PRIMITISMO ED ECOLOGIA NELL' ANNO DELLA LEPRE


                    Martina Testa

Fonte: L'anno della lepre, Paasilinna, Iperborea, 2002

"L'anno della lepre" è un romanzo di Arto Paasilinna del 1975 ed ha il sapore del lungo racconto che ha molto da dire ancora oggi, senza avere la spocchia didascalica dei romanzi di formazione.

Finlandia, un giornalista, Vatanen e un suo collega fotografo, investono una lepre che ferita a una zampa riesce a scappare e a nascondersi. Vatanen, la insegue, incurante dei richiami del collega, e sceglie di rimanere lì, tra l'erba e di perdere tutto pur di per prendersi cura dell'animale. 

Questa potrebbe essere la sinossi: il giornalista che diventa viandante e attua un lungo e delirante viaggio da nord a sud della Finlandia in compagnia della lepre. Il viaggio qui non è altro che la fuga del protagonista dal suo asfissiante orizzonte borghese. 

La rottura con la società del capitale accade quasi senza traumi ma con il riso sferzante e ironico di chi attua una fuga liberatoria, necessaria per la tossicità del presente, senza indugiare in svenevoli, retorici ritorni al passato: è il continuo fluire del del qui e ora, con tutta la carica eversiva, a fare da pattern a questo lungo racconto. L'attaccamento alla vita, la corrosiva ironia di alcuni episodi, è forse frutto di quella dissacrante malinconia finlandese che ha lo stesso sapore dell' alcool sorseggiato dal protagonista. 

Non manca la satira (?) politica, quando uno dei folli personaggi del romanzo, con un certo complottismo qualunquista oggi non estraneo al dibattito pubblico, con le sue teorie spiega il cambiamento di rotta del presidente Kekkonen, icona esemplare della storia finlandese. 

In questa e nella rappresentazione dell' odiata moglie del protagonista si potrebbe leggere un atteggiamento conservatore velato da una sfrontatezza cinica associabile alla misoginia. Tuttavia, è chiaro, invece, quanto sia proprio quella sfrontatezza tutta "nordica" di affrontare i rapporti tossici, corrosi dall' abitudine, in una certa dicotomia capitalborghesia- ecoprimitivismo che riabilita quest' ultimo in un ottica di rapporti autentici e non inficiati dall' opportunismo e dalle necessità sociali. 

Il romanzo è stato ascritto al genere  'umoristico-ecologico". Se bisogna fare riferimento alle odiose etichette, se dovessimo, forzatamente, trovare un senso, un messaggio, probabilmente sarebbe una definizione coerente per questo romanzo.

Anche le parti più "disturbanti" agli occhi di chi scrive e di una certa sensibilità animalista-si pensi alla caccia contro l'orso- sono funzionali in tal senso: il contatto diretto con la natura selvaggia fa scattare molle primordiali dell' umano, biologicamente animale e istintivamente preso in una lotta per la sopravvivenza che ci ricorda quanto visceralmente siamo legati alla terra. 

Lo stesso leitmotiv, il rapporto uomo-animale va in tale direzione. La lepre è muta, soggetto silenzioso e impassibile delle folli azioni del suo compagno umano, eppure è l'agente dirompente che scoperchia e mette tutto in discussione, il pretesto per attuare la fuga che permette di tornare alla nuda terra e pacificarci con noi stessi, in un rapporto autentico con il pianeta violato quotidianamente.




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