CHIHARU SHIOTA A TORINO: VIAGGIO NELL’ANIMA

 CHIHARU SHIOTA A TORINO. VIAGGIO NELL’ANIMA



Ci sono fenomeni nell’arte che sono un segno dei tempi. Ad esempio la

sempre più numerosa e qualificata presenza femminile e il frequente impiego

del tessile come mezzo espressivo, una pratica che ha riferimenti in artiste

delle avanguardie storiche come Anni Albers e Sonia Delaunay, e in Italia ha

avuto una grande interprete in Maria Lai. Ora approda in Italia, al MAO

(Museo d’Arte Orientale) di Torino la prima grande monografica della

giapponese Chiharu Shiota (1972), che è rimasta nella memoria dei visitatori

della Biennale di Venezia del 2015 dove allestì, nel padiglione del suo paese,

una installazione di grande effetto con vecchie imbarcazioni su cui

scendevano innumerevoli fili di cotone rosso che portavano appese migliaia

di chiavi arrugginite. L’impatto visivo era fortemente emozionante, con il

pubblico occidentale che non poteva non vedervi le imbarcazioni dei migranti,

il rosso come segno drammatico di pericolo e morte e le chiavi arrugginite

simbolo delle abitazioni che erano state abbandonate in cerca di fortuna.

Chiharu Shiota (Osaka, 1972) dopo studi d’arte in patria, poco più che

ventenne si trasferì a Berlino. Provò prima a dipingere, quadri informali, ma

non riusciva a trovare un senso espressivo soddisfacente. Ammirò le grandi

installazioni scultoree della polacca Magdalena Abakanovicz, quindi divenne

allieva di Rebecca Horn e Marina Abramovic. La prima realizzava grandi

installazioni dove il movimento, fisico o meccanico, aveva un ruolo centrale e

a volte interagiva col suo corpo. La Abramovic è considerata la maggior

interprete della performance contemporanea, dove il corpo viene caricato di

grandi tensioni, creando situazioni anche di dolore e pericolo per coinvolgere

emotivamente lo spettatore. Shiota iniziò a sua volta ad eseguire

performance, subendo anche l’influenza di altri artisti come l’austriaco

Herman Nitsch, che usava il sangue per drammatizzare il suo lavoro. Non

voleva però staccarsi del tutto dalla pittura e iniziò a immaginare opere dove i

fili di lana rossa, alcantara nero, prendevano il posto della matita e del tubetto

dei colori. Con questi fili cominciò a realizzare grandi installazioni che

invadevano interi ambienti, delineando anche la sua poetica che definì

“l’esistenza nell’assenza”. Le interessavano le cose vecchie, quegli oggetti

che sono stati posseduti e in qualche modo contengono tracce della vita di

chi li aveva avuti. Si tratta di chiavi arrugginite, scarpe, letti, mobili, vestiti,

valigie che vengono avvolte o poste in contatto con i fili. Quelli rossi

rimandano ai sentimenti, all’amore, al sangue che unisce, secondo una

leggenda giapponese per la quale a ogni bambino che nasce viene legato al

mignolo un filo rosso che lo condurrà fino alla persona che diventerà

importante per la sua esistenza. Il filo nero, secondo Shiota, è più astratto,

richiama il cielo notturno o l’universo. L’artista ha invaso gli spazi del

bellissimo museo di arte orientale di Torino, facendo anche interagire i suoi

lavori con le antiche opere della collezione. Il titolo, “The soul trembles”,

letteralmente “l’anima trema”, rivela già l’intenzione di coinvolgere

emotivamente il visitatore, renderlo partecipe di un’unica esperienza che è un

viaggio emozionale dentro cose tanto semplici quanto universali. Un viaggio

sentimentale che inizia con gli scheletri di imbarcazioni da cui partono masse

di fili rossi che raggiungono il soffitto (“Uncertain Journey”); prosegue con fili

rossi che scendono sulle membra del suo corpo sparse sul pavimento; con

un ricordo d’infanzia (“In silence”) quando in un incendio bruciò una stanza

con un pianoforte che lei ora evoca circondando lo strumento annerito di una

selva di fili neri. Il tema degli oggetti che contengono storie torna nella grande

installazione “Accumulation-Searching for the Destination”, dove ai fili rossi

sono appese centinaia di valigie acquistate nei mercati dell’usato a Berlino.

Le valigie, appese in alto, hanno un movimento, come di respiro, evocando

ancora una volta il tema del viaggio (delle cose, dei corpi, delle anime). In

mostra sono presenti anche foto di performance, disegni, che Shiota ha

ripreso a fare dopo aver scoperto di essere ammalata di cancro, come lei

dice non più con la tecnica ma col cuore. Un’altra installazione spettacolare

riguarda un abito bianco inscritto in un reticolo di filo nero, con uno specchio

che ne duplica l’immagine (“Reflection on Space and Time”). L’ultima opera è

un grande tavolo su cui l’artista ha disposto centinaia di oggetti trovati in

mercatini dell’usato, avvolti nel filo rosso che ancora una volta è un segno di

cura e attenzione ai ricordi e alle vite che li hanno attraversati. Si conclude

così, per citare Calvino, questo viaggio di Shiota nei destini incrociati delle

persone, delle cose, che ha già attraversato il Giappone, la Cina, il Grand

Palais di Parigi. Un viaggio dell’anima, “Animula vagula, blandula” verso il

passato e il futuro. Ricordando che l’artista è attualmente presente con un

nuovo lavoro anche al Mudec di Milano.

SAURO SASSI



CHIHARU SHIOTA: THE SOUL TREMBLES

TORINO, MAO (MUSEO DI ARTE ORIENTALE)

FINO AL 28 GIUGNO 2026

MA-ME-VE-SA-DO: 10-18; GI 12-22; LU CHIUSO

BIGLIETTO INTERO EUR 18; EUR 12 DAI 13 AI 18 ANNI, STUDENTI FINO

A 25 ANNI E DISABILI; EUR 6 DAI 6 AI 12 ANNI; GRATUITO BAMBINI

FINO A 6 ANNI E ACCOMPAGNATORI DISABILI

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