furenti.

Una danza di capretti guadagna, con compassi d’argento,

                                                                        posizioni invidiabili.

Alla nebbia si rompe lo specchio in un bilione di specchietti,

e un marinaio astuto trafigge con una freccia le sue tempie,

                                                    togliendole ogni speranza di vita.

 

Oh, che pennelli minuscoli per labbra che gustano la mela

                                                                                    cotogna,

e che muscoli non di foglie ma dipinti con zafferano!

Presagivano il quadro sinottico e le sfere armillari

giavellotti d’oro, pettini e teorie sul cavallerizzo senza fumo.

 

Oh, Víctor Manuel García, conestabile dell’Hotel Profumo.

Un mostro d’alghe divora merletti e seta tornasole.

La Vergine Maria, tra giunchi e canne, percuote

e incoraggia figli spettinati pettinandosi con un compasso da

                                                                                    Geometria.

 

 

1931



Inquieto al mattino, zampillo niveo

 

Inquieto al mattino, zampillo niveo

di dolcezze, con mano ferma ti alzavi.

Che volteggiare di lenzuola e cosce tra le lune!

Inquieto, minuto lanciatore,

corpo e carne, tomba dal profilo incerto;

inserito con toni lievi, udito pieno,

percorre le persiane tutta la mattina.

Sette gigli, sette stelle, lenzuola ormai anguste,

custodivano la tua presenza quando affrontavi la mattina.

Musica, braccialetto e neve restavano sulle persiane.

Il lenzuolo si cullava e si attorcigliava al tatto.

Ah, la mattina lenta e intatta tra occhi e mani!

 

1931

 

 

  

La sua presenza si perdeva, e risuonava

 

La sua presenza si perdeva, e risuonava

girando neve in aloni sopraffini;

cosce e conchiglie scioglieva

nel carcere senza rete dei delfini.

 

Aranciata e corallo della sera compitava

volteggiando, labbra percuotono parte di confini.

Una conica carambola decretava 

nero di piuma e pioggia di clarini.

 

Specchio impagabile, intatto, cresceva

nell’erica senz’aironi delle sponde,

che gran somma di bagnanti riceveva.

 

Grave, sul bordo di se stesso, fremeva

su carne di specchio che risplende,

signore del volto e del sogno, diventava.

 

Luglio 1931

 

 

 

Tramonto

 

Tramonto,

a sud della rosa resta un uccello prigioniero.

 

Tramonto,

le arance scivolano sulle spalla del bimbo.

 

Tramonto,

nel palato una danza di coltelli d’argento.

 

Tramonto,

le cosce combattono, un arco di luna, con due onde.

 

Tramonto,

un freddo buon sospiro penetra la sera, avanti e indietro.

 

Tramonto,

nella neve senza neve cavalieri plumbei, soffici d’alghe, senza

                                                                                                neve.

 

Adesso muoio!

 

 

Luglio 1931

 

 

  

La mattina che non è mia

 

I

 

La mattina, che non è mia,

mi restava dentro. Non solo,

la tua neve, capirai

nella fonte che fugge

le forme del mondo; si scioglieva

un desto tatto impagabile,

che presagiva di restare;

sulla seta nascosta,

si perde. Sorpresa.

Adesso non è ora di guardare.

 

II

 

Cortesia senza grazie. Risa.

Gocce. Nei pizzi, stemperati

in arco, sera e lune inquiete,

mosaico e corallo scivolano,

impossibile dire che calpestano.

Non labbra di angeli: amore.

 

In ogni braccialetto il chiarore

che procede verso alcun delirio;

guida mia, guida, sollievo

che circonda la tuberosa dell’amore.

 

III

 

Airone, giunco che salta, seme

d’acqua in giro d’ametista

calza. Che il vento si svesta

negli specchi; architettura semplice

in duplice fastidio, brilla

nella sua presenza; non scivola; resta.

Profilo concentrico vieta

respiro neutro, gelo galante,

nel suo angolo o avorio piegheranno

gli istanti, sogno, seta.

 

 

Luglio 1931

 

Tradotto 1 – 28 ottobre 2015

 

 

 

FINE

 

 

 

 

IL TRADUTTORE

 

Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz: Machi di carta (Stampa Alternativa, 2003), La Marina del mio passato (Nonsoloparole, 2003), Vita da jinetera (Il Foglio, 2005), Cuba particular – Sesso all’Avana (Stampa Alternativa, 2007), Adiós Fidel (Il Foglio/A.Car., 2008), Il mio nome è Che Guevara (Il Foglio/A.Car., 2009), Mister Hyde all'Avana (Il Foglio, 2009), Il canto di Natale di Fidel Castro (Il Foglio, 2010), Caino contro Fidel – Guillermo Cabrera Infante, uno scrittore tra due isole (Il Foglio, 2014). I suoi lavori più recenti di argomento cubano sono: Nero Tropicale (Terzo Millennio, 2003), Cuba Magica – conversazioni con un santéro (Mursia, 2003), Un’isola a passo di son - viaggio nel mondo della musica cubana (Bastogi, 2004), Orrori tropicali – storie di vudu, santeria e palo mayombe (Il Foglio, 2006), Almeno il pane Fidel – Cuba quotidiana (Stampa Alternativa, 2006 - ristampa aggiornata Acar, 2014), Avana Killing (Sered, 2008 – in edicola), Mi Cuba (Mediane, 2009), Sangue Habanero (Eumeswill, 2009), Una terribile eredità (Perdisa, 2009), Per conoscere Yoani Sánchez (Il Foglio, 2010), Fidel Castro – Biografia non autorizzata (Acar, 2011). Ha tradotto Cuba libre – Vivere e scrivere all’Avana, di Yoani Sánchez (Rizzoli, 2009). Ha curato dal 2008 al 2014 il blog di Yoani Sanchez - Generación Y per conto del quotidiano La Stampa all’indirizzo www.lastampa.it/generaciony. Ha pubblicato una biografia narrativa di Yoani Sánchez: In attesa della primavera (Anordest, 2013). Ha tradotto La ninfa incostante di Guillermo Cabrera Infante per Minimum Fax/Sur (2012), La patria è un’arancia di Felix Luis Viera, Fuori dal gioco di Heberto Padilla (2011) e Il peso di un’isola, opera poetica di Virgilio Piñera. Nel 2012 è uscito un suo lungo capitolo in un saggio scritto insieme a quattro autori cubani dell’esilio, El otro paredon, sulla situazione cubana edito in USA, in inglese e spagnolo. Nel 2014 è uscito il romanzo Calcio e acciaio - dimenticare Piombino (Acar), presentato al Premio Strega. Nel 2015 è uscito il romanzo breve Miracolo a Piombino - Storia di Marco e di un gabbiano (Historica). Altri romanzi: Sogni e altiforni (presentato al Premio Strega 2018). Sito internet: www.gordianolupi.it - mail: lupi@infol.it.

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