DALL’ ASIA CENTRALE A MILANO. ARTE TRA PASSATO E PRESENTE

 

DALL’ASIA CENTRALE A MILANO. ARTE TRA PASSATO E PRESENTE

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Le istituzioni pubbliche italiane, anche a causa del calo continuo dei finanziamenti, stanno sempre più abbandonando le attività culturali. Non si vedono più le importanti mostre d’arte che hanno caratterizzato la fase dal secondo dopoguerra alla fine del millennio. Emergono invece sempre più le figure di imprenditori (soprattutto donne) che decidono, attraverso la
creazione di Fondazioni, di diffondere e sostenere l’arte, in particolare contemporanea, e permetterne la pubblica fruizione. 

Per fare qualche esempio, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo a Torino e Guarene, Isabella
Seragnoli a Bologna, Francesca e Massimo Valsecchi a Palermo. A Milano, Marina Nissim guida la multinazionale Bolton Group, che controlla oltre 50 marchi commerciali tra cui, in Italia, Rio Mare, Simmenthal, Collistar, Borotalco. Ha creato, nel 2020, la Fondazione Elpis, con lo scopo primario di supportare i giovani artisti, con iniziative come “Una boccata d’Arte”,
realizzata con la galleria Continua di San Gimignano, che prevede, nel corso di un anno, installazioni site specific in piccoli borghi di ogni regione italiana. 

Nel 2022 ha deciso di aprire uno spazio espositivo nel centrale quartiere di Porta Romana, all’interno di una ex lavanderia industriale che serviva il vicino ricovero per anziani. Tutta l’area è stata ristrutturata ed è diventata un’affascinante zona residenziale (non per poveri) e così questo edificio, di 800 mq, costituito da un piano terreno, un primo piano, uno interrato, un giardino, ospita mostre molto interessanti e originali come quella in corso, dedicata all’Asia Centrale. Si intitola “You are here” perché le due curatrici, una kazaka e l’altra kirghisa, hanno invitato i 27 artisti da Kazachistan, Tagikistan, Uzbekistan e Kirghizistan a interrogarsi sulla propria attuale collocazione fisica e a considerare il rapporto tra il luogo che attualmente li
ospita e la loro eredità storica e culturale. 

Di solito associamo i nomi dei loro stati all’idea di un oriente favoloso: Samarcanda, la via della seta. Nella storia recente è rilevante la loro appartenenza all’Unione Sovietica, che ha portato al tentativo di cancellare le loro matrici culturali attraverso una “modernizzazione” che sostituisse gli antichi valori con un’idea di sviluppo che ha prodotto, tra l’altro, la quasi essiccazione dell’immenso lago d’Aral, deviando l’acqua di due fiumi per favorire la coltivazione del cotone. 

Questo intervento causò un forte sconvolgimento ambientale, con la scomparsa di diverse specie animali e vegetali e anche della memoria legata a quei territori, ai miti, alle favole. Dopo la fine dell’Unione Sovietica si sviluppò molta emigrazione, provocando il distacco di giovani dalla propria terra, mentre, soprattutto in Kazakistan, l’estrazione del petrolio ha portato ricchezza ma anche causato un ulteriore degrado ambientale e allontanato la popolazione dalle attività tradizionali in agricoltura e pastorizia. In questo contesto gli artisti locali hanno aggiornato il loro linguaggio, confrontandosi con le varie realtà internazionali e quindi adottando tutte le forme dell’arte corrente: pittura, scultura, performance, installazioni multimediali, film, video, fotografia. 

Tutti sentono la necessità di rielaborare il passato, riscoprire una tradizione che mescola il racconto orale, il mito, l’artigianato, soprattutto tessile, contro il rischio di una perdita di identità. Così la kirghisa Munara Abdukakharova realizza colorati “toshok”, tipiche stuoie da pavimento che si arrotolano e si portano con sé, riportando nei disegni memorie anche dell’epoca sovietica, interrogandosi sulla direzione che prenderà il suo paese.

La kazaka Gulnur Mukazhanova ha realizzato un lavoro site specific: una lunga striscia di tessuto che corre sulle pareti dei vari piani dell’edificio, a dare il senso dell’unitarietà della mostra. I tessuti sono di tipo diverso, alcuni preziosi, altri dozzinali, e sono tenuti insieme da spilli e a volte stratificati e incisi per significare le fragilità del paesaggio, i conflitti, il mescolarsi di tradizione e modernità. Anche la kazaka Aida Adilbek si rifà al tessuto, fotografando le borse “qalta” che sua nonna realizzava e cuciva a mano per portare regali ai membri della famiglia residenti altrove, atto di trasmissione intergenerazionale tra le donne. Emil Tilekov, kirghiso, usa pannelli di feltro per rivisitare l’archetipo del labirinto, che appartiene a varie antiche civiltà e che lui ha rintracciato anche nei nativi americani Scioscioni, immaginando
un’arcana parentela tra i due popoli. Anna Ivanova, uzbeka, realizza Suzani, arazzi ricamati, mescolando ai disegni antichi riferimenti alla rimodellazione del paesaggio dovuta all’urbanizzazione. La kazaka Zhanel Shakhan compone una scultura patchwork a forma di sfera morbida che, nel colore e nei particolari, vuol ricordare il corpo femminile, come contenitore di vita, mobile, vulnerabile, resistente. Non mancano opere video o l’uso di internet per permettere a chi ha dovuto abbandonare il proprio paese di riallacciarsi ai connazionali, avere conforto e senso di appartenenza. 

Ci sono anche tre filmati, tra i quali quello dell’uzbeka Saodat Ismailova, che ha appena terminato una bella mostra all’Hangar Bicocca. E’ un video che, con immagini di repertorio di cinema uzbeko, dal primo periodo sovietico ad oggi, propone un racconto dell’evoluzione della figura femminile nel suo paese. All’inizio del percorso, la kazaka Aika Akhmetova ricrea un “Pod’ezd”, spazio di ingresso comune tra la strada e la casa nei condomini in epoca sovietica. Era un luogo di incontro, di condivisione di esperienze, di nascita di relazioni e storie amorose. Le cassette della posta contenevano anche fiori, oggetti d’uso quotidiano. Compare anche la scritta che dà il titolo alla mostra: “You are here”, che in questo caso rappresenta un rifugio, un luogo che crea comunione. Nel giardino il kazako Nurekeyev installa un lungo palo con in cima una testa di volpe. 

E’ un marcatore di rilevamento, vengono utilizzati per indicare punti chiave della superficie terrestre. Ne ha già installati in Turkestan e Kazakistan e ora in Italia, a rappresentare l’idea di presenza, in sintonia con il titolo della mostra. Secondo me questa esposizione conferma, come l’ultima Biennale, che l’arte più vitale non viene ormai da un Occidente esausto e in piena crisi politica e culturale, ma dagli altri continenti.

SAURO SASSI



YOU ARE HERE. CENTRAL ASIA
FONDAZIONE ELPIS MILANO, VIA ALFONSO LAMARMORA 26
FINO AL 13/04. APERTO DA GIOVEDI’ A DOMENICA ORE 12-19
INGRESSO LIBERO, CITOFONANDO FONDAZIONE ELPIS AL CANCELLO
METRO M3 CROCETTA POI UN TRATTO A PIEDI

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