Come si discute con il Papa?

di Max De Santis

Un fatto che non viene mai investigato abbastanza è la scelta delle regole di argomentazione. Perché si sceglie di non parlare di alcuni fatti strettamente legati alle parole, quando queste sono il verbo di un religioso?

Il caso dell’Università La Sapienza mi fa riflettere. Il Papa viene invitato dal rettore ma alcuni studenti e una parte del corpo docente si ribella. La stampa reagisce quasi collettivamente all’azione scandalosa dei “presunti” laici. Dimostrerebbero infatti di non esserlo respingendo con acrimonia l’intervento del papa. E’ vero, erano pochi i professori e gli alunni sfavorevoli, ma questi rispondono che c’erano e volevano essere resi partecipi della decisione. Il papa non è stato cacciato ma alla fine si è rifiutato di venire. Lo so qualcuno dirà “cosa doveva fare?” Non poteva fare altro perché è il capo dei cattolici non di un partito politico (ne siamo sicuri?).

"Ma come sono scomparsi alla Sapienza i valori di un confronto democratico e della conoscenza reciproca?" Potrebbe essere uno dei sunti delle domande giornalistiche.

Il Papa oltre a essere un teologo è un pastore che professa una fede. Quindi invitare un uomo che ha delle posizioni inamovibili su alcuni problemi fondamentali dei nostri tempi, non è come invitare un intellettuale che condivide un discorso e un ragionamento, ma significa dare la parola a una persona che, con tutta la sua carismatica presenza e le sue doti intellettuali, porta avanti una posizione senza rispondere pragmaticamente alle domande altrui. In questo caso gli altri sono gli universitari e i professori contestatori che quindi portano avanti un ragionamento analitico, laico, scientifico. Il Papa ha una parola da esplicare che conosciamo già. I giovani e i professori conoscono il modus operandi ecclesiastico e non accettano un eminente teologo che sa magnificare delle bellezze del creato, dell’etica e della storia con un fine ben preciso, un fine che non ammette repliche, fuori da ogni contestazione, indubitabile. Constatando la situazione politica e morale italiana, di come la Chiesa e la Politica si compenetrino, spesso si addebita la responsabilità (leggete il libro di Hitchens, Dio non è grande) alla prima degli effetti che producono le convinzioni cattoliche sull’aborto, l’eutanasia, il divorzio, la contraccezione ecc..

Ora, su come accada ciò, ci sono svariati errori di forma che sappiamo riconoscere leggendo i giornali nazionali, (rappresentanti parziali della vicenda che guarda caso son quasi tutti dalla stessa parte) ma quello che i giornalisti non fanno è rappresentare e sponsorizzare posizioni veramente laiche che, come rammentavo, rileggono il fattaccio astioso della Sapienza basandosi sui principi contrastanti di Scienza e Religione e non sull'autorevolezza degli interlocutori o dei giornalisti appellandosi alla perdita di democrazia nell'Università. I giornali quindi non possono rappresentarci. La rete contiene spesso pensieri più liberi e aperti alla discussione perchè costruita da persone più libere da interessi particolari. Se pensiamo poi che siamo in un paese anagraficamente vetusto possiamo comprendere di come vi sia incapacità di comprensione e discussione almeno per tre motivi:

1) Conflitto di interessi di alcuni giornalisti che non sono liberi da contaminazioni editoriali o padronali.

2) Mancanza di una rappresentanza giovanile che faccia conoscere l’identità dei nostri coetanei: numericamente riscontrabili tra i disoccupati, i bamboccioni, gli emigranti, i lavoratori milleuristi ecc…

3) Motivazioni storiche.

Proprio riguardo al terzo punto è importante ricordare che culturalmente la Chiesa ha svolto un ruolo di primo piano nella costituzione dell’Italia postbellica. La Chiesa è stata una delle principali interlocutrici degli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, contaminando la politica di suoi affiliati (la cara vecchia democrazia cristiana). Insomma l’Italia che si legge sui giornali è una parte, quella tra l’altro meno produttiva perché esprime spesso il parere degli ultracinquantenni. Le motivazioni anagrafiche, culturali, economiche ecc.. dei nostri rappresentanti politici sollecitano un’interpretazione della realtà anacronistica e ingenua. Quel che manca loro è uno specchio dove proiettare la propria coscienza per ritrovare l’autocoscienza, la base fondamentale di ogni autocritica. L'autocoscienza dovrebbe servire a ragionare sui propri limiti per migliorarsi o, se lo si ammette a sé stessi, per mettersi da parte.

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