Il tempo del sollazzo

di Vincenzo Jacovino


FINALMENTE
questo popolo non è più giovane.
Era tempo di finirla colla politica della passione (P. Jahier)

ed è iniziato il tempo del sollazzo perché non ci sarà bisogno di fare sacrifici. E il Paese ha accolto l’invito con entusiasmo tanto tutto andrà bene perché, ciò che veramente conta, è il benessere-piacere individuale. Ebbene sì. C’è stato, in questo sotteso messaggio sublimale, la capacità di eccitazione e, quindi, il carburante necessario per cambiare sponda con l’auspicio di migliorare il proprio rango sociale, ammesso che ci sia un’appartenenza a qualche rango constatato che, oggi, la società è una poltiglia sociale che ha sostituito le classi e le ideologie. Non più lotte, quindi, ma appiattimento e il tutto è vissuto con molta disinvoltura, anche perché la pubblicità consumistica obnubila i buoni pensieri e le buone intenzioni. E propone altre mete che, se non sono possibili o è troppo faticoso da conquistare, allora il mondo prospettato è meglio invidiarlo e/o imitarlo. C’è, quindi, un’esplosione di leggerezza culturale, di levità morale e comportamentale. C’è, in sintesi, un’esplosione delle singole soggettività che ha altra lingua, altre parole. Sono questi messaggi su cui cresce, poi, una società dei desideri inventati capaci di spappolare ogni consistenza ed annullare la differenza tra virtuale e reale.
Eppure, nonostante questo sotteso ingannevole “tutto andrà bene”, un senso d’inquietudine pervade nei cittadini, pur se resta fortemente compresso tra le pieghe del cuore e della mente, ma quando l’abbuffata mediatica del sollazzo, se mai avrà una fine, e “il tutto andrà bene, madama la marchese” termineranno, allora sì che emergeranno prepotentemente i problemi reali del Paese. E si faranno, purtroppo, più pressanti e drammatici.

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